L’altra faccia di Piazza
Tahrir. Quella sporca, impresentabile. La faccia
della violenza contro le donne. Venerdì scorso,
durante una manifestazione, una donna è stata
aggredita e ferita ai genitali con un’arma da
taglio. Non è stata l’unica a essere attaccata
in questo modo. Altre donne sono state umiliate,
denudate e stuprate, in mezzo alla gente.
Branchi di uomini, raccontano gli attivisti
dell’Operazione antimolestie sessuali, si
divertivano a circondare le donne, a
palpeggiarle e a penetrarle con le dita. Secondo
un’altra organizzazione, Tahrir Bodyguard, le
aggressioni sono state almeno 25. Almeno sei
manifestanti hanno dovuto ricevere cure mediche.
È possibile che si tratti di balordi pagati per
infiltrarsi nelle manifestazioni e attaccare le
donne, tanto le egiziane quanto le straniere,
meglio se giornaliste: in quel caso, farà più
scalpore. Certo, sono tanti e succede con
regolarità. Riflette Riccardo Noury, portavoce
di Amnesty International in Italia: «Che si
tratti di provocazioni o che vi sia nella
società egiziana, e dunque anche nel movimento
rivoluzionario, una componente profondamente
misogina, alimentata dalla totale impunità di
cui godono gli aggressori, anche quando sono
pubblici ufficiali, il risultato è quello di
allontanare le donne dalle piazze e, più in
generale, dalla possibilità di prendere parte
alle decisioni sul futuro dell’Egitto. Non credo
che il principale obiettivo del presidente Morsi
e dei Fratelli mussulmani sia garantire la loro
incolumità».
SENZAPAURA
Contro tutto questo, le attiviste continuano a
tenere alta la testa, a organizzarsi e a
denunciare, come fa il movimento Nazda. Perché,
scrive una sopravvissuta alla violenza sessuale
a Tahrir, quando una donna viene aggredita,
viene aggredito tutto il Paese. La dinamica è
sempre la stessa: un gruppo di uomini circonda
una donna e comincia a spogliarla e a
palpeggiarla. La donna aggredita è poi
abbandonata nuda per strada. Nei casi più gravi
ha subìto uno stupro o è stata ferita con armi
da taglio. Per combattere questa pratica gli
attivisti si sono organizzati in gruppi per
fornire alle vittime assistenza medica, legale e
psicologica. Uno di questi è l’Operation
anti-sexual harassment, che il 25 gennaio ha
registrato diciannove casi di violenze in cui le
donne erano state spogliate e violentate in
pubblico. «È stata una delle peggiori giornate
di cui siamo testimoni », ha detto al Guardian
Leil-Zahra Mortada, portavoce dell’organizzaziodell’organizzazione.
«Tra gli attivisti ci sono donne che in passato
hanno subìto violenze. Pur conoscendo il
pericolo a cui vanno incontro, si mettono lo
stesso a disposizione», scrive Tom Dale del sito
Egypt Independent, che ha assistito
personalmente a un attacco durante le
manifestazioni di venerdì. «Stavo camminando in
un’area della piazza dove di solito viene
posizionato il palco e, trenta metri più avanti,
ho visto formarsi un crocicchio di persone con
al centro una donna che urlava. Ho cercato di
avvicinarmi. Quando l’ho vista era completamente
nuda e terrorizzata. Era difficile avvicinarsi
perché molti di quelli che dicevano di volerla
aiutare erano in realtà i suoi aggressori»,
racconta il giornalista. Il racconto di Dale è
simile a quello che una vittima ha scritto per
il sito del gruppo femminista Nazra ed
esperienze simili sono state raccolte su Twitter
da @TahrirBodyguard, un’altra organizzazione in
difesa delle donne. «Mi vergogno per l’Egitto,
il Paese in cui vivo da ormai dieci anni»,
scrive Ursula Lindsey sul blog The Arabist.
«Questi atti dobbiamochiamarli per quello che
sono: stupri di gruppo. Non corrispondono alla
mia esperienza dell’Egitto, dove le continue
molestie e la misoginia sono sempre state
bilanciate da una sensazione generale di
sicurezza». Drammatica è il resoconto di uno
stupro di gruppo pubblicato sul sito www.
Nazra.it dalla donna che ne è stata vittima, nel
novembre 2012. La donna racconta di essere scesa
in piazza per protestare e di aver perso di
vista l’amica a causa dei lacrimogeni sparati
dalla polizia. Più tardi, quando gli effetti del
gas si erano consumati, la donna ha intravisto
l’amica circondata da centinaia di uomini che la
spogliavano e assalivano. Dopo aver provato,
invano, ad aiutarla, è stata spinta a terra
divenendo lei stessa oggetto dell’attenzione dei
violentatori che, dopo averla separata a forza
dagli amici, l’hanno portata in una strada
appartata e denudata. Quando è riuscita a
scappare e rifugiarsi nell’androne di un
palazzo, il portiere si è rifiutato di lasciarla
entrare e così è stata raggiunta di nuovo. A
quel punto ha sentito qualcuno in mezzo ad un
gruppo di giovani dire: «La prendiamo e poi uno
alla volta, ragazzi... ». Dopo essere sfuggita
di nuovo ed esserle stata rifiutata la
protezione sia in un caffè che in un negozio di
elettrodomestici, la donna è stata «salvata» da
uno dei suoi violentatori che ha deciso di farle
da scudo e portarla finalmente all’ospedale.
«Quando ho sentito storie come la mia ripetersi
nelle ultime manifestazioni ho deciso di
parlare», scrive la donna. «Il regime ha usato
per anni la violenza sessuale contro le donne
come arma. È una piaga sociale, non solo
politica ». Nihal Zaad Zaghloul ha 26 anni e ha
subito molestie da parte di un gruppo di uomini
in piazza Tahrir. «Toccavano ogni centimetro del
mio corpo... sentivo decine di mani sul mio seno
e nelle mie parti intime - racconta -. Anche
dopo essermi allontanata e aver trovato rifugio
dietro una catena umana di persone unitesi per
difenderci, era il caos totale. C’erano ancora
uomini che cercavano di toccarmi. Ero
terrorizzata non riuscivo a vedere i miei amici,
non potevo uscire. Ero bloccata...». Non è
chiaro chi siano i responsabili delle violenze
sessuali, ma secondo Operation anti-sexual
harassment, sono commesse da chi si oppone alle
proteste. «Si tratta di attacchi organizzati
perché capitano sempre negli stessi angoli di
piazza Tahrir e seguono lo stesso schema»,
sostiene Mortada. Secondo un rapporto del 2008
redatto dall’Egyptian centreforwomen’srights,
l’83 per cento delle egiziane ha subìto molestie
sessuali. Il problema è reso più grave dal fatto
che i colpevoli raramente sono puniti. «Non
possiamo più accettare che succeda», dichiara un
esponente di TahrirBodyguard, secondo cui gli
attacchi derivano da una cultura maschilista
dominante: «Dobbiamo affrontare il problema non
solo al Cairo, ma in tutto l’Egitto».