L’estate romana non può
essere archiviata
“Per favore, non fatelo!
Lasciate Roma ancora in grado di stupire, di far innamorare
di sé anche le sue cittadine e i suoi cittadini e
soprattutto di mostrarsi nella sua unicità spettacolare in
una calda sera d’estate”
Lettera aperta alle istituzioni
capitoline di Ottavia Nicolini
Gentile Sindaca Virginia Raggi,
Gentile Vicesindaco e Assessore alla
Crescita Culturale Luca Bergamo
Ho esitato un paio di settimane prima di
scrivere queste righe. E forse non l’avrei fatto se non
fossi stata stimolata dalle numerose reazioni che ho letto
sui social media. Da parecchi anni infatti nolente o volente
ho lasciato la città di Roma trasferendomi a Francoforte sul
Meno così come ho pensato che, in linea di massima, non
sarebbe toccato a me difendere l’opera di mio padre Renato
Nicolini, nota come Estate romana. Eppure, quando ho
ascoltato le parole della Sindaca in conferenza stampa e
qualche giorno dopo letto la lettera del Vicesindaco
pubblicata su La Repubblica in cui venivano spiegate le
presunte ragioni che hanno portato a voler “superare” la
visione dell’Estate Romana per creare “Romarama” non ho
potuto fare a meno di prendere parola. Se non altro per
cercare di uscire da quella condizione di sbigottimento,
sorpresa e amarezza con cui ho reagito apprendendo questa
notizia.
Voi affermate
di voler andare oltre quell’esperienza ma così facendo non
vi rendete conto che, cancellando il nome dell’Estate
romana, avete di fatto contribuito a dissipare e sprecare
uno dei pochi tesori nascosti che la città di Roma aveva
ancora da offrire ai suoi abitanti. Con questa scelta avete
deciso di tagliare quel filo immaginario e simbolico con il
passato per fare un salto nel nulla, visto che il termine
Romarama di per sé non evoca nulla se non un brand da
supermercato in stile giapponese e/o una città rognosa
(grazie alle macchie presenti sul gatto) o tutt’al più al
più grama quale Roma(g)rama o Romamara sembra ormai esser
diventata.
Intendiamoci,
sicuramente il Vicesindaco ha ragione nel constatare che le
manifestazioni culturali dell’Estate romana riproposte a
partire dagli anni ´90 da Gianni Borgna erano ben diverse da
quell’effimero durato nove anni con cui mio padre stesso,
ironicamente, amava ricordare il periodo del suo Assessorato
(tutt’altro che futile) con cui dal 1979 al 1985 sotto le
mitiche giunte rosse di Argan, Petroselli e Vetere, la città
di Roma si è affermata sul panorama internazionale come
centro propulsore di cultura.
Situazione
dunque ben diversa da quel solito e ripetitivo “mercatino
delle vacche” finalizzato ad attrarre turisti e a far
diventare il centro di Roma uno spazio di consumo aperto 24
ore su 24 con cui le ultime edizioni dell’Estate romana
avevano condannato Roma. E tuttavia con questa sostituzione
nominale avete portato a termine (consapevolmente o
inconsapevolmente) l’ultimo atto di quella Damnatio
Memoriae a cui l’assessorato di mio padre è andato
paradossalmente incontro.
Uso questa
espressione non a caso. Le vicende dell’Estate romana
sembrano infatti essere caratterizzate da un fenomeno
curioso, a tratti da vera e propria dissociazione secondo
cui, se da un lato quest’esperienza è ancora viva e
ricordata con molto affetto delle cittadine e dei cittadini
di Roma che l’hanno vissuta in prima persona – dunque
costituendo una sorta di pietra miliare in quella che
potremmo azzardarci a definire la storia orale della città
di Roma – dall’altro lato essa invece è quasi del tutto
assente dalla storia ufficiale della città.
Nonostante gli
sforzi già avviati sotto il Sindaco Marino e grazie al
prezioso aiuto del Presidente della Regione Zingaretti
concretizzatesi nella creazione della Sala Renato Nicolini e
del Fondo Nicolini presso l’Archivio Storico Capitolino per
cercare di salvare dall’oblio questa parte della storia di
Roma, sono di fatto ancora pochissimi gli studi scientifici
che si sono veramente interessati a quel periodo.
