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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Lo schiavismo moderno e la paura che ci blocca
di Pierluigi Battista
Avanza su Via Nazionale un omone corpulento, enorme. Ai polsi, attorno al collo, sulle dita di entrambe le mani sembra una semovente miniera d’oro massiccio: anelli, orologio, braccialetti, catenine e catenone. Guarda le vetrine distrattamente, camminando con affaticata lentezza, per non sfidare troppo la canicola romana. Dietro di lui un’ombra nera. Non possiamo sapere nulla del bipede infagottato in una tunica nera che avvolge tutto il corpo, la testa, il volto, gli occhi nascosti da un paio di occhiali da sole, ai piedi scarpe nere piatte, che possiamo solo intravvedere tra le pieghe del sudario che arrivano fino all’asfalto. Una donna, ecco. Totalmente cancellata come essere umano. Una figura invisibile che cammina a piccoli passi per star dietro all’omone che è il suo padrone, e che ostenta la sua arrogante indifferenza verso la non-persona che lo segue come una schiava che nel nome del Corano deve solo obbedire, compiacere il suo tiranno. Magari è solo una bambina, chi lo sa. Non possiamo vedere nulla di lei, trattata e nascosta come un nulla. È la prima volta che ho visto una scena simile a Roma. L’avevo vista a Londra e a Vienna. Qui fa un po’ più impressione, forse è l’effetto sorpresa. Mi domando però se dobbiamo farci l’abitudine, a questo triste spettacolo dello schiavismo moderno. Mi domando se il senso di repulsione che questa scena mi suscita sia il frutto di un pregiudizio «etnocentrico» o se non sia una forma di sano imbarazzo puramente umano. E se non ci si debba ribellare, nelle coscienze almeno, a questo sfoggio di umiliazione delle donne, a questa nullificazione di esseri umani che, sole e calpestate, non possono cambiare il loro destino. È un costume che va rispettato, per convivere pacificamente con l’Islam? A me sembra di no. Se noi vedessimo una donna, o un bambino, o un qualunque soggetto debole, trascinato con un guinzaglio al collo da un uomo prepotente non faremmo in modo di fermarlo? Non vorremmo veder finito quello spettacolo osceno e mortificante? Ci appelleremmo alla pluralità dei costumi, alla varietà vitale delle culture, alla diversità dei modelli sociali, al rispetto che si deve ad ogni fede? Quell’essere minuto senza corpo, senza volto, senza sguardo, senza sesso e genere sembra piuttosto la vittima designata della nostra ignavia e del nostro conformismo. Se potesse ribellarsi. Se noi le dessimo una mano a ribellarsi. Ma non vogliamo farlo, nascosti anche noi, sotto le nostre paure.
* Corriere della sera 24 luglio 2016
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