Patti impossibili con questa destra
di Piero Ignazi*
L’IMMAGINAZIONE al potere è stato
il bellissimo slogan di una stagione felice e solare, quella di
fine anni Sessanta, quando in Occidente lo sviluppo e il
benessere sembravano non finire mai. In questi giorni è tornato
in auge, grazie al Movimento 5 Stelle. Ogni
giorno che passa i neoeletti del M5S aggiungono un tassello tra
il fantasioso e il surreale alla loro visione della politica
nazionale.
Mentre nel passato i partecipanti ai vari Meetup grillini si
ingegnavano per risolvere i problemi della comunità dove
vivevano offrendo proposte innovative ed anche brillanti, ora,
approdati alla grande politica, sembrano essere partiti per la
tangente. Il loro celebrato e benemerito pragmatismo, fatto di
piccoli passi ed azioni concrete, sta cedendo il passo al
settarismo: tutti i politici sono dei farabutti, i giornalisti
un branco di lupi famelici, e solo loro si considerano puri e
indomiti. Se così fosse avrebbero ragione coloro che dipingevano
il M5S come un movimento populista, che divide il mondo in
bianco e nero e in buoni e cattivi, e dove il Capo ha sempre
ragione. L’atteggiamento anti-establishment di questi giorni sta
infatti oscurando l’altro côté identificativo del Movimento,
quello ecologista- alternativo, paragonabile ai Verdi tedeschi
degli inizi. Anche allora, ed anche tra personaggi come Joschka
Fischer, poi apprezzato ministro degli Esteri, avevano libera
circolazione proposte bizzarre e provocatorie. Ma per loro
fortuna i Grünen non dovettero subito confrontarsi con la
questione del governo. Ne rimasero esclusi, a livello federale,
per quindici anni. Oggi, invece, i parlamentari a Cinque Stelle
devono fare subito delle scelte impegnative. Catapultati da una
dimensione di attivismo locale senza nessuna esperienza
istituzionale, si trovano ad avere in mano le chiavi della
governabilità del nostro paese. Si può comprendere lo sconcerto.
Solo che questo inevitabile spaesamento non viene compensato con
la disponibilità all’ascolto e al confronto. Al contrario: alle
solite litanie dell’essere null’altro che i rappresentanti dei
cittadini (come se i parlamentari non fossero sempre stati
questo, in linea di principio almeno) i grillini affiancano
atteggiamenti altezzosi al limite dello sprezzante,
scimmiottando già, ma in sedicesimo e senza il gusto del
paradosso, la verve del loro capocomico. Se allora essi
considerano – populisticamente – che tutti i partiti siano
uguali e che nessuno meriti fiducia “a prescindere”, allora il
loro contributo all’interno delle istituzioni è, e sarà, nullo.
Ma se invece adottano un approccio meno ideologico, “alla
siciliana”, valutando nomi e proposte, allora parte davvero la
loro lunga marcia nelle istituzioni. Il Pd ha fatto una mossa
verso il M5S che può essere definita disperata o coraggiosa.
Comunque ha il grande merito di porre di fronte alle sue
responsabilità il secondo partito del Parlamento (perché è il Pd
il primo partito: calcolando i voti degli italiani all’estero i
democratici hanno sopravanzato di centocinquantamila voti i
grillini). Bersani si propone quasi come una vittima sacrificale
del disastro politico-elettorale del suo partito: senza ponti
dietro le spalle o piani B, va a stanare M5S dal suo cantuccio
anti-tutti. Questa scelta obbliga il partito di Grillo a
scegliere, ad assumersi il carico della governabilità possibile
votando la fiducia ad un governo di minoranza, o
dell’instabilità generale riportandoci tutti al voto. Ogni
giorno i grillini tentano una via di fuga da questo dilemma.
Ultimo in ordine di tempo, il richiamo alla lunga assenza di
governo in Belgio, dimenticando però che quello è un paese
federale con due comunità che gestiscono autonomamente molte
competenze e la maggior parte del bilancio pubblico. Ad ogni
modo, ogni altra soluzione è ora resa impossibile dalla
manifestazione proto-sovversiva del Pdl al Tribunale di Milano.
Per questo il Pd non ha altra scelta se non andare alla verifica
dei numeri in Senato, incurante delle bordate a ripetizione di
Grillo. Ma quindici giorni sono un’eternità in politica. E
magari, alla fine di questo calvario, lo stesso Bersani può
individuare uno spiraglio imprevisto.
*La
Repubblica, 13 marzo 2013