Tre considerazioni
sull'art. 18. Costruire il lavoro "usa e getta"
serve ad abbassare i salari (il massimo sarà 900
euro al mese) e, comprimendo i diritti dei
singoli, azzererà quelli collettivi, accentuando
lo sfruttamento e l'impoverimento
La questione
dell’abrogazione o mantenimento dell’art.18
dello Statuto dei Lavoratori è più che mai al
centro della scena politica e ed è quindi
davvero opportuno dedicarle tre sintetiche
riflessioni su punti di fondo.
La prima riflessione
riguarda le contraddittorie
argomentazioni che si sentono da parte
datoriale e governativa: da una parte si
minimizza il problema asserendo che riguarda
una piccola minoranza di lavoratori, visto
che le sentenze di reintegra nel posto di
lavoro ai sensi dell’art.18 sono appena 3.000
all’anno, ma dall’altra si afferma che è invece
questione centrale e vitale, perché senza
abrogazione dell’art.18 non si avrà ripresa né
produttiva né occupazionale.
Il vero è — rispondiamo —
che l’efficacia e la funzione vera dell’art. 18
è quella di prevenire i licenziamenti
arbitrari: proprio perché essi possono
essere annullati, i datori di lavoro devono
essere prudenti e giusti nei loro
comportamenti. Quelle 3.000 sentenze
evitano — per dirla in sintesi — altri 30.000
licenziamenti arbitrari o più. L’art.18 è, e
resta, una fondamentale norma antiricatto,
che ha dato dignità al lavoratore proprio
perché lo libera dal ricatto del
licenziamento di rappresaglia, più o meno
mascherato.
Quanto poi all’affermazione
che l’art.18 costituirebbe un’ingiustizia
verso quella metà circa dei lavoratori che non
ne fruiscono, perché lavorano in imprese con
meno di 16 dipendenti è, più ancora che
contraddittoria, paradossale: se solo la
metà di una popolazione ha il pane, il
problema è di darlo a tutti, non di toglierlo a
chi ce l’ha.
La seconda riflessione
riguarda l’andamento del mercato del lavoro e
dell’occupazione: dice la Confindustria
nonché Renzi ed i suoi accoliti che una volta
che avessero le mani libere di licenziare a
loro arbitrio, i datori, potendo
«spadroneggiare», assumerebbero
volentieri, e che i lavoratori subirebbero
magari una temporanea ingiustizia, ma
sarebbero poi compensati da un sistema di
flexsecurity che troverebbe loro altro
idoneo lavoro, garantendo, nel frattempo, il
loro reddito.
Si tratta di due clamorose
bugie: le imprese assumono se lo richiede la
domanda di beni e servizi e non per altri
motivi, come è storicamente dimostrato,
mentre la flexsecurity è un imbroglio e
una falsa promessa in tutta Europa, ed in
particolare in Italia perché quando la
disoccupazione strutturale supera il 10%
reperire altro lavoro è difficilissimo, e
le finanze pubbliche non possono
corrispondere indennizzi se non miseri, e
per poco tempo: dal 2016, ad esempio, sarà
abrogata la indennità di mobilità triennale,
e resterà solo la cosiddetta Aspi, di breve
durata e con importi decrescenti.
La terza riflessione è la
più importante: questa smania di abrogare
l’art.18 è solo un’antica sfida di potere da
parte datoriale o rientra in un ben più
complesso programma di «riassetto»
socio-economico?
Tutto
dimostra ormai che è quest’ultima la risposta
esatta perchè la precarizzazione totale dei
rapporti di lavoro, che si raggiunge con i
contratti a termine «acausali» ma per il
resto, (e cioè, per quella percentuale
superiore al 20% consentita ai contratti a
termine), anche proprio con contratti a tempo
indeterminato non soggetti a reintegra in
caso di licenziamento arbitrario, è la
condizione prima di un esasperato
sfruttamento del lavoro che sta raggiungendo
rapidamente dimensioni mai sospettate.
Con il lavoro «usa e getta»,
espletato comunque sotto ricatto e senza
nessuna certezza del futuro, ben si potrà
giungere, invero, anche a una drastica
diminuzione dei salari sino alla soglia della
sopravvivenza.
Il
futuro che si prospetta è purtroppo quello di
un lavoro non soltanto privo di dignità ma
anche sottopagato perché i lavoratori
precari e ricattati che diventeranno la
normalità non potranno più presentare
rivendicazioni collettive e quindi, una
volta caduti di fatto i contratti nazionali,
lo standard retributivo sarà quello del
salario minimo garantito, che non per nulla il
governo Renzi si propone di introdurre: già si
conosce il livello di quel salario, si
tratterà di non più di 6 € l’ora al netto del
prelievo fiscale e contributivo, il che
significa non più di 800 — 900 euro al mese.
Il
nostro è già un paese in cui il 10% della
popolazione possiede addirittura il 50%
della ricchezza, e per converso il 50% della
popolazione deve accontentarsi di dividere
un misero 10% della ricchezza stessa, ma
questo non basta ancora ai fautori del
neoliberismo e di tutte le altre cosiddette
«libertà economiche», tra cui quella di
licenziare arbitrariamente. Non è soltanto
un’antica aspirazione di potere delle classi
dominanti, ma è anche la condizione di un
ancor più accentuato sfruttamento e
impoverimento delle grandi masse.
Possiamo solo prepararci
ancora una volta a una grande battaglia a
difesa della dignità del lavoro.