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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Piazza Fontana, la strategia per reprimere libertà e diritti di Giacomo Nocera
Il 12 dicembre 1969 è una data che ha segnato una svolta nella storia italiana. Quel giorno una bomba collocata da un gruppo di fascisti di Ordine Nuovo, con la collaborazione e la copertura degli apparati dello stato, esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana e uccide 17 persone. Tre giorni dopo l’anarchico Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato di essere coinvolto nella strage, viene fatto precipitare dal quarto piano della questura. Da lì parte una trama politica – gestita dal Ministero degli Interni e dai servizi segreti – che attribuisce ai gruppi di estrema sinistra la responsabilità dell’attentato: Pietro Valpreda passa anni in galera prima di essere riconosciuto innocente. L’obiettivo era gettare il paese nel terrore e favorire una svolta autoritaria, per bloccare il forte movimento di rivendicazioni sindacali, sociali e politiche che volevano cambiare profondamente la società e farla uscire dall’oscurantismo clericale gestito dalla Democrazia Cristiana. L’Italia era al centro di trame gestite in prima persona dagli Stati Uniti e dai loro servizi segreti, che organizzavano e utilizzavano le basi di una vera e propria “Internazionale nera” che aveva le basi nei regimi fascisti di Spagna e Portogallo e che avevano organizzato nel 1968 il colpo di stato dei colonnelli in Grecia. E i legami tra i fascisti italiani e il regime greco sono stati decisivi nell’organizzazione delle stragi in Italia. Nel tempo una serie di inchieste, giudiziarie e giornalistiche, hanno portato all’affermazione della verità: la strage di Piazza Fontana era un tassello di una strategia di lungo periodo che ha insanguinato l’Italia e che, utilizzando la manovalanza dei gruppi di estrema destra, aveva lo scopo di strangolare la democrazia. Un disegno fallito per la mobilitazione di milioni di cittadini e delle forze democratiche, che ha visto pagare per i crimini commessi solo qualche figura fascista di secondo piano e soltanto per qualche episodio, nessuno comunque degli appartenenti allo Stato. Difendere la verità sulla strage di Piazza Fontana e gridare in piazza che i fascisti sono gli esecutori e lo Stato è complice, non significa solo affermare una verità storica, ma vuol dire combattere per impedire che gli assassini di ieri assieme ai loro eredi possano propagandare la loro lugubre ideologia di violenza e di morte. Allora prevaleva una fase molto avanzata della lotta di classe “contro” i padroni. Questa strage, venuta dopo il 1968, fu fatta per tentare di bloccare il grande movimento pacifista e anti-imperialista internazionale e per tentare di bloccare le rivendicazioni dei lavoratori, che “scoppiarono” nel cosiddetto “autunno caldo” e che portarono ad esempio alla promulgazione dello “Statuto dei Lavoratori, nel 1974. Adesso, siamo in una fase in cui “i padroni” hanno stra-vinto la loro “guerra di classe” contro le intere popolazioni di quasi tutti gli Stati cosiddetti “occidentali” utilizzando gli effetti economici della cosiddetta “Globalizzazione” e la “Crisi” per tagliare salari e diritti. E’ evidente che un simile “capitalismo-finanziario” non possa che essere fortemente militarista e guerrafondaio. In Italia, le condizioni di lavoro sono ormai vicine a quelle della “servitù”. Il cosiddetto Job-act, varato dal Governo Renzi (un governo che vara leggi “di destra”) sta cancellando i diritti dello Statuto dei Lavoratori. Non dimenticare la nostra “Storia” può essere molto utile per tentare di ribaltare tale situazione stagnante e tentare di riprendere posizioni economiche e sociali migliori.
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