Giulietta Banzi
Bazoli. Livia Bottardi Milani. Clementina Calzari Trebeschi.
Alberto Trebeschi. Euplo Natali. Luigi Pinto. Bartolomeo
Talenti, Vittorio Zambarda. Ricordiamoli, questi nomi. Oggi,
quando il mare in tempesta imperfetta dei sentimenti per
quanto accadde quel giorno di maggio di 38 anni fa finisce
per prendere il sopravvento.
C'è la giustizia cercata, attesa, voluta. Fortemente.
Nonostante il tempo che passa. C'è la sentenza che si ferma
di fronte ai limiti del nostro essere uomini.
Quei nomi, con quelli degli oltre cento feriti di quel
mattino di pioggia, vivono scolpiti nella pietra e nei cuori
di quanti li piangono e li ricordano. Di coloro che hanno
cercato, cercano e cercheranno ancora nei giorni a venire le
risposte che ancora mancano. E che la città tutta, senza
distinzioni, esige. Non dev'essere la delusione a prevalere,
in queste ore. Non la frustrazione. Semmai la consapevolezza
che un altro passo è stato compiuto.
Che cittadini sono stati giudicati da cittadini. E che sono
stati assolti, per la seconda volta. Sentenza da rispettare.
Non senza trascurare che, in questa come in altre trame del
terrore di quegli anni di notte della Repubblica, risultano
evidenti tracce di inquinamenti e azioni di depistaggio di
uomini di apparati dello Stato che hanno tramato nell'ombra
e tradito il proprio dovere. Non ci sono segreti né vincoli
di riservatezza quando ci sono morti innocenti nelle piazze.
Nessuna reticenza è motivata quando vengono meno le
condizioni della civile convivenza. Quando gli stessi valori
fondanti della democrazia vengono messi sotto attacco.
Quando ne viene fatto strame.
Questa non è una strage con i capelli bianchi. Anche se gli
anni sono trascorsi via in un attimo. È una strage che non
ha età. Di cui si conosce il terreno di coltura negli
ambienti del terrorismo neofascista. Ha colpito tutti. Ieri
come oggi. E allora, superato il momento dell'umana
delusione che si avverte inevitabilmente difronte alla
giustizia degli uomini che non riesce ad arrivare al punto
fermo di mandanti ed esecutori, resta da rinnovare la
promessa fatta allora, quel 28 maggio 1974. Che la ricerca
della verità non si ferma qui. Non è, questo, il punto di
arrivo. Non lo deve essere. Non ci può essere resa. Lo
esigono quei morti.
Quanti recano i segni dell'oltraggio nel corpo e nell'anima.
I loro familiari, la città tutta.
Quanti hanno versato lacrime e ne versano ancora. Quelle
donne e quegli uomini vivono nel cuore della città. Oltre il
tempo.
La loro memoria è viva. La verità è un dovere da assolvere.
* da Giornale di
Brescia.it, 15 aprile 2012