Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

 

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL LIBERO PENSIERO "GIORDANO BRUNO" 

Fondata nel 1906

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Torino

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Occorre più sinistra per uscire dalla crisi
di Giovanni Barbera

 

Si è chiuso un altro annus horribilis  per il nostro Paese. Il 2013 non è stato un anno molto differente da quelli che lo hanno preceduto, a dispetto delle dichiarazioni ottimiste, riguardanti la fine della crisi economica, rilasciate in questi ultimi mesi, a più riprese, sia dai rappresentanti del  Governo Letta che da altri diversi esponenti del mondo economico e politico.

E’ evidente che la realtà è molto più complessa di quanto vogliono farci credere coloro  che hanno tutto l’interesse a a far digerire alle classi popolari quelle controriforme istituzionali e sociali che stanno “svuotando” la nostra democrazia e finendo di demolire quello che è rimasto del modello di sviluppo sociale costruito nel dopoguerra, grazie alle lotte dei lavoratori.

Purtroppo, l’idea che la ripresa economica sia alle porte e che, quindi, il periodo più difficile sia già alle nostre spalle, è tutt’altro che un fatto reale.

E’ vero che in questi ultimi mesi sono stati registrati segnali economici confortanti, sicuramente  in controtendenza rispetto alle dinamiche economiche degli ultimi anni: la riduzione del Pil (la ricchezza prodotta) si è fermata,  la discesa dei consumi ha subito un inequivocabile rallentamento, mentre la produzione industriale ha registrato nell’ultimo mese un lieve miglioramento, anche se di pochi punti decimali. Ma tutto ciò non significa di per sé una inversione di tendenza, con una ripresa della crescita economica e, di conseguenza, dell’occupazione. Anzi il pericolo più probabile a cui stiamo andando incontro, sia nel nostro Paese che in tutta Europea, è proprio quello della spirale deflattiva, ossia di un calo costante e generalizzato dei prezzi, causato dalla debolezza della domanda di beni e servizi, che rischia di intrappolare il sistema economico europeo in una lunga fase di stagnazione economica, se non addirittura di nuova recessione.  Il Giappone ci ha messo dieci anni per uscire da una situazione simile.

 Da questo punto di vista, appare ben poco utile anche il tentativo operato dalla Banca Centrale Europea di scongiurare tale pericolo, tramite la diminuzione dei tassi di interesse. Una misura di politica monetaria che rischia di essere ininfluente sul ciclo economico a causa di quel fenomeno  che nella teoria macroeconomica  è  conosciuto con il nome di  “trappola della liquidità”.

E’ vero che la diminuzione dei tassi di interesse incentivano le imprese a indebitarsi, e quindi a investire, e disincentivano le famiglie a risparmiare, aumentando i loro consumi. Ma il vero motore dei consumi è la fiducia verso il futuro. Se predomina l’incertezza e la paura per il futuro si entra in un circolo vizioso dove l’abbondante liquidità viene accumulata invece di essere rimessa in circolazione, con effetti negativi a catena sull’economia. Insomma, non sempre è sufficiente  aumentare la liquidità nel sistema economico per stimolare la ripresa degli investimenti produttivi e dei consumi.  L’unica vera soluzione per rilanciare l’economia ed uscire definitivamente dalla crisi sarebbe quella di agire sulla domanda di beni e servizi, tramite la crescita della spesa pubblica e una più equa redistribuzione del reddito, come diversi economisti vanno sostenendo da tempo, contro la vulgata neoliberista. Ma evidentemente non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, visto che l’ortodossia neoliberista continua ad imperversare anche quando viene clamorosamente smentita dalla realtà dei fatti.

Va rilevato che uno scenario economico  come quello che si prospetta allontanerebbe per chissà quanto tempo la possibilità di migliorare le condizioni materiali di vita delle fasce sociali più deboli. Tale situazione sarebbe insostenibile per quelle famiglie  hanno già pagato in questi anni  un prezzo molto salato per la crisi economica e per le politiche di austerity.I dati che periodicamente vengono pubblicati sulle condizioni di vita nel Paese sono più che esplicativi. Secondo una recente ricerca dell’Istat, il 29,9% delle persone residenti in Italia sono a rischio di povertà o esclusione sociale, con punte che arrivano nel Mezzogiorno fino al  48% della popolazione. Un dato questo che supera di 5,1 punti percentuali la media europea (24,8%)  e che registra un incremento dell’1,7% rispetto al 2011. Ma quello che sconcerta sono anche gli altri  risultati che emergono dalla ricerca sopra citata.  Ad esempio, si evince che, dal 2011 al 2012, le famiglie che  non possono permettersi  una settimana di ferie lontano da casa sono aumentate dal 46,7% al 50,8%; quelle che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione sono cresciute  dal 18,0% al 21,2%;  quelle che non riescono più a sostenere spese impreviste di 800 euro, sono passate dal 38,6% al 42,5%,  quelle che non possono  permettersi neanche un pasto proteico adeguato ogni due giorni, sono invece aumentate dal 12,4% al 16,8%.

