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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Il burkini e la sharia in
Occidente di Maria Mantello
Il
burkini non è un progresso verso la libertà delle donne
islamiche di abbigliarsi come meglio credono, come qualcuno
va ripetendo. Quel chador da mare, che nel nome evoca
il burka e nella studiata assonanza si contrappone al
bikini, è il segno della penetrazione della sharia in
occidente. L’appartenenza islamica si palesa
inequivocabilmente nel velo indossato dalle donne, e non si
può ignorare l’uso di manifesto pubblico che assume:
bandiera del programma islamista per bloccare ogni
integrazione possibile nelle democrazie occidentali. Con quel velo, in tutte le sue versioni
-acquatiche comprese- si esibisce e cerca di imporre
la non negoziabilità della legge musulmana. La sharia
diventa così un parallelo binario legislativo. Uno stato
nello stato. La copertura della donna (Al-hijab)
è un precetto. E a questo da secoli vengono educate le donne
islamiche fin dall’infanzia, in modo che alla fine il
controllo patriarcale sia talmente ben riuscito da far dire
loro: “il velo lo voglio portare”. Altro che libertà!
È schiavitù consenziente! Ma un obbligo religioso non può essere
legge in uno stato democratico. E quando questo accade si
intacca il supremo valore laico del diritto di ciascun
individuo di emanciparsi dalla pretesa di chi vuole far
coincidere l’umanità con l’identità religiosa.
Se quelle donne gettassero alle ortiche
il chador, se volessero indossare il bikini in spiaggia o in
piscina sarebbe loro consentito dal clan familiare? O
dovrebbero subirne ritorsioni d’ogni sorta?
Violenze che si consumano nel silenzio
delle mura domestiche... fino anche all’omicidio rituale.
Come nel caso di Hina Salem, 21 anni, sgozzata in provincia di Brescia dal padre, proprio come fanno i macellai dell’Isis, perché la ragazza voleva vivere “all’Occidentale”. Rifiutava il matrimonio combinato, portava la minigonna, voleva sentire il vento della libertà sui suoi capelli....Accadeva dieci anni fa, l’11 agosto del
2006. E grande fu l’indignazione che ci costrinse ad aprire
gli occhi. Poi, in nome del grande equivoco
multiculturale, è sceso nuovamente su tante coscienze il
velo buonista della pariteticità di usi e costumi; mentre si
incensavano sedicenti rappresentanti dei “diritti” dei
musulmani, ignorando il loro stretto legame finanziario e
ideologico con i gruppi più integralisti dei paesi islamici
(Cfr: Necla Kelek, “Il rischio shari'a nel cuore
dell’Europa”, in MicroMega, 2/2016). Compito degli stati democratici è
favorire e promuovere l’autodeterminazione di ogni
individuo, che non può neppure iniziare, se in nome del
multiculturalismo lo si abbandona al circolo concluso
dell’omologazione ad un gruppo, che lo sovrasta e schiaccia
nel sigillo di un dio assoluto. Se viene infatti prima l’appartenenza al
gruppo religioso e ai suoi precetti, ognuno prima di poter
essere individuo -specialmente se donna- si deve adeguare ai
precetti del gruppo che, di fronte ad una democrazia debole,
riesce a conquistare spazi anche per usi e costumi
incompatibili con la democrazia. Allora, il baluardo laico della
separazione tra religione e stato, va preteso. E mentre
ancora lottiamo contro ingerenze e privilegi clericali di
casa nostra, non possiamo consentire zone franche a chi
identifica la moschea con lo stato. anche su MicroMega.net
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