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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Contro l’antisemitismo è l’ora
dell’intransigenza di Pierluigi
Battista*
Ora, però, questa orribile storia
dell’immagine di Anna Frank sfregiata da un gruppo di
cialtroni nella curva laziale non può e non deve diventare
la fiera del bel gesto dettato dall’indignazione a comando.
Dicono, animati dalle migliori intenzioni certamente:
facciamoli sentire isolati, gridiamo con le nostre
magliette, coni nostri simboli, con i nostri discorsi, con
le nostre scritte, con le nostre corone di fiori, che
l’antisemitismo di questi idioti non ha spazio negli stadi e
nella società civile. Ma il cattive gusto è in agguato ed è
meglio dire, più prosaicamente e tuttavia più efficacemente: Da oggi non la farete più
franca, con voi la parola passa alla
repressione intransigente senza troppi distinguo e
giustificazionismi, vi abbiamo individuato, non metterete
mai più piede in uno stadio, Daspo eterno, e galera se
vengono riconosciuti i reati, e pugno di ferro, squalifiche
spietate con le società di calcio come è avvenuto in
Inghilterra stroncando gli hooligans, così imparano a non
vigilare sui violenti, sui razzisti, su quelli che si
portano la svastica appresso e inneggiano ai nazi e dicono
schifezze su Anna Frank perché sanno che resteranno
impuniti. Ecco: basta impunità. E il deterrente più efficace,
l’arma dissuasiva più potente: non vi azzardate mai più,
guardate come stiamo trattando con durezza quelli come voi.
L’indifferenza, l’accondiscendenza, sono finite, come la
nostra pazienza. Poi certo, è giusto anche esortare alla
lettura del Diario di Anna Frank. Ma purtroppo i mascalzoni
che ne hanno voluto imbrattare la memoria sanno benissimo
chi è stata Anna Frank, e hanno voluto inscenare il loro
orrendo spettacolino proprio perché lo sanno, proprio perché
il loro messaggio apparisse più lugubre e minaccioso, perché
sanno tutto il dolore che il nazismo ha inflitto agli ebrei,
sanno cosa è accaduto a una ragazzina nascosta in una
soffitta di Amsterdam durante la Shoah, e sanno che
vorrebbero riservare ai nemici lo stesso trattamento. In Cari fanatici,
appena pubblicato da Feltrinelli, Amos Oz dice che i
peggiori crimini politici non nascono dall’ignoranza, ma dal
fanatismo. Sono fanatici i negazionisti
che parlando della «menzogna di Auschwitz»,
vorrebbero in realtà esaltare lo sterminio e replicarne
l’orrore. Anzi, il negazionismo nacque verso la fine degli
anni Cinquanta proprio bersagliando la veridicità del Diario
di Anna Frank che attraverso le atrocità vissute da una
ragazzina ebrea aveva risvegliato finalmente la memoria
dell’Olocausto dopo un lungo periodo di silenzio, in cui
persino Se questo è un uomo di Primo Levi aveva
incontrato difficoltà nella ricerca di un editore.
Sapevano chi era stata Anna
Frank, ma volevano deturparne la memoria
facendo presa sulle zucche vuote dei loro seguaci. Come i
teppisti dello stadio romano (alcuni minorenni, addirittura)
che hanno agitato un simbolo dell’odio razziale e
antiebraico per fare ancora più male, per sfidare il mondo,
per apparire più cattivi. Bisogna che la società e lo Stato,
a questo punto, siano «cattivi» con loro, applicando con
loro la legge nel modo più severo, senza indulgenze. Ma noi abbiamo il tabù della
repressione intransigente, ci sembra troppo
brutale e cruda, poco «simbolica», poco comunitaria,
mediaticamente emozionante. E allora ci inventiamo cerimonie
sostitutive. La corona di fiori portata dal presidente della
Lazio in Sinagoga, la declamazione di brani del Diario di
Anna Frank prima delle partite che rischia addirittura di
essere un boomerang, e poi, colmo del cattivo gusto e della
banalizzazione, le magliette da indossare con il volto di
Anna Frank o le magliette con il simbolo della stella
gialla, quella che gli ebrei dovevano indossare per volontà
dei persecutori e che oggi davvero appare grottesco
associare a una maglietta di calcio, anche sotto forma di
impotente denuncia. Meno magliette, meno simboli e
più polizia, più magistratura, più rifiuto
di ogni indulgenza. Questa è la discontinuità che vorremmo
dallo Stato e dalla società. Perché «mai più» sia un impegno
serio, e non la solita formula vuota e retorica. *Pierluigi
Battista,
Corriere della Sera, 25 ottobre 2017
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