Così
viene umiliata l’istruzione pubblica
di Nadia Urbinati
Il piano di tagli agli sprechi messo
in cantiere dal governo Monti
prevede alla voce scuola una
ingiustificata partita di giro che
toglie 200 milioni di euro alle
istituzioni pubbliche per darli a
quelle private. Con una motivazione
che ha dell’ironico se non fosse per
una logica rovesciata che fa rizzare
i capelli in testa anche ai calvi.
Leggiamo che si tolgono risorse
pubbliche alle università statali al
fine di “ottimizzare l’allocazione
delle risorse” e “migliorare la
qualità” dell’offerta educativa.
Stornare risorse dal pubblico
renderà la scuola più virtuosa. Ma
perché la virtù del dimagrimento non
dovrebbe valere anche per il settore
privato? Perché solo nella già
martoriata scuola pubblica i tagli
dovrebbero tradursi in efficienza?
Lo stillicidio delle risorse
all’istruzione pubblica e alla
ricerca va avanti imperterrito da
più di dieci anni, indipendentemente
dal colore dei governi e dallo stato
dei conti pubblici. Il paradosso,
che suona irrisione a questo punto
della nostra storia nazionale, la
quale documenta di una
disoccupazione giovanile che
veleggia verso il 40%, è che
l’apertura di credito alle scuole
private è andata di pari passo
all’umiliazione di quelle pubbliche,
ottime scuole peggiorate
progressivamente quasi a voler
creare artificialmente, e con i
soldi dei contribuenti, un mercato
per il servizio privato educativo
che non c’era.
A partire dalla legge 62/2000,
concepita come attuazione dell’Art.
33 della Costituzione, le scuole
private dell’infanzia, quelle
primarie e quelle secondarie possono
chiedere la parità ed entrare a far
parte del sistema di istruzione
nazionale. Ottenere la parità
(rispetto al valore del titolo di
studio rilasciato) non equivale per
ciò stesso a ricevere denaro
pubblico. Eppure l’interpretazione
della Costituzione che ha fatto
breccia alla fine della cosiddetta
Prima Repubblica ha imboccato la
strada della revisione della
concezione del pubblico, un
aggettivo esteso anche a tutta
l’offerta educativa riconosciuta
come “paritaria”. Ciò ha aperto i
cordoni della borsa pubblica alle
scuole private, che in Italia sono
quasi tutte cattoliche e che
ricevono denaro dallo Stato sotto
forma di sussidi diretti, di
finanziamenti di progetti
finalizzati, e di contributi alle
famiglie come “buoni scuola”.
I politici cattolici (trasversali a
tutti i partiti) hanno giustificato
questa interpretazione della parità
con una lettura del 3° comma
dell’Art.33 che è discutibile. Il
comma dispone che “Enti e privati
hanno il diritto di istituire scuole
ed istituti di educazione, senza
oneri per lo Stato”. Ma dice anche
che “la legge, nel fissare i diritti
e gli obblighi delle scuole non
statali che chiedono la parità, deve
assicurare ad esse piena libertà e
ai loro alunni un trattamento
scolastico equipollente a quello
degli alunni di scuole statali”.
Tuttavia il trattamento “scolastico
equipollente” pertiene alla qualità
educativa e formativa, un bene che
spetta alla scuola privata mettere
sul mercato, senza “oneri per lo
Stato”. L’Articolo 33 potrebbe
essere interpretato in maniera
diversa.
Nel 1950, uno dei padri fondatori
della nostra Costituzione, Piero
Calamandrei proponeva una
interpretazione ben diversa. E lo
faceva mentre elucidava le astuzie e
le strategie che potevano essere
usate per distruggere la scuola
della Repubblica. Le sue parole
sembrano scritte ora: “L’operazione
si fa in tre modi: (1) rovinare le
scuole di Stato. Lasciare che vadano
in malora. Impoverire i loro
bilanci. Ignorare i loro bisogni.
(2) Attenuare la sorveglianza e il
controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare
che vi insegnino insegnanti che non
hanno i titoli minimi per insegnare.
Lasciare che gli esami siano
burlette. (3) Dare alle scuole
private denaro pubblico...
Quest’ultimo è il metodo più
pericoloso. È la fase più pericolosa
di tutta l’operazione... Denaro di
tutti i cittadini, di tutti i
contribuenti, di tutti i credenti
nelle diverse religioni, di tutti
gli appartenenti ai diversi partiti,
che invece viene destinato ad
alimentare le scuole di una sola
religione, di una sola setta, di un
solo partito”.
Con il volgere dei decenni i timori
di Calamandrei sono diventati realtà
e a questo ha contribuito il
mutamento nei rapporti di forza tra
cattolici e laici con la crisi dei
partiti tradizionali. Questo
squilibrio di potere pesa come un
macigno se neppure un governo
tecnico riesce a evitare di farsi
tanto politico da discriminare le
scuole pubbliche e privilegiare
quelle private quando si tratta di
dare o togliere finanziamenti. E
questa politicità a senso unico
rende questo provvedimento ancora
più ingiusto.
laRepubblica, 5 luglio 2012