Tutti parlano di Tav,
ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto:
negli ultimi trent'anni l'Alta velocità è diventata uno
strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità
organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai
tempi dalla costruzione dell'Autostrada del Sole e della
ricostruzione post-terremoto in Irpinia. Questa è una certezza
giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e
politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi
sulla necessità o sull'inutilità di quest'opera. In questo
momento ci si divide tra chi considera la Tav in Val di Susa
come un balzo in avanti per l'economia, come un ponte per
l'Europa, e chi invece un'aberrazione dello spreco e una
violenza sulla natura. Su un punto però ci si deve trovare
uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l'Italia al
momento non è in grado di garantire che questo cantiere non
diventi la più grande miniera per le mafie. Il governo Monti
deve comprendere che nascondere il problema è pericoloso. Prima
dei veleni, delle polveri, della fine del turismo, della spesa
esorbitante, prima di tutte le analisi che in questi giorni
vengono discusse bisognerebbe porsi un problema di sicurezza del
sistema economico. Che è un problema di democrazia.
Ci si può difendere dall'infiltrazione mafiosa solo fiaccando le
imprese prima che entrino nel mercato, quando cioè è ancora
possibile farlo. Ma ormai l'economia mafiosa è assai aggressiva
e l'Italia, invece, è disarmata. Il Paese non può permettersi di
tenere in vita con i fiumi di danaro della Tav le imprese
illegali. Se non vuole arrendersi alle cosche, e bloccare ogni
grande opera, deve dotarsi di armi nuove, efficaci e
appropriate. La priorità non può che essere la "messa in
sicurezza dell'economia", per sottrarla all'infiltrazione e al
dominio mafioso, dotandola di anticorpi che individuino e
premino la liceità degli attori coinvolti e creino le condizioni
per una concorrenzialità, vera, non inquinata dai fondi neri.
Oggi questa messa in sicurezza non è ancora stata fatta e il
Paese, per ora, non ha gli strumenti preventivi per sorvegliare
l'enorme giro degli appalti e subappalti, i cantieri, la
manodopera, le materie prime, i trasporti, e lo smaltimento dei
rifiuti, settori tradizionali in cui le mafie lavorano (inutile
negarlo o usare toni prudenti) in regime di quasi monopolio.
Quando i cantieri sono giganti con fabbriche di movimenti umani
e di pale non ci sono controlli che tengano.
IL BUSINESS CRIMINALE
Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno
prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al
nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla
Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento,
aumentandone la capacità di investimento, di controllo del
territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza,
politico. Non vincono puntando il fucile. Vincono perché grazie
ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore
e veloce. Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli
appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione
post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che
sostituisce la normale gara d'appalto in virtù della presunta
urgenza dell'opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata
sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso
d'opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi
neri per migliaia di miliardi. La storia dell'alta velocità in
Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei
cartelli mafiosi dell'edilizia e del cemento. Il tracciato della
Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie
mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte
pronte e già si sono organizzate in questi anni.
Esagerazioni? La Direzione nazionale Antimafia nella sua
relazione annuale (2011) ha dato al Piemonte il terzo posto sul
podio della penetrazione della criminalità organizzata
calabrese: "In Piemonte la 'ndrangheta ha una sua consolidata
roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla
Lombardia". Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della
Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente
"un'emanazione della 'ndrangheta nel territorio della Val di
Susa e del Comune di Bardonecchia". L'infiltrazione a
Bardonecchia (che arrivò a portare lo scioglimento del comune
per infiltrazione mafiosa nel 1995 primo caso nel Nord-Italia) è
avvenuta nel periodo in cui si stava costruendo una nuova
autostrada e il traforo del Frejus verso la Francia. Gli appalti
del traforo portarono le imprese mafiose a vincere per la prima
volta in Piemonte.
I LEGAMI CON IL NORD
Credere che basti mettere sotto osservazione le imprese edili
del sud per evitare l'infiltrazione è una ingenuità colpevole.
Le aziende criminali non vengono dalle terre di mafie. Nascono,
crescono e vivono al Nord, si presentano in regola e tutte con
perfetto certificato antimafia (di cui è imperativa una modifica
dei parametri). È sempre dopo anni dall'appalto che le indagini
si accorgono che il loro Dna era mafioso. Qualche esempio. La
Guardia di Finanza individuò sui cantieri della Torino-Milano la
Edilcostruzioni di Milano che era legata a Santo Maviglia
narcotrafficante di Africo. La sua ditta lavorava in subappalto
alla Tav. La Ls Strade, azienda milanese leader assoluta nel
movimento terre era di Maurizio Luraghi imprenditore lombardo.
Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di
Milano, Luraghi era il prestanome dei Barbaro e dei Papalia,
famiglie 'ndranghetiste. Nel marzo 2009 l'indagine, denominata
"Isola", dimostrò la presenza a Cologno Monzese delle famiglie
Nicoscia e Arena della 'ndrangheta calabrese che riciclavano
capitali e aggiravano la normativa antimafia usando il sistema
della chiamata diretta per entrare nei cantieri Tav di Cassano
d'Adda. Partivano dagli appalti poi arrivavano ai subappalti e
successivamente - e in netta violazione delle leggi - ad
ulteriori subappalti gestendo tutto in nero.
Dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente
- e in contrasto con le norme antimafia - ad ulteriori
subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero.
Nell'ottobre 2009 l'Operazione Pioneer arrestò 14 affiliati del
clan di Antonio Spagnolo di Ciminà (Reggio Calabria),
proprietario della Ediltava sas di Rivoli, con la quale si
aggiudicò subappalti sulla linea Tav. Dalla Lombardia al
Piemonte il meccanismo è sempre lo stesso: "Le proiezioni della
criminalità calabrese, attraverso prestanome, - scrive
l'Antimafia - hanno orientato i propri interessi nel settore
edile e del movimento terra, finanziando, con i proventi del
traffico di droga e dell'usura, iniziative anche di rilevante
entità. In tale settore le imprese mafiose sono clamorosamente
favorite dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal
poter fare dell'assenza delle regole il punto di forza per
accaparrarsi commesse".
A Reggio Emilia l'alta velocità è stata il volano per far
arrivare una sessantina di cosche che hanno iniziato a
egemonizzare i subappalti nell'edilizia in Emilia Romagna. Sulla
Tav Torino-Milano si creò un business mafioso inusuale che
generò molti profitti e che fu scoperto nel 2008. Fu scoperta
una montagna di rifiuti sotterrati illegalmente nei cantieri
dell'Alta Velocità: centinaia di tonnellate di materiale non
bonificato, cemento armato, plastica, mattoni, asfalto, gomme,
ferro, intombato nel cuore del Parco lombardo del Ticino. La Tav
diventa ricchezza non solo per gli appalti ma anche perché puoi
nascondere sottoterra quel che vuoi. Una buca di trenta metri di
larghezza e dieci di profondità è in grado accogliere 20mila
metri cubi dì materiale. Ci si arricchisce scavando e si
arricchisce riempiendo: il business è doppio.
IL SISTEMA DEI SUBAPPALTI
I cantieri Tav sulla Napoli-Roma, raccontano bene quello che
potrebbe essere il futuro della Tav in Val di Susa. Il clan dei
Casalesi partecipa ai lavori con ditte proprie in subappalto e
soltanto fino al 1995 la camorra intasca secondo la Criminalpol
10mila miliardi di lire. Fin dall'inizio gli esponenti del clan
dei Casalesi esercitarono una costante pressione per conseguire
e conservare il controllo camorristico sulla Tav in due modi: o
infiltrando le proprie imprese o imponendo tangenti alle ditte
che concorrevano nella realizzazione della linea ferroviaria. I
cantieri aperti dal 1994 per oltre dieci anni, avevano un costo
iniziale previsto di 26.000 miliardi, arrivato nel 2011 a
150.000 miliardi di lire per 204 chilometri di tratta; il costo
per chilometro è stato di circa 44 milioni di euro, con punte
che superano i 60 milioni. Le indagini della Dda spiegarono
alcuni di questi meccanismi scoprendo che molte delle società
appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale
Zagaria, coinvolto nel processo Spartacus a carico del clan dei
Casalesi (e fratello del boss Michele, il quale riceveva nella
sua villa imprenditori edili dell'alta velocità). Il clan dei
Casalesi partecipò ai lavori con ditte proprie, accaparrandosi
inizialmente il monopolio del movimento terra attraverso la Edil
Moter. Nel novembre del 2008 le indagini della procura di
Caltanissetta ruotarono intorno alla Calcestruzzi spa, società
bergamasca del Gruppo Italcementi (quinto produttore a livello
mondiale), che forniva il cemento per realizzare importanti
opere pubbliche tra cui alcune linee della Tav Milano-Bologna e
Roma-Napoli (terzo e quarto lotto), metrobus di Brescia,
metropolitana di Genova e A4-Passante autostradale di Mestre. Le
indagini (che aveva iniziato Paolo Borsellino) mostrarono:
"Significativi scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento
con quelli effettivamente impiegati nella produzione dei
conglomerati forniti all'impresa appaltante". L'indagine voleva
accertare se la Calcestruzzi avesse proceduto "a una illecita
creazione di fondi neri da destinare in parte ai clan mafiosi
dell'isola, nonché l'eventuale esistenza di una strategia
aziendale volta a tali fini".
Ecco: questa è l'Italia che si appresta ad aprire i cantieri in
Val di Susa. Che la mafia non riguardi solo il sud ormai è
accertato. Di più: le organizzazioni criminali non solo in
Italia, ma anche in Usa e in tutto il mondo, stanno
approfittando enormemente della crisi, che è diventata per loro
un'enorme occasione da sfruttare. Bisogna mettere in sicurezza
l'economia del paese e siamo, su questo terreno, in grande
ritardo. La giurisprudenza antimafia è declinata sulla caccia ai
boss mafiosi. Giusto, ma non basta: serve un balzo in avanti,
serve una giurisprudenza che dia la caccia agli enormi capitali,
alle casseforti criminali che agiscono indisturbate nel mondo
della finanza internazionale. O ci si muove in questa direzione
o l'alternativa è che ogni forma di ripresa economica sarà a
capitale di maggioranza mafioso.
*laRepubblica, 06 marzo
2012