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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Poletti e referendum contro il Jobs-act di Maria Mantello
Il ministro del Lavoro Giuliano
Poletti a proposito dei giovani all’estero in cerca di
occupazione ha detto: «conosco gente che è andata via e che
è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo
Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Ma sono gli italiani ad essere stufi di
avere tra i piedi i suoi piedi di elefante con cui piroetta
sulla testa degli italiani nell’albagia della tronfia
sicumera di chi - nonostante la grandinata di No al
referendum costituzionale - continua ad esistere come
ministro: replicante tra replicanti nel governo replica a
marchio Renzi. Come se nulla fosse successo
rieccoli i bulimici “riformatori” che non ne hanno azzeccata
una: dalla Scuola al Lavoro alla legge elettorale ... alla
Costituzione. Non si aspettavano che l’Italia si
svegliasse. E forse per questo è nervosetto il
signor Poletti, visto che all’orizzonte appare il referendum
abrogativo di quel Jobs-act per cui il ministro del lavoro
si è tanto speso. Le firme raccolte dalla CGIL (oltre tre
milioni) hanno già passato l’esame della Cassazione, e l’11
gennaio prossimo sarà la Consulta a dover pronunciarsi
sull’ammissione dei tre quesiti che chiamano il popolo
sovrano ad eliminare i famigerati voucher (buoni lavoro), a
ripristinare il principio del reintegro del lavoratore
illegittimamente licenziato, a reintrodurre la
responsabilità dell’impresa che commissiona appalti ad
assicurarsi che la ditta appaltatrice rispetti i diritti dei
lavoratori. Insomma il ripristino delle tutele
costituzionali del lavoro cassate dal governo Renzi. Poletti non ci dorme la notte per
cercar cavilli per dilazionalo, evitarlo, affossarlo questo
referendum, e con lui il circolo renziano, dato il rischio
di replica di un’altra grandinata di voti popolari che
potrebbe davvero stramazzarli (asfaltarli?). La propaganda della “democrazia
soggetta al mercato” non ha funzionato. La sua soap-opera da
scambiare per realtà è implosa. Gli sfruttati
si sono moltiplicati e non sono più disposti ad essere la
docile macchina che produce ricchezza per i loro
sfruttatori. La trentennale favola della
flessibilità[1]
spacciata come incremento dell’occupazione è stata il filo
nero dell’assalto alla Repubblica fondata sul lavoro, a cui
il renzismo ha messo il sigillo finale. arrivando a regalare
al padronato lo scalpo dello Statuto dei Lavoratori. Sperava
anche in quello della Costituzione, ma sappiamo come è
andata. «Togliamo le garanzie dell’art.18,
ma garantiamo la sicurezza ai precari» sproloquiava il
principe della rottamazione facendo leva sul divide et
impera in guerra generazionale. La caligine illusionista della
bugia del tempo indeterminato senza garanzie contro il
licenziamento senza giusta causa e giustificato motivo si è
dissolta: nella realtà della precarizzazione generalizzata
di tutti, dove i voucher sono diventati nella legalizzata
proliferazione renziana il lasciapassare per il ritorno al
lavoro schiavo. Mentre la propaganda di regime li usava
ad implemento dei dati statici sull’occupazione,
conteggiando anche chi solo occasionalmente riesce a trovare
uno straccio di lavoro a cottimo, che gli fa intascare dopo
8-10 ore di lavoro ininterrotto pochissimi spiccioli. L’Italia s’è desta. Lorsignori
fanno bene ad essere preoccupati. Anche su micromega.net:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/category/maria-mantello/
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