Insomma, un quadro sconfortante e allarmante  delle condizioni sociali in cui versa una fetta rilevante della nostra popolazione,  che evidenzia – se ce ne fosse ancora bisogno – la necessità e l’urgenza di costruire un argine a questa deriva che non è solo economica e sociale, ma anche culturale e morale.

Una deriva che evidenzia  il fallimento delle nostre classi dirigenti che  hanno portato il Paese sull’orlo del baratro. Classi dirigenti che, nonostante ciò,  continuano ad utilizzare la crisi come un grimaldello per fare tabula rasa di  quello che rimane del sistema di Welfare nel nostro Paese. Non è un caso che in questi ultimi vent’anni siano stati progressivamente realizzati  gran parte degli obiettivi contenuti nel famigerato “Piano di Rinascita” della P2 di Licio Gelli.   A dimostrazione del fatto che quanto sta succedendo nel Paese risponde a un disegno politico ben preciso,  espressione di quel fenomeno che Gramsci definì  come “sovversivismo delle classi dirigenti”.

L’assenza di una forte presenza organizzata della Sinistra di alternativa  nel Paese, soprattutto  in questi ultimi anni caratterizzati dalla crisi economica e dalle scellerate politiche di austerity,  ha pesato non poco nel rendere possibile la realizzazione di quel disegno politico che abbiamo citato sopra. Liberismo e involuzione democratica sono, infatti, due facce della stessa medaglia, due processi che si autoalimentano a vicenda, uno è funzionale all’altro.

C’è la necessità e l’urgenza di rilanciare la costruzione di un ampio schieramento politico e sociale  nel Paese, così come sta avvenendo con successo in molti altri paesi dell’Unione Europea. Uno schieramento  che sia in grado di contrastare quei processi di involuzione autoritaria e politiche neoliberiste  portate avanti dalle classi dirigenti.  Ma per realizzare tale obiettivo non bastano le declamazioni o gli slogan, la difesa di piccole nicchie o la prosopopea di chi si sente depositario della verità rivoluzionaria.

Bisogna mettere da parte quelle vocazioni minoritarie e all’autosufficienza, quegli ideologismi che  hanno ridotto negli ultimi anni  la Sinistra di alternativa a ben poca cosa e che oggi sono gli ostacoli principali per rilanciare un processo di riaggregazione, in forma plurale, di tutte quelle realtà sociali e politiche che aspirano a cambiare radicalmente il modello di sviluppo sociale. Una riaggregazione dal basso, sulla base di  un progetto comune e credibile che non parli solo alle cosiddette “avanguardie”, ma a tutti quei soggetti sociali che subiscono la crisi e le politiche neoliberiste, a partire proprio proprio dal  mondo del lavoro, da tempo senza rappresentanza politica.

Parliamo di quella sinistra che aspira a una  trasformazione radicale del modello di sviluppo sociale, ma che rifiuta di auto-confinarsi in un ruolo marginale e di testimonianza nel Paese, soprattutto in questa delicata fase storica.

Non è vero, infatti, che in Italia non esisterebbe uno spazio politico a sinistra del Pd.  La recente affermazione di Renzi alle primarie del Pd – determinando un’ulteriore spostamento del baricentro di tale partito a destra – ha, di fatto, anche allargato tale spazio. Quello che manca è un progetto credibile, senza fughe dalla realtà, che sappia legare la prospettiva di una trasformazione radicale della società con la capacità di riuscire a conquistare risultati utili e concreti, anche se parziali, nell’immediato per i nostri soggetti sociali di riferimento. Solo in questa maniera sarà possibile entrare di nuovo in sintonia con quello che una volta avremmo definito il “popolo della sinistra”, oggi purtroppo disperso in mille rivoli dal punto di vista elettorale,  dopo le sconfitte e gli errori del passato.

Da questo punto di vista,  nonostante le difficoltà oggettive e soggettive di cui siamo assolutamente consapevoli, auspichiamo che si possa finalmente compiere un decisivo balzo in avanti nella costruzione di un ampio schieramento politico e sociale  necessario, in questa  fase, per arginare l’offensiva delle classi dominanti e la deriva economica, sociale e morale del nostro Paese, prima che sia troppo tardi. Non può che essere questo il migliore auspicio che ci sentiamo di fare con l’inizio del nuovo anno. D’altronde, se non ora, quando?

Roma che spera blog


 

 


 

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