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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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L’intollerabile barbarie
della famiglia d’origine sulle immigrate MATRIMONI FORZATI Ragazze immigrate date
spose a uomini che neppure conoscono, scelti per loro dal
clan della famiglia d’origine. Donne sottomesse al rigido
sistema di controllo patriarcal-religioso. E che vengono
punite e finanche uccise perché vogliono “vivere
all’occidentale”. Una tragedia che si rinnova adesso
con il quadro omicida che sta emergendo sul caso Saman
Abbas.
di Stefania Friggeri
Questo costume arcaico sopravvive ancora oggi presso alcune comunità di migranti, come documentano le richieste d’aiuto che i centri sociali e antiviolenza ricevono da parte di giovani donne che rifiutano di sposare uno sconosciuto, come è accaduto a Saman Abbas. Il matrimonio è previsto con un cugino, per evitare che i beni si disperdano fuori della famiglia, oppure, se la giovane vive stabilmente in Italia, serve allo sposo per ottenere più velocemente il lasciapassare per il nostro paese. Ma non v’è dubbio che un matrimonio combinato è il metodo più sicuro per togliere dalla testa delle ragazze l’idea di vivere all’occidentale. I matrimoni forzati rappresentano il sigillo del controllo sul corpo delle donne. E guai ribellarsi a questo “stupro legalizzato”. Le giovani, sottoposte a pressioni, minacce, botte, spesso chinano la testa, sapendo che rifiutare la schiavitù vuol dire affrontare un cammino ignoto e pieno di difficoltà, avendo come risorsa solo le proprie forze. Infatti l’educazione famigliare, il modello materno, il controllo rigido delle frequentazioni, il sentimento di inferiorità in quanto donna, votata perciò all’obbedienza e al sacrificio, porta le bambine ad interiorizzare il modello comportamentale della soggezione, e a sentirsi in colpa se non ne rispettano le consuetudini. Eppure, scrollandosi di dosso il problema, anche in Italia si sente dire «è la loro cultura!». Che poi significa, mostrarsi di fatto condiscendenti verso chi considera la donna un essere inferiore e stringe il laccio della comunità di appartenenza intorno ai piedi di chi vuole scegliere liberamente il proprio cammino nella vita. Tutta l’Europa è attraversata oggi
da un intenso, e a volte duro, dibattito sulla compatibilità
tra islam e democrazia, accogliendo il valore della laicità
e dei diritti riconosciuti alla persona, libera da legami
famigliari, clanici, religiosi. Ma in un clima che risente
fortemente dei sensi di colpa per l’infausto impatto
planetario dell’Occidente (colonialismo, capitalismo,
devastazione ambientale e così via), può accadere che venga
accusato di islamofobia chi esprime anche il minimo cenno
critico, denunciando anche il pericolo di una avanzante
sharia. Ecco allora, che va ribadito con forza,
in nome della tenuta stessa delle democrazie occidentali la
separatezza tra stato e chiese. Tenendo bene a mente che la
coppia patriarcato/religione è il binomio funesto su cui si
è costruito lo stereotipo dell’inferiorità e subordinazione
della donna.
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