|
Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
| |||||||||||
|
| ||||||||||
Lettera al marito di
Virginia Raggi
La civiltà oggi permette alle donne di essere libere e
potenti e di lasciare la famiglia a casa, esattamente
come da sempre gli uomini possono fare.
di Jonathan Bazzi
Caro Andrea Severini,
Non mi va di infierire sulla carne viva di questioni
emotive private, su legami delicati che vivono e muoiono
tra le mura di casa, anche se proprio tu hai provato a
rendere pubbliche faccende che pubbliche non sono. In
ogni caso, scrivo a te per quello che rappresenti, della
tua persona non so quasi niente: ti scrivo in risposta
alla tua lettera aperta di cui tanto si è parlato,
simbolo ai miei occhi di tutto un repertorio di atti e
atteggiamenti dell’uomo verso la donna o per meglio dire
del maschile verso il femminile.
Ebbene: l’elezione di Virginia Raggi al ballottaggio di
domenica 19 giugno non ti riguardava, tutt’al più che
tua moglie mi sembra di capire stia pure per diventare
la tua ex moglie. Quindi nel tuo gesto si coglie
soprattutto la consueta invadenza puerile – che sa
diventar cafona – che spesso molti uomini hanno verso le
donne. Un senso di proprietà inestinguibile, che non
viene meno neanche alla fine di un rapporto.
“Quante volte ti ho detto che ti vedevo bene come
sindaco e che ero sicuro che ce l’avresti fatta? Così è
stato!”: questo scrivi, come a rimarcare un merito.
Insopportabile poi questa prima persona plurale che
torna e ritorna – noi, noi, noi. Praticamente ti senti
eletto pure tu, la donna qua non ha nessuna “stanza
tutta per sé”, come scriveva Virginia Woolf riferendosi
alla storica mancanza di spazi privati per le donne,
condizione che a lungo ha impedito il fiorire di
un’arte, di una letteratura femminile. Lo spazio che
conquista la donna lo deve immediatamente condividere,
volente o nolente, col marito mentore.
Una delle grandi priorità per le donne, come ha scritto
in questi giorni Michela Murgia, è quella di affrancarsi
dalla tendenza che le riduce sempre ai suoi legami
familiari. L’uomo appartiene al mondo, alla scena
pubblica, ha quello statuto lì, alto, nobile, meritevole
delle cose serie, la donna invece appartiene al bagno e
al tinello e quando arriva in certe posizioni ci arriva
così, accidentalmente. Il legame con la casa e la
famiglia non viene mai meno, si continua a ridurla al
proprio ruolo di figlia, di madre, di moglie.
La tua lettera mi sembra importante e meritevole di
attenzione perché investe la vittoria elettorale di
Raggi (impariamo a togliere quell’eloquente articolo
determinativo – “la” Raggi – che sminuisce le
personalità femminili) di un qualcosa di amatoriale, di
poco autorevole, ufficioso. Tenta in definitiva di
ridurre la sindaca di Roma alla moglie di Andrea
Severini, che è arrivata dov’è arrivata grazie
all’incoraggiamento pregresso e attuale del marito.
Nonostante sia più famosa di te, abbia più potere e
responsabilità di te, a te deve essere ricondotta. Non
basta mai, non è mai sufficiente, la donna sconta un
deficit ontologico, originario.
Le donne non saranno mai autonome finché non si smetterà
di vederle col grembiule anche se siedono in parlamento
o in Campidoglio. O di giudicarle esteticamente anche se
hanno scelto carriere diverse da quella della modella o
di ragazza immagine. O ancora, per tornare con la
memoria a un fatto di qualche mese fa, finché non sarà
per loro possibile togliere la giacca durante una
conferenza per il caldo senza che l’uditorio (maschile)
rumoreggi.
In Italia, come la tua lettera conferma, sembra sempre
che la donna sia un’appendice, un prolungamento
dell’uomo – prima del padre, poi del marito. La tua
lettera lo conferma perché nel momento in cui tua moglie
vince una competizione elettorale così importante ti sei
sentito subito in diritto di diffondere quelle righe
che, oltre a rendere pubblica la vostra privatissima
situazione sentimentale, di fatto hanno occupato
forzatamente la scena, una scena che non può, non deve
essere solo della femmina di casa.
Tu, il marito, hai fatto valere qualcosa come
un’appartenenza asimmetrica, tipica cifra del rapporto
tra i sessi, quantomeno in Italia. Un rapporto che
permette una presa della parola così indelicata.
Qualcosa che ricorda un po’ l’atteggiamento del padre
verso la figlia quando questa ha il saggio di danza. Un
paternalismo di base che rappresenta la versione soft
del tipico maschilismo all’italiana, mentre quella hard
è data dai mostruosi esempi di violenza ormai all’ordine
del giorno. Un paternalismo che ti spinge addirittura a
dare consigli a chi collaborerà con tua moglie,
esattamente come farebbe il padre che affida la figlia a
un nuovo uomo.
E’ ora di spezzare il nesso simbolico che storicamente
ha collegato la scarsa forza fisica femminile al
predominio maschile: la civiltà oggi permette alle donne
di essere libere e potenti e di lasciare la famiglia a
casa, esattamente come da sempre gli uomini possono
fare.
22 giugno 2016 (http://www.gay.it/donne/news/
|
|||||||||||