A conti fatti
esisteranno sì e no a mala pena una decina di testi tra
libri e riviste che hanno cercato di ricostruire quegli
anni, interrogando il successo dell’Estate romana nella sua
complessità e analizzandola nei suoi risvolti politici,
urbanistici e storici. Se infatti «il fenomeno di Nicolini
come Assessore alla Cultura» è prettamente incastonato in
quella particolare costellazione storica della fine degli
anni ’70 e inizio anni ’80 che ha reso indubbiamente unica e
irripetibile quella stagione, ciò non toglie, a noi posteri,
il compito di indagare quella miscela per cercare di
riproporla in una nuova versione aggiornata, riveduta e
corretta al tempo presente, come del resto è stato ribadito
appena qualche mese da un articolo pubblicato per il
Corriere della Sera in cui l’autore, Maurizio Caprara
coraggiosamente evocava un intervento creativo, innovativo e
visionario alla Renato Nicolini, «uno scatto analogo di
reni» per risollevare le sorti della cultura a Roma in epoca
di Coronavirus e Post-Coronavirus.
Ma questa
Amministrazione, annunciando Romarama, non mi sembra
assolutamente intenzionata a proseguire questo cammino,
preferendo dunque ancora una volta dissipare e sprecare
l’ennesima cosa buona presente nella città. Anzi, essa
sembra piuttosto intenzionata a volersi frettolosamente
liberare dal confronto (scomodo) con il passato, disfacendo
e buttando giù a caso, come un bambino, qualsiasi
costruzione che appare alla sua vista, dimostrandosi in
questo del tutto incapace di discernere ciò che di buono si
era costruito e sedimentato nel tempo da quello che invece
deve essere cambiato per far spazio a una nuova visione di
città. Ma qualsiasi teoria psicologica a buon mercato
insegna che non ci si può liberare del passato senza prima
aver fatto i conti con esso. E su questo punto, in quanto
figlia, permettetemi di darvi dei consigli.
Non è stato
facile neanche per me confrontarmi con la figura di mio
padre, con quel padre assente privatamente e presente
pubblicamente, capace di stupire con poco e di farsi
perdonare anche le carenze più evidenti grazie alla sua
ironia e al suo sorriso. Eppure dalla sua morte in poi, come
capita in qualsiasi elaborazione del lutto, ho cercato di
ricostruire diversi passaggi per cercare di appropriarmi di
ciò che avrei voluto conservare e ciò che invece avrei
voluto dimenticare. Permettetemi allora di mettervi a parte
delle mie riflessioni sul segreto del successo dell’Estate
romana, riflessioni che non hanno assolutamente la pretesa
di indicare una via quanto piuttosto di mostrare
principalmente un atto di cura nei confronti di un padre che
non c’è più, come capita a tutte quelle persone che si
vogliono prendere cura del proprio passato.
Tre sono
stati, a mio giudizio, gli elementi decisivi che,
cristallizzandosi tra di loro, hanno dato vita a
quell'esperienza generazionale unica e irripetibile
dell’Estate romana dal 1976 al 1985: a) il suo carattere di
novità; b) l'energia immaginativa che ha saputo sprigionare
e c) quella che si potrebbe definire come la creazione di
una cittadinanza pubblica felice.
Iniziamo
allora dal primo elemento: il novum che la
manifestazione dell'Estate romana, ai suoi inizi, ha saputo
creare. Roma, con le sue bellezze archeologiche, alla fine
degli anni '70 era infatti una città sì in forte espansione
ma anche in profondo cambiamento: la sua periferia cresceva
esponenzialmente e non tutti i cittadini avevano accesso ai
suoi tesori nascosti, situazione in fondo non dissimile da
quella di oggi. Inoltre, proprio perché bisognosi di tutela,
i suoi beni archeologici erano come avvolti da una patina
dorata, in fondo patrimonio di poche persone colte in grado
di usufruire e godere della loro visione. Non a caso allora,
la prima manifestazione che apre l'Estate romana, segnandone
fin da subito il suo successo, si svolge proprio al centro
della città di Roma, dentro la Basilica di Massenzio, spazio
non nuovo di per sé ma fino ad allora utilizzato
dall'Accademia di Santa Cecilia per i suoi concerti estivi.
Con la rassegna cinematografica Cinema epico,
svoltasi dal 25 Agosto al 18 Settembre 1977 «un luogo
considerato di élite, riservato ai colti e dunque ai pochi»
viene aperto, per la prima volta, a un pubblico più ampio
che, attratto da un'offerta culturale variegata, entra,
spesso per la prima volta, proprio nel suo centro storico,
instaurando così un forte legame di appartenenza con la
città e la comunità dei suoi abitanti.
Il primo
segreto dell'Estate romana ha poggiato dunque in prima
istanza sulla possibilità di questo incontro inedito tra
classi sociali diverse, in cui i gusti culturali invece di
creare barriere hanno fatto da apripista, invitando le
persone a interagire gli uni con gli altri invece che
circoscrivere ognuno nel suo recinto abitativo e culturale.
Quel mix sapientemente dosato di "cultura alta" e "cultura
bassa" è riuscito a gettare un ponte tra immaginari
sconosciuti, portando la periferia in centro e il centro in
periferia. Anzi, direi di più, dissolvendo in qualche modo,
anche se solo per una sera, la distinzione tra centro e
periferia.
E con questo
passo al secondo elemento, quello dell'immaginario
collettivo. Attraverso la proiezione notturna sul grande
schermo resa possibile da allestimenti effimeri in luoghi
inusuali della città si è andati a lavorare proprio
sull'immaginario, evocando sogni e desideri nascosti in
ognuna e ognuno di noi. Rivivere la grande città di notte,
d'estate, in un tempo diverso da quello della routine
quotidiana apre di per sé lo spazio urbano alla meraviglia,
allo stupore di fronte all'inconsueto, all'altro da noi, a
ciò che non si è ancora mai visto. Vedere al Colosseo su tre
schermi costruiti appositamente il Napoleon di Abel
Gance, un film muto della durata di 4 ore, accompagnato
dall'Orchestra dell'Opera di Roma sotto una pioggerellina
leggera è sicuramente un'esperienza rarefatta, al limite tra
la realtà e l'immaginazione. E proprio questo senso di
meraviglia che la comunità urbana può evocare è alla base di
quell'esperienza del «meraviglioso urbano» con cui mio padre
amava descrivere quell'incontro inaspettato tra la città, i
suoi luoghi e i suoi abitanti che è anche un
incontro/scontro di sogni, aspettative, progetti, opinioni e
punti di vista che rendono viva la comunità urbana.
Con l'Estate
romana, come ha ricordato proprio Jack Lang, dopo la
proiezione del Napoleon al Colosseo: «c'era la sensazione
che quello che Renato chiamava "meraviglioso urbano" fosse
proprio realtà».
Dunque qui, nel secondo segreto, si ha a che fare
principalmente con un intervento culturale che gioca tra la
città e la sua proiezione, proponendo coraggiosamente delle
visioni urbanistiche capaci di modificare poi di fatto non
solo l’immaginario personale di ognuna e ognuno di noi ma
anche la composizione urbana della città stessa. Ricordiamo
infatti che dopo il successo di Massenzio al Colosseo è
stata pedonalizzata l’area accanto al Colosseo, togliendolo
alla sua funzione di rotatoria spartitraffico così come in
seguito alla creazione di parco Centrale a via Sabotino è
stata impedita l’ennesima speculazione edilizia per
destinare l’area a parco pubblico.
E infine
eccoci giunti al terzo e ultimo ingrediente segreto:
l'attivazione di una esperienza culturale di felicità
pubblica che è stata in grado di creare una comunità di
cittadine e cittadini innamorati della propria città,
andando oltre il concetto di mera cittadinanza.
L’esperienza dell’Estate romana è
diventata un’esperienza generazionale proprio perché ha
permesso di sperimentare insieme una forma di “felicità
pubblica”, di “appartenenza gioiosa” alla città di Roma nel
suo complesso, così come è stata in fondo espressa da Lucio
Dalla nella canzone La sera dei miracoli dedicata
alla Roma nicoliniana delle Estati romane.
Una sera d’estate, una sera di gioia, una sera in fondo dove
tutto è possibile e in cui si guarda avanti, fiduciosi in un
futuro prossimo che ancora non è arrivato ma che arriverà.
Un momento di gioia collettiva in cui ci si riscopre amanti
di questa città meravigliosa, antica, rinascimentale,
barocca e moderna allo stesso tempo in grado di stupire e
affascinare come nessun’altra città del mondo. E
lasciatemelo dire proprio con lo sguardo di chi ormai
trasferitosi all’estero guarda Roma con incantata nostalgia.
Cancellare
l’Estate romana significa allora seppellire l’ennesimo
tesoro nascosto di questa città, non amarla, lasciarla
incustodita e alla mercé di qualsiasi offerente, farla
diventare un ennesimo contenitore senz’anima che deve essere
riempito per intrattenere il turista e il cittadino
qualunque. Come in qualsiasi altra città del mondo. Per
favore, non fatelo! Lasciate Roma ancora in grado di
stupire, di far innamorare di sé anche le sue cittadine e i
suoi cittadini e soprattutto di mostrarsi nella sua unicità
spettacolare in una calda sera d’estate.