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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Ma la sardina col velo no, “per la
contradizion che nol consente” di Paolo Flores d’Arcais*
Il velo islamico è un simbolo di
oppressione. Al quadrato, anzi. Oppressione della religione
sulla legge civile, a cui pretende di imporsi, violando
quella precondizione della democrazia che è il principio di
laicità dello Stato. E di oppressione dell’uomo sulla donna,
quando la religione islamica pretende di prendere più o meno
alla lettera il Corano e la Sura IV, “delle donne”, appunto.
In realtà neppure il Corano obbliga esplicitamente le donne
a coprirsi i capelli (o l’intero volto, o l’intero corpo, a
seconda delle varie forme più o meno oltranziste di “velo”),
a conferma che il velo è in realtà un simbolo dell’Islam
politico, della religione che vuole imporre la sua legge a
tutti, tanto è vero che viene introdotto o mantenuto come
obbligatorio dalle teocrazie islamiche, e incentivato da
quei regimi che elementi di oppressione religiosa intendono
reintrodurre (Erdogan in Turchia, ad esempio). Ho detto “più o meno alla lettera”,
perché a prendere alla lettera la Sura IV del Corano si deve
allibire (democraticamente parlando): “Gli uomini hanno
autorità sulle donne per la superiorità che Dio ha concesso
agli uni sulle altre … Quelle di cui temete l’indocilità,
ammonitele, lasciatele dormir sole, battetele. Ma se vi
obbediscono, lasciatele in pace” (IV, 34). Questo duplice simbolo di oppressione è
stato perciò giustamente messo al bando dalla Repubblica
francese nelle scuole, perché in esse si devono formare i
cittadini secondo i valori di “liberté, égalité, fraternité”
che quella duplice oppressione escludono. Sul “palco” delle sardine a san Giovanni
a Roma ha preso la parola anche una donna con il velo
islamico. Una sardina orgogliosa di esibire il velo. Poiché
il palco era in realtà un pianale di Tir a un metro da terra
pochissimi se ne sono accorti, ma poi foto e filmato hanno
cominciato a circolare sul web. Le sardine hanno ripetuto prima di
ogni manifestazione che la loro bussola, la loro bandiera,
la loro stella polare, era non solo la Costituzione
italiana, ma il dovere di realizzarla perché in realtà
largamente disattesa dai governi che per oltre settant’anni
si sono succeduti nel nostro paese. Perciò, le sardine non possono enunciare
come programma l’attuazione della Costituzione, e poi
affidare questo messaggio a una donna che indossi il velo
islamico. “Per la contraddizion che nol consente” direbbe
padre Dante (Inferno, XXVII, 120). Ci sono donne islamiche che in molti
paesi occidentali sostengono di indossare il velo per loro
libera scelta, pretendendo perciò che non sia un simbolo di
oppressione (al quadrato, abbiamo visto). Sono certo che per
molte il vissuto personale è questo, ma il ruolo pubblico
dei simboli ha una sua storia e non sempre coincide col
vissuto personale. Conosco dei cristiani, e perfino
non pochi cattolici, che del loro Dio crocifisso fanno un
simbolo di accoglienza, di tolleranza, di solidarietà, di
difesa dei più deboli, poveri, emarginati. Fino alla
santità, talvolta (quella vera, non quella degli Altari, con
i suoi Escrivà de Balaguer e altri “santi”). Ma il
crocifisso nelle aule scolastiche è il simbolo della pretesa
di una religione di essere “più eguale” delle altre e “più
eguale” di ogni convinzione scettica, agnostica, atea. È
insomma un simbolo di oppressione. Di prevaricazione del
cattolicesimo gerarchico sulla laicità dello Stato (chi
chiede di realizzare la Costituzione deve chiedere che venga
tolto dalle aule, esattamente come esigere che i corsi di
religione cattolica vengano sostituiti dalla storia delle
religioni e delle critiche delle religioni). Per il velo islamico vale la stessa
cosa. Resta un simbolo di oppressione, sulle donne e sulla
laicità. Quale che sia il vissuto di libertà di qualcuna che
liberamente lo indossa. E finisce per essere simbolo di
oppressione innanzitutto nei confronti delle donne
islamiche. In Francia sono proprio donne e uomini nati nella
religione islamica che denunciano la persecuzione,
silenziosa o apertamente minacciosa, che devono subire
perché non si uniformano al credo e al clima dominante nei
ghetti in cui vivono, e denunciano il velo come sessista e
oscurantista. Chiedere di realizzare la Costituzione è
impegnativo. Perché a parole, a chiacchiere, a retorica
negli anniversari, tutti i governi le rendono omaggio. La
differenza consiste nella coerenza tra il dire e il fare. Le
sardine nascono dalla denuncia di questo scarto: la
Costituzione c’è, voi politici dite di farla vostra, in
realtà non la realizzate e perfino la oltraggiate. Ecco perché le sardine hanno il
dovere di un comportamento rigorosamente coerente con i
valori costituzionali, altrimenti ne va della loro intera
credibilità. E il velo islamico con la Costituzione
repubblicana è in contraddizione insanabile, quella che
Immanuel Kant chiamava “Realrepugnanz”. MicroMega.net 16 dic. 2019
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