La preghiera di Aiace
di Barbara Spinelli *
Ci abituiamo talmente presto ai luoghi comuni che non ne vediamo
più le perversità, e li ripetiamo macchinalmente quasi fossero
verità inconfutabili: la loro funzione, del resto, è di metterti
in riga. Il pericolo di divenire come la Grecia, per esempio: è
una parola d'ordine ormai, e ci trasforma tutti in storditi
spettatori di un rito penitenziale, dove s'uccide il capro per
il bene collettivo. Il diverso, il difforme, non ha spazio nella
nostra pòlis, e se le nuove elezioni che sono state convocate
non produrranno la maggioranza voluta dai partner, il destino
ellenico è segnato.
Lo sguardo di chi pronuncia la terribile minaccia azzittisce
ogni obiezione, divide il mondo fra Noi e Loro. Quante volte
abbiamo sentito i governanti insinuare, tenebrosi: "Non vorrai,
vero?, far la fine della Grecia"? La copertina del settimanale
Spiegel condensa il rito castigatore in un'immagine, ed ecco il
Partenone sgretolarsi, ecco Atene invitata a scomparire dalla
nostra vista invece di divenire nostro comune problema, da
risolvere insieme come accade nelle vere pòlis.
L'espulsione dall'eurozona non è ammessa dai Trattati ma può
essere surrettiziamente intimata, facilitata. In realtà Atene
già è caduta nella zona crepuscolare della non-Europa, già è
lupo mannaro usato per spaventare i bambini. Chi ha visto la
serie Twilight zone conosce l'incipit: "C'è una quinta
dimensione oltre a quelle che l'uomo già conosce. È senza limiti
come l'infinito e senza tempo come l'eternità. È la regione
intermedia tra la luce e l'oscurità, tra la scienza e la
superstizione, tra l'oscuro baratro dell'ignoto e le vette
luminose del sapere". Lì sta la Grecia: lontana dalle vette
luminose dell'eurozona, usata come clava contro altri.
L'editorialista di Kathimerini, Alexis Papahelas, ha detto prima
delle elezioni: "Ci trasformeranno in capro espiatorio. Angela
Merkel potrebbe punire la Grecia per meglio convincere il suo
popolo ad aiutare paesi come Italia o Spagna". Il tracollo greco
è "un'opportunità d'oro" per Berlino e la Bundesbank, secondo
l'economista Yanis Varoufakis: nell'incontro di oggi tra la
Merkel e Hollande, l'insolvenza delle Periferie europee (Grecia,
e domani Spagna, Italia) "sarà usata per imporre a Parigi le
idee tedesche su come debba funzionare il mondo". Agitare lo
spauracchio ellenico è tanto più indispensabile, dopo la
disfatta democristiana in Nord Reno-Westfalia e il trionfo di
socialdemocratici e Verdi, pericolosamente vicini a Hollande. La
speranza è che Berlino intuisca che la sua non è leadership, ma
paura di cambiare paradigmi.
Può darsi che la secessione greca sia inevitabile, come recita
l'articolo di fede, ma che almeno sia fatta luce sui motivi
reali: se c'è ineluttabilità non è perché il salvataggio sia
troppo costoso, ma perché la democrazia è entrata in conflitto
con le strategie che hanno preteso di salvare il paese. Nel voto
del 6 maggio, la maggioranza ha rigettato la medicina
dell'austerità che il Paese sta ingerendo da due anni, senza
alcun successo ma anzi precipitando in una recessione funesta
per la democrazia: una recessione che ricorda Weimar, con golpe
militari all'orizzonte. Costretti a rivotare in mancanza di
accordo fra partiti, gli elettori dilateranno il rifiuto e
daranno ancora più voti alla sinistra radicale, il Syriza di
Alexis Tsipras. Anche qui, i luoghi comuni proliferano: Syriza è
forza maligna, contraria all'austerità e all'Unione, e Tsipras è
dipinto come l'antieuropeista per eccellenza.
La realtà è ben diversa, per chi voglia vederla alla luce.
