STELLETTE
& CROCIFISSO
di Luca Kocci
Indossano la veste talare con i
gradi appuntati sul colletto,
accompagnano i militari nelle
caserme, sulle navi da guerra e
nelle «missioni di pace», guadagnano
come un generale. È l'esercito dei
preti-soldato contestati già negli
anni ’60 da don Milani
Una veste talare con due stellette
dorate appuntate sul colletto: è la
divisa dell'ordinario militare,
l'arcivescovo che guida con i gradi,
e lo stipendio, di generale di corpo
d'armata il piccolo esercito dei
cappellani militari, i preti-soldato
impegnati nel servizio pastorale fra
i militari nelle caserme, sulle navi
da guerra e nei contingenti
impegnati nelle cosiddette "missioni
di pace". Una vera e propria Chiesa
militare, con i gradi accanto al
crocefisso, che dispensa assistenza
spirituale e sacramenti a coloro che
hanno scelto le armi e la mimetica e
predica un Vangelo in grigio-verde,
come il colore della copertina di
quello che mons. Angelo Bagnasco,
prima di staccarsi le stellette di
vescovo castrense per assumere i
gradi di presidente della Conferenza
episcopale italiana, regalò a tutti
i soldati in missione all'estero:
«Un tocco che lo contraddistingue,
un simbolo di appartenenza, come si
fa negli scout», spiegò allora. E
«appartenenza» è la parola che
ripetono da sempre i
vescovi-generali, per stoppare in
partenza tutte le richieste di
smilitarizzazione dei cappellani che
provengono dal mondo cattolico di
base e pacifista. «La cosiddetta "militarità"
può fare problema e sembrare fuori
posto per un prete - spiegava ancora
Bagnasco - ma c'è una ragione: il
senso di appartenenza alle forze
armate è altissimo, è un mondo con
regole precise» e «il sacerdote, per
essere pienamente accolto, ne deve
far parte fino in fondo», cioè con i
gradi. «La vocazione alla santità
del militare rischia di non essere
compresa, particolarmente da coloro
che esaltano la pace a oltranza»,
dice ancora più chiaramente
l'attuale ordinario militare, mons.
Vincenzo Pelvi, che propone anche di
proclamare Giovanni XXIII, il papa
della Pacem in Terris, patrono
dell'esercito.
I cappellani militari cattolici
vennero introdotti nell'esercito
italiano alla vigilia della I guerra
mondiale. Fu il generale Cadorna a
chiedere la presenza al fronte di
preti - fra cui si distinse il
francescano Agostino Gemelli, il
quale fu anche consulente dello
Stato maggiore - che sostenessero
spiritualmente i soldati nel
conflitto e che collaborassero a
mantenere salda l'obbedienza agli
ufficiali e la disciplina della
truppa. Finita la guerra, i
cappellani vennero congedati con il
grado di tenente e fecero ritorno
nelle parrocchie e nei conventi. Per
poco però, perché nel 1926 Mussolini
fece approvare la legge che istituì
l'Ordinariato militare d'Italia,
ulteriormente rafforzato tre ani
dopo con la stipula dei Patti
Lateranensi fra Chiesa cattolica e
Stato fascista: l'atto di nascita di
una vera Chiesa militare al servizio
del regime, tanto che i cappellani
vennero inseriti nelle forze armate,
nell'Opera nazionale balilla e nella
Milizia volontaria di sicurezza
nazionale, accompagnarono e
sostennero le truppe fasciste nella
guerra civile spagnola, nella
campagna d'Africa - dove i reparti
mussolinani usarono i gas contro le
popolazioni - e nella II guerra
mondiale. Crollato il fascismo e
conclusa la guerra, l'Ordinariato
militare rimase saldo al suo posto.
Anzi, nel 1986, papa Wojtyla emanò
la Costituzione apostolica
Spirituali militum curae ed elevò al
rango di diocesi tutti gli
ordinariati e i vicariati castrensi
del mondo. Diocesi anomale, i cui
parroci sono i cappellani militari e
i cui fedeli sono i militari e le
loro famiglie, gli allievi delle
scuole militari e i degenti degli
ospedali militari.
In Italia l'Ordinariato militare è
equiparato ad un'arcidiocesi, la
sede è in un bel palazzo storico a
due passi dal Colosseo, il seminario
per gli aspiranti preti-soldato si
trova nella "città militare" della
Cecchignola a Roma, Bonus Miles
Christi è il mensile
dell'Ordinariato, che è presente
anche su Facebook. L'ordinario
militare viene designato dal papa e
nominato dal presidente della
Repubblica (in accordo con il
presidente del Consiglio e dei
ministri della Difesa e
dell'Interno), ha le stellette e il
salario di un generale di corpo
d'armata: oltre 9 mila euro al mese
(lordi). Tutti gli altri cappellani,
attualmente 182, sono inquadrati con
i diversi gradi della gerarchia
militare: il vicario generale è
generale di brigata (6 mila euro di
stipendio); l'ispettore, il vicario
episcopale, il cancelliere e
l'economo sono tenenti colonnello (5
mila euro); il primo cappellano capo
è un maggiore (fra i 3 e i 4 mila
euro); il cappellano capo è capitano
(3 mila), il cappellano semplice ha
il grado di tenente (2 mila e 500).
La spesa da parte dello Stato è di
oltre 10 milioni di euro l'anno. Ma
è una cifra che non comprende le
pensioni pagate ai preti soldato:
circa 160, per un importo medio
annuo lordo di 43 mila euro ad
assegno (ma quelle degli alti
ufficiali, in tutto 16, sono molto
più elevate: l'ordinario militare
percepisce circa 4mila euro netti al
mese) e una spesa complessiva di
quasi 7 milioni di euro, come ha
riferito il ministro della Difesa,
ammiraglio Di Paola, rispondendo ad
una interrogazione parlamentare dei
Radicali.
Ci avevano provato anni fa in
Parlamento i Verdi a presentare un
disegno di legge per la
«smilitarizzazione» dei cappellani
militari, riprendendo una delle
storiche battaglie di Pax Christi:
non l'eliminazione dei cappellani
militari ma lo sganciamento dalla
struttura delle forze armate,
affidando la cura pastorale dei
soldati a preti senza stellette che
già operano nelle parrocchie nei cui
territori sorgono le caserme, e
facendo risparmiare un bel po' di
quattrini allo Stato. Ma il fuoco di
sbarramento delle gerarchie
ecclesiastiche fece affossare il
progetto. Ed è andata anche bene:
negli anni '60 padre Balducci e don
Milani vennero processati (Balducci
fu condannato a 8 mesi, Milani morì
prima della sentenza) per aver
difeso l'obiezione di coscienza e
criticato i cappellani militari.
il manifesto 17
agosto 2012
Correlato:
Paolo Farinella, Cappellani
Militari..., Libero Pensiero, 58,
dic. 2011, p. 17