CASO MILLS
Partita vinta sette anni fa con la Cirielli
di Donatella Stasio*
«Santa Cirielli», dirà tra sé e sé Silvio Berlusconi, benedicendo il
giorno in cui quella legge fu approvata, tagliando di 5 anni la
prescrizione della corruzione giudiziaria. Era il 29 novembre 2005 e
la maggioranza di allora (Cdl, Lega, An, Udc) regalò al suo
presidente del Consiglio l'arma vincente nel processo Mills, che già
si prefigurava come il più insidioso. A marzo 2005 Berlusconi era
stato iscritto nel registro degli indagati insieme all'avvocato
inglese, e nei mesi successivi si erano fatte insistenti le voci di
una richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pm Fabio De
Pasquale, giunta a marzo 2006. L'ennesima «persecuzione
giudiziaria», gridò Berlusconi. E con lui la maggioranza, Lega in
testa. Che però gli avevano già confezