Terrorismo in Italia, suona l'allarme rosso.
di Costantino Pistilli
Siamo tra gli obiettivi dei combattenti
dell'ISIS, lo Stato islamico che ha conquistato zone
irakene, città libiche e che promette di conquistare Roma e
Gerusalemme per distruggerle, proprio come inneggiava Georg
von Schönerer il politico austriaco pangermanista e vate di
Adolf Hitler: "Ohne Juda, ohne Rom; wird gerbaut Germaniens
Dom. Heil!"("Senza Giuda e senza Roma, si edifica il duomo
della Germania. Evviva!")?
E ancora: l’eventuale minaccia del terrorismo domestico è
legata solamente all’ISIS e alle azioni che questi
potrebbero compiere sul territorio italiano,oppure il
pericolo che l’islam radicale rappresenta per il nostro
Paese è ben più complesso e articolato?
La risposta a queste domande è una: sì.
L’occhio dell’islam radicale è puntato anche sull’Italia per
diverse ragioni, fra cui la nostra posizione sulla crisi
siriana e la presenza sul territorio di una complessa rete
di associazioni e di individui che quella radicalizzazione
propagandano e sostengono con mezzi e uomini. Dunque, per
quanto riguarda il pericolo derivante dall’ISIS è utile
ricordare quanto ha dichiarato il ministro dell'Interno
Angelino Alfano parlando a Bruxelles a margine della
conferenza su La Strategia per la sicurezza dell’Ue: “In
Italia l‘allerta terrorismo è elevatissima: sui tremila
foreign fighters in Siria e Iraq di cui ha parlato l’Unione
Europea ci sono 48 combattenti dello Stato Islamico che sono
passati dall’Italia o che sono comunque legati al nostro
Paese”. Anche per il ministro della Difesa Roberta Pinotti i
foreign fighters italiani “sarebbero una cinquantina” -e
aggiunge- “sono numeri contenuti ma il problema è quando
rientrano", mentre il sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio dei ministri Marco Minniti, con delega ai servizi
segreti di sicurezza ha già dichiarato: "L'ISIS rappresenta
una minaccia senza precedenti per almeno due motivi: è un
vero esercito con armi tradizionali impegnato in una guerra
simmetrica. Ma è in grado anche di agire con azioni
terroristiche, come si è visto, quindi in una guerra
tipicamente asimmetrica, difficile da contrastare. Dovremo
fare i conti con questi combattenti almeno per i prossimi
dieci anni”.
Queste dichiarazioni mostrano quali sono
le preoccupazioni del governo e a seguito del vertice di
Parigi dello scorso 2 novembre sembra che anche Alfano abbia
pronto un intervento legislativo da presentare al Consiglio
dei Ministri per contrastare il terrorismo internazionale.
Intanto in Inghilterra i foreign fighters sospettati di
attività jihadiste si vedranno ritirare il passaporto
all'aeroporto e non potranno lasciare il Paese.
In Francia, invece, è stata presentata in Parlamento una
legge anti-jihad che comprende il divieto di lasciare l’Exagone
per i cittadini considerati a rischio terrorismo o
radicalizzazione per un periodo massimo di sei mesi, e in
Olanda il ministro della Giustizia, Ivo Opstelten, ha già
annullato almeno 33 passaporti di persone sospettate di
volersi unire ai jihadisti. Mentre il governo australiano ha
approvato una legge che vieta i viaggi nelle aree più
interessate dal fenomeno jihadista, dall’Iraq alla Siria,
dunque una legge antiterrorismo che include il reato di
“ingresso in un’area dichiarata” infestata dal terrorismo,
pena fino a 10 anni di prigione.
In Italia ancora non sono chiare quali
misure intenda prendere il Governo. Per ora è certo che la
nostra nazione è una buona fucina di terroristi. Due degli
attentatori di Londra, arrestati in tempo, abitavano a dici
minuti da casa mia, provincia di Latina; due semplici
adolescenti che sono cambiati quando uno zio arrivò da
Londra per farli andare con lui; stati indottrinati -un’amica
andò a trovarli e non riuscì a riconoscerli- e poi
addestrati e reclutati per piazzare una bomba custodita in
uno zainetto presso una stazione della metro della City.
Eppure erano ragazzi, italiani, normali. “Normali” quanto il
barbiere di Milano che dalla moschea di viale Jenner è
arrivato fino a Guantanamo per poi tornare di nuovo in
Italia per essere arrestato dopo poco tempo a Milano perché
coinvolto in un’inchiesta nata dalle rivelazioni di due
pentiti islamici.
Tornato libero, è stato espulso in Tunisia e da lì Adel,
l’ex barbiere di Milano, è andato a combattere con Al Nusra
in Siria. E chissà quanti adepti è riuscito a portare con
sé, così come il muratore nei cantieri tra Bologna e Padova,
Mohamed Aouadi, tutt'ora detenuto come superterrorista a
Tunisi con l’accusa di essere entrato nella “squadra
omicidi” di Ansar Al Sharia, quella che nel 2013 ha
assassinato i leader della sinistra Balaid Chokri e Mohamed
Brahmi: delitti che hanno rischiato di far precipitare la
Tunisia nella guerra civile. Ansar al Sharia, il gruppo
salafita tunisino che ha legami con l’Italia, il Paese dove
è stato ospitato anche Sami Essid Ben Khemais, piccolo
imprenditore delle pulizie a Gallarate e capo di una cellula
di terroristi che progettavano stragi in Europa, fermati in
tempo dalla polizia tedesca sequestrò ai suoi complici, da
lui ospitati anche a Milano, trenta chili di TATP, un
potente esplosivo.
Storie (queste) raccolte dal settimanale
L'Espresso dello scorso 7 agosto, dove leggiamo anche di
Osman Rabei, l’ideologo del gruppo terroristico della strage
di Madrid o dei braccianti nelle campagne tra Sicilia e
Lazio, quelli che lavoravano onestamente in negozi,
ristoranti e piccole imprese sparse per mezza Italia partiti
per andare a combattere in Siria o in Libia. E poi altri
casi: il genovese Giuliano Del Nevo, morto in Siria per la
causa jihadista; l'imam della moschea di San Donà di Piave
espulso dopo le frasi contro gli ebrei; Mohamed Game, il
libico che nell’ottobre 2009 tentò di farsi esplodere
all'ingresso dalla caserma Santa Barbara di Milano; e Musa
Cerantonio, il numero tre degli influenti predicatori
online, nato in Australia da padre calabrese e madre
irlandese, convertito all’islam e con vasto seguito tra i
combattenti occidentali che sognano la Siria, ha legami
anche con la comunità islamica italiana: nel 2012 nel nostro
Paese è stato ospite di un programma televisivo islamico su
un’emittente bresciana e ha predicato e tenuto convegni da
Imola a Pordenone, da Ferrara a Milano.
Eppure, il pericolo del fondamentalismo
islamico made in Italy è rappresentato (solo) in parte dal
fronte ISIS e ci tocca (ci riguarda) da tanti anni, come ci
dice Souad Sbai, giornalista e scrittrice italo-marocchina.
Souad, già parlamentare ed esperta del fenomeno jihadismo
sul nostro territorio e attiva nella difesa delle donne
marocchine con la sua associazione ACMID (Associazione della
Comunità Marocchina in Italia delle Donne), ha vissuto sulla
propria pelle la minaccia dell’estremismo: è sopravvissuta a
un tentativo di avvelenamento nel 2010 e recentemente ha
ricevuto una fatwa: “Giuro su Allah che c'è la licenza per
ucciderti, tu nemica di Allah e del Profeta'' le hanno
scritto. Souad, come arginare il fenomeno dell’estremismo
islamico in Italia? “Per contrastare il dilagarsi
dell’estremismo islamico occorre innanzitutto sapere quali
attività si svolgono durante gli incontri privati che
avvengono molto spesso dopo la preghiera del venerdì. So,
per certo, che durante questi incontri a porte chiuse in
alcune moschee del nord Italia alcuni individui sono andati
a dare lezione a gruppi ristretti di ‘fedeli’” Cosa si
insegna durante questi incontri segreti? “Questi ‘corsi
particolari’ hanno attirato molto la mia attenzione ormai da
qualche anno, purtroppo è quasi impossibile parteciparvi per
capire che cosa si dicono ma qualcuno ce l’ha fatta: mi
hanno riferito che i loro discorsi sono molto, molto, molto
radicali, di ispirazione wahabita o salafita. Dunque, almeno
il sermone lo traducano in italiano e lo espongano. Inoltre,
le moschee non possono aprire alle 2 del mattino perché
quello che succede è che si va in moschea a quell'ora per
parlare in maniera più tranquilla di altre faccende. In
Marocco, ad esempio, questo non accade: le moschee dopo le
preghiere vengono chiuse, non c’è possibilità di fare al
loro interno altri incontri. Inoltre, il Marocco ha
recentemente istituito una nuova legge che divide gli
incontri religiosi da quelli pubblici. Mi spiego: con questa
legge il religioso non potrà insegnare, non potrà entrare
dentro un’amministrazione comunale di qualche città, né
potrà fare politica. Farà solo il religioso. E sarà pagato
dallo stato in quanto religioso, in modo che si concentri
unicamente sugli studi teologici: ché l’imam faccia l’imam e
ché l’insegnante faccia l’insegnante. E qui in Italia,
aggiungo, non devono esserci scuole coraniche”. Difficile
bonificare questo terreno… “Intanto non dobbiamo
concentrarci solo sulle moschee: i negozi che si aprono, le
macellerie halal, eccetera, da chi sono finanziate? Chi
controlla queste attività commerciali? Il fondamentalismo è
entrato nel nostro tessuto sociale, ad esempio, se in un
palazzo dove nessuna donna ha mai indossato il velo, dopo
poco entra una donna velata, è certo che dopo una settimana
tutte le donne lo portano perché c’è sempre il marito più
arrogante che comincia a imporre agli altri mariti di fare
come lui altrimenti inizia a dire ‘Le vostre mogli non sono
rispettose del Corano’, ‘Ecco sono prostitute’ e via
discorrendo”.
Quali soluzioni allora? “Innanzitutto, devono imparare la
lingua italiana come lingua madre e Costituzione del nostro
Paese; inoltre, penso che la Consulta per l'Islam italiano
istituita nel 2005 dall'allora ministro dell'Interno
Giuseppe Pisanu e confermata nel 2006 dal ministro degli
interni Amato sia stata un’arma importante per arginare il
fenomeno dell’estremismo islamico. Ricordo che alcuni membri
della Consulta, di cui ho fatto parte, rifiutavano di
riconoscere alcuni punti della nostra Costituzione -
uguaglianza uomo-donna, ad esempio, e questo ci ha permesso
di conoscere qual è la loro vera ideologia e visione del
mondo: e meno male che è uscito il loro vero volto”. E se le
famiglie vogliono questo tipo di educazione per i loro
figli? “Allora prendano i loro figli e se li portino nei
loro Paesi di origine: così impareranno quello che vogliono
loro! Questo non è compatibile con una cultura di diritto,
una cultura di pensiero misto, la cultura occidentale…
liberale, questo tipo di cultura non è compatibile col mondo
libero. Loro fanno pressioni anche in maniera pericolosa,
usano minacciare, ricattare… Quando noi dell’ACMID ci siamo
accorti che molte donne provenienti da Paesi islamici, qui
in Italia, venivano uccise, decapitate, massacrate, oppure
scomparivano, abbiamo iniziato ad organizzarci in maniera
migliore sia come associazione, sia come telefono verde, per
favorire l’autodeterminazione di queste donne, perché senza
la loro autodeterminazione è chiaro che la sopraffazione di
questi radicali aumenterà e aumenterà anche nella comunità
italiana. Quindi, se queste persone sono d’accordo con la
Costituzione del nostro Paese, devono essere d’accordo anche
col nostro pensiero sulla libertà di religione: una libertà
non a senso unico perché quando un italiano diventa
musulmano non succede nulla, ma quando una musulmana si
converte viene sgozzata, e questa non è libertà religiosa
questa è sopraffazione, violenza”.
Parli di Rachida: Rachida Radi, una
ragazza marocchina di trentacinque anni, vittima della
ferocia del marito che, dopo un litigio, l’ha inseguita per
casa colpendola talmente tante volte con un martello da
ammazzarla. Era il 2011, a Sorbolo di Brescello, nel
Reggiano. “Mi dispiace che la stampa italiana a volte sia
miope. Rachida è la prima apostata in Italia, morta perché
voleva diventare cristiana (:) tuttavia nessun giornalista
ha speso almeno tremila battute sulla sua storia; eppure
dopo essere stata assassinata la sua salma è rimasta chiusa
addirittura per cinquantadue giorni in obitorio perché
nessuno la voleva: i cristiani avevano paura d’intervenire,
i musulmani l’hanno ripudiata finché non siamo intervenuti e
l’abbiamo liberata dal quel gelo dell’obitorio”. Uccisa due
volte. “Sì, uccisa due volte e il suo caso è servito da
esempio per far capire a varie comunità musulmane come ci si
deve comportare: chi esce dalla linea e si ribella alle
regole anche da morto viene isolato. E non stiamo parlando
di Afghanistan o del Sudan: stiamo parlando del nord
Italia”.
l'Opinione, 22 novembre 2014