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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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L’Italicum e la falla della
democrazia di Gianni Ferrara*
Se Giorgio Napolitano si è deciso,
finalmente, a far rilevare l’insostenibilità dell’Italicum,
non è improbabile che Renzi, dopo averlo imposto con
irresponsabile arroganza e imprevidente superficialità,
voglia modificarlo. Non per scrupolo costituzionale, certo,
ma per essersi reso conto di aver confezionato il meccanismo
esattamente adeguato alle aspirazioni del M5S. Modificarlo,
quindi, ma come? Sappiamo cosa pensano i deputati del Pd
sulla formazione della rappresentanza politica, cardine
della democrazia. Ed è purtroppo desolante il quadro che
ci ha offerto il Corriere della Sera dell’8 luglio scorso,
sulle loro opzioni in materia di sistemi elettorali. Non
migliora tale quadro la proposta della minoranza del Pd, il
cosiddetto Mattarellum 2.0 quanto a conformità ai principi
costituzionali, quanto a comprensione dello stato della
democrazia in Italia. A poco più di un mese delle elezioni del
5-19 giugno con cui sono stati scelti gli uomini e le donne
al comando dei comuni italiani, si potrebbe e si dovrebbe
riflettere sul significato di queste elezioni. Al di là dei risultati ottenuti da un
centrodestra diviso ma non certo dissolto, al di là della
sconfitta subita ed ammessa da Renzi , al di là del successo
del M5S nell’ottenere consensi alle sue variegate identità,
al di là soprattutto degli effetti di un sistema elettorale
disegnato per il bipartitismo e che produce un
tripartitismo, come reiezione alla imposizione bipolare ma …
riproducendola e condannando all’astensione gli elettori di
candidati divenuti introvabili. Al di là di tutto questo non esaltante
coacervo di contraddizioni, il risultato di queste elezioni
ha rivelato una verità irrefutabile. A giugno ha votato solo
il 50,54 per cento degli elettori. Su questo giornale
Fabozzi e Villone ne hanno già denunziata la gravità. È bene
ribadirla, valutarla per quel che comporta, sottende,
determina. Quel voto rivela che la democrazia italiana è
giunta al limite della sopravvivenza. È sull’orlo della
falla – il cinquanta per cento più uno dei cittadini
elettori – oltre cui la vitalità della democrazia si
sospende. Si sospende per resezione, separazione,
dimezzamento dei suoi elementi costitutivi, in nome e per
conto della governabilità, il totem inventato dalla
Trilaterale per sottoporre la democrazia al dominio del
mercato capitalistico. Con la resezione del corpo elettorale
che nega l’universalità del suffragio. Con la separazione
degli elettori tra votanti e non che nega l’eguaglianza
politica. Con la riduzione alla metà della
rappresentanza che dimezza la sua forza politica, nega la
sovranità popolare, contrae quella statale, già ceduta in
larga parte a quel monumento istituzionale del liberismo che
è l’Unione europea. Si replicherà a queste rilevazioni
ricordando che, qualunque sia la sua forma, la non
partecipazione al voto è elusione del «dovere civico», ex
art. 48 della Costituzione. Lo è. Si ometterebbe però
l’essenziale, e l’essenziale è che si è nel campo normativo
dominato dal «diritto di voto», diritto configurato come
«eguale, libero e segreto». Qualificazioni, queste tre, che
impongono al legislatore di interpretare ciascuna di esse
secondo stretto diritto in relazione quindi alla funzione
del voto. Funzione che può essere, come nei referendum,
immediatamente decisionale e richiede perciò solo la chiara
formulazione della dualità oppositiva del quesito. Se il
voto è invece strumento di costruzione della rappresentanza,
perché questa è strutturalmente plurale – o non è – plurale
deve essere la griglia delle scelte. La pluralità
strutturale del rappresentato deve potersi rispecchiare, per
quanto possibile, nella pluralità strutturale del
rappresentante. Per una ragione quanto mai evidente. La
pluralità è immanente all’eguaglianza politica così come la
libertà non è riducibile a una scelta duale. Imporla è
inutile oltre che delittuoso. Da venti e più anni questi elementari
principi della democrazia vengono tenacemente esclusi dalle
leggi elettorali che si succedono in Italia. Una riforma
dell’Italicum col premio alla coalizione, o col
maggioritario a doppio turno, non sottrarrebbe il sistema
elettorale e quindi la democrazia alla restrizione e alla
distorsione della rappresentanza imposte dalla tirannia
della governabilità. Il primo perché manterrebbe il
premio di maggioranza, che è, oltre tutto, fattore
indiscutibile di appropriazione indebita di seggi
parlamentari, pur se legalizzata. Il secondo perché
produrrebbe effetti di omologazione della sinistra alla
destra, come dimostra inequivocabilmente la presidenza
Hollande (e come dimostrò quella di Mitterrand). Né si
sottrarrebbe alla restrizione-distorsione un sistema a
collegi uninominali, come il Mattarellum 2.0 perché
escluderebbe dall’essere rappresentati gli elettori che non
hanno votato il candidato del loro collegio che ha ottenuto
un solo voto in più dei voti ottenuti da ciascuno degli
altri candidati. Voti che, assommati, costituirebbero
comunque la maggioranza reale degli elettori, voti che,
collegio per collegio, sarebbero invece amputati della loro
efficacia, dispersi. Efficacia che sarà invece aumentata di
ben 90 seggi ai voti che andrebbero alla prima lista (o
coalizione), con … soli 30 seggi ai voti ottenuti dalla
seconda lista. La novità maggiore che caratterizzerebbe
tale sistema elettorale è proprio quella della graduazione –
differenziazione dell’efficacia dei voti e, quindi, anche
del potere elettorale degli elettori. Alcuni dei quali
elettori ne otterrebbero il massimo, altri un bel po’, altri
ancora solo quello corrispondente alla posizione dei
deputati «comuni» e meno, molto meno gli elettori di quei
deputati ai quali si concede (solo) il «diritto di tribuna».
Invenzione, questa, che per graduazione – differenziazione
di elettori e di eletti non ha precedenti e conclude
l’oltraggio al principio di eguaglianza che tale sistema
reitera. Ritenere poi che il Mattarellum
2.0, rovesciando la tendenza all’astensionismo, dovuta al
deficit di rappresentanza credibile, riconquisterebbe la
fiducia dei cittadini alle istituzioni della democrazia
supera le soglie dell’illusorio. Così come raggiunge il
vertice dell’irrazionalità il rifiuto pregiudiziale
dell’unico sistema elettorale che assicura la
partecipazione, l’autenticità della rappresentanza, il
consenso non estorto e distorto ai governanti da parte dei
governati, il sistema proporzionale. * il Manifesto, 23 luglio
2016
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