Tsipras non vuole uscire dall'Euro, né dall'Unione. Chiede
un'altra Europa, esattamente come Hollande. Sa che l'80 per
cento dei greci vuol restare nella moneta unica, ma non così:
non con politici nazionali ed europei che li hanno impoveriti
ignorando le vere radici del male: la corruzione dei partiti
dominanti, lo Stato e il servizio pubblico servi della politica,
i ricchi risparmiati. Tsipras è la risposta a questi mali -
l'Italia li conosce - e tuttavia nessuno vuol scottarsi
interloquendo con lui. Neanche Hollande ha voluto incontrare il
leader di Syriza, accorso a Parigi subito dopo il voto. E avete
mai sentito le sinistre europee, che la solidarietà dicono
d'averla nel sangue, solidarizzare con George Papandreou quando
sostenne che solo europeizzando la crisi greca si sarebbe
trovata la soluzione? Chi prese sul serio le parole che disse in
dicembre ai Verdi tedeschi, dopo le dimissioni da Primo
ministro? "Quello di cui abbiamo bisogno è di comunitarizzare il
nostro debito, e anche i nostri investimenti: introducendo una
tassa europea sulle transazioni finanziarie, e sulle energie che
emettono biossido di carbonio. E abbiamo bisogno di eurobond per
stimolare investimenti comuni". L'idea che espose resta ancor
oggi la via aurea per uscire dalla crisi: "Agli Stati nazionali
il rigore, all'Europa le necessarie politiche di crescita".
La parole di Papandreou, ascoltate solo dai Verdi, caddero nel
vuoto: quasi fosse vergognoso oggi ascoltare un Greco. Quasi
fosse senza conseguenze, l'ebete disinvoltura con cui vien
tramutato in reietto il Paese dove la democrazia fu inaugurata,
e le sue tragiche degenerazioni spietatamente analizzate. Sono
le degenerazioni odierne: l'oligarchia, il regno dei mercati che
è la plutocrazia, la libertà quando sprezza legge e giustizia.
Naturalmente le filiazioni dall'antichità son sempre bastarde.
Anche la nostra filiazione da Roma lo è. Ma se avessimo un po'
di memoria capiremmo meglio l'animo greco. Capiremmo lo
scrittore Nikos Dimou, quando nei suoi aforismi parla della
sfortuna di esser greco: "Il popolo greco sente il peso
terribile della propria eredità. Ha capito il livello sovrumano
di perfezione cui son giunte le parole e le forme degli antichi.
Questo ci schiaccia: più siamo fieri dei nostri antenati (senza
conoscerli) più siamo inquieti per noi stessi".
Ecco cos'è, il Greco: "un momento strano, insensato, tragico
nella storia dell'umanità". Chi sproloquia di radici cristiane
d'Europa dimentica le radici greche, e l'entusiasmo con cui
Atene, finita la dittatura dei colonnelli nel 1974, fu accolta
in Europa come paese simbolicamente cruciale.
Il non-detto dei nostri governanti è che la cacciata di Atene
non sarà solo il frutto d'un suo fallimento. Sarà un fallimento
d'Europa, una brutta storia di volontaria impotenza. Sarà
interpretato comunque così. Non abbiamo saputo combinare le
necessità economiche con quelle della democrazia. Non siamo
stati capaci, radunando intelligenze e risorse, di sormontare la
prima esemplare rovina dei vecchi Stati nazione. L'Europa non ha
fatto blocco come fece il ministro del Tesoro Hamilton dopo la
guerra d'indipendenza americana, quando decretò che il governo
centrale avrebbe assunto i debiti dei singoli Stati, unendoli in
una Federazione forte. Non ha fatto della Grecia un caso
europeo. Non ha visto il nesso tra crisi dell'economia, della
democrazia, delle nazioni, della politica. Per anni ha
corteggiato un establishment greco corrotto (lo stesso ha fatto
con Berlusconi), e ora è tutta stupefatta davanti a un popolo
che rigetta i responsabili del disastro.
Le difficoltà greche sono state affrontate con quello che ci
distrugge: con il ritorno alle finte sovranità assolute degli
Stati nazione. È un modo per cadere tutti assieme fuori
dall'Europa immaginata nel dopoguerra. Ci farà male, questa
divaricazione creatasi fra Unione e democrazia, fra Noi e Loro.
La loro morte sarebbe un po' la nostra, ma è un morire cui manca
il conosci te stesso che Atene ci ha insegnato. Non è la morte
greca che Aiace Telamonio invoca nell'Iliade: "Una nebbia nera
ci avvolge tutti, uomini e cavalli. Libera i figli degli Achei
da questo buio, padre Zeus, rendi agli occhi il vedere, e se li
vuoi spenti, spegnili nella luce almeno".
La Repubblica 16 maggio 2012