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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Legge elettorale: non confondere Giudice e Parlamento!
Alcune considerazioni, disperate e disperanti in vista della prossima pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge porcata
di Antonio CaputoLa migliore dottrina costituzionale è scettica sulla possibilità di riformare il “porcellum” per via giudiziaria. Come avverrebbe se, il 3 dicembre 2013, la Corte Costituzionale in qualche modo accogliesse, dichiarandone l’ammissibilità, l’incidente di incostituzionalità sollevato dalla I sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza 12060/2013. Anche se la Cassazione sottolinea con forza che i dubbi di incostituzionalità sono stati già sollevati nell’ambito di alcuni obiter dicta contenuti in tre sentenze della Corte Costituzionale, nn.15 e 16/2008, n.13/2012, che si occuparono dell’ammissibilità di due referendum abrogativi concernenti la “porcata” (da ultimo il c.d. referendum Guzzetta che avrebbe introdotto un superporcellum con premio di maggioranza senza soglia minima per il primo partito e non per la coalizione); va detto che le considerazioni contenute in quelle decisioni si arrestarono ad un generico e comunque preoccupato riconoscimento di “alcuni aspetti problematici della legge elettorale” , né i giudici della Corte ritennero di spingersi oltre, in nessun modo.
Obiter dicta, ovvero considerazioni generali e non specifiche, a contenuto esortativo di buone pratiche parlamentari intese a rimuovere l’aborto, prive di qualunque effetto precettivo. Siamo insomma di fronte all’ennesima disfatta della politica dei politici di professione autodefinitisi parlamentari della repubblica, incapace di autoriformarsi. Né, purtroppo possiamo sperare più di tanto nel giudizio salvifico della Corte Costituzionale, per le regole che governano lo stato di diritto e la separazione dei poteri, pure a fronte di un tentativo generoso, e della Cassazione e dei valorosi ricorrenti e dei loro bravissimi difensori, di far valere l’incostituzionalità della legge elettorale per via giudiziaria, che é tuttavia improprio.
Non é infatti ammissibile un’azione di fronte ad un Giudice comune (nella specie la Cassazione) che abbia come pretesa la sola dichiarazione di incostituzionalità della legge, mediante proposizione della questione alla Corte costituzionale, per difetto di incidentalità della stessa questione. Si é difatti sostanzialmente in presenza di una falsa lite, lis ficta o inesistente, in quanto l’azione di accertamento della lesione del diritto (di voto libero ed eguale e segreto dell’elettore) é identica in ragione dell’assoluta coincidenza con l’azione di accertamento della pretesa illegittimità costituzionale di quella legge che disciplina quel voto. In altre parole, il sistema vigente non consente il ricorso diretto alla Corte Costituzionale per la declaratoria “astratta” di illegittimità costituzionale di una norma di legge, avendo il giudizio dinanzi alla Corte sempre natura incidentale. In altri Paesi e contesti é ammesso il ricorso diretto alla Corte, come in Spagna per il Defensor del Pueblo, ammesso ad impugnare dinanzi alla Corte costituzionale, in via preventiva, atti aventi forza di legge, che egli assuma in ipotesi lesivi di diritti costituzionali fondamentali. Dalla sentenza dichiarativa dell’illegittimità emessa dalla Corte Costituzionale, secondo il sistema, deve necessariamente derivare un provvedimento ulteriore e diverso del Giudice remittente, il Giudice ordinario, nella specie la Corte di Cassazione, con lo scopo di definire il proprio giudizio e di realizzare in tal modo la tutela in concreto, e non in astratto, del diritto rivendicato dai ricorrenti. L’obiezione di inammissibilità della questione pare a questo punto davvero insuperabile. Ma se anche, con una vera acrobazia giuridica, venisse superata, come del tutto improbabile, ne scaturirebbero quattro scenari, tutti inverosimili e comunque estremamente problematici al limite della rottura costituzionale: 1) L’illegittimità ipoteticamente dichiarata del premio di maggioranza in quanto privo di una soglia minima, con l’annullamento della vigente disciplina, introdurrebbe un proporzionale sostanzialmente puro, comunque completamente diverso da quello voluto dal legislatore bypassato per via giudiziaria: con tutti i connessi problemi relativi al rispetto del principio della separazione tra poteri dello Stato, non competendo alla Corte la funzione del legislatore, sia pure del disgraziatissimo legislatore italico; 2) L’annullamento dell’intera legge elettorale per effetto di dichiarazione integrale di incostituzionalità: esito questo ancor più improbabile se non impossibile, anche per il valore di precedente della sentenza n.13/2012 che bocciò il referendum abrogativo promosso da Parisi-Di Pietro e compagnia cantante in quanto ritenne inammissibile la possibile o meglio illogica e irragionevole “reviviscenza” della normativa che il porcellum aveva a sua volta abrogato (il mattarellum); 3) L’ ancora una volta sommamente improbabile e forse abnorme soluzione derivante dal fatto che la Corte, dichiarando l’illegittimità del porcellum nella parte in cui non prevede una soglia minima per fare scattare il premio di maggioranza, decida e indichi quale debba essere tale soglia: soluzione impraticabile giacché la legge costituzionale 87/1953 vieta categoricamente alla Corte costituzionale “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”; 4) Che la Corte emetta una sentenza “additiva di principio” e, valutata l’incostituzionalità dell’attribuzione del premio di maggioranza in assenza di una soglia minima, ne rimetta la fissazione al Parlamento: facendo precipitare in tal modo la situazione in un limbo assoluto, come é peraltro l’attuale stato di cose, che vede tutti pacifici nel riconoscere a parole l’arbitrarietà e antidemocraticità dell’incostituzionale e immodificato, in secula seculorum, porcellum... Davvero una soluzione peggiore del male. In conclusione, la questione sottoposta all’esame della Corte Costituzionale appare come tale inammissibile per rispetto della discrezionalità legislativa, e la considerazione vale anche per le liste bloccate, la cui abolizione per via giurisdizionale creerebbe certamente una lacuna normativa. Dovendo necessariamente a quel punto intervenire un altro meccanismo sostitutivo, tale da consentire agli elettori di manifestare la propria preferenza, ovvero una futuribile normativa, ancora una volta rimessa al Parlamento che, nelle more – campa cavallo che l’erba cresce - priverebbe allo stato i cittadini di una normativa di risulta di diretta e immediata applicazione conseguente alla pronuncia costituzionale, rendendo incerta la stessa vicenda democratica.
Torneremo allora a votare col porcellum o dovremo sorbirci, come è altamente improbabile, la legge elettorale che il Parlamento dei nominati, a maggioranza relativa, e dunque ancor meno rappresentativa, ci propinerà Certo è che nel paese il sistema della rappresentanza e della legittimazione della classe di governo è in una crisi disperante che rischia di far tracollare la democrazia. Oltre la disperazione, che ci resta da fare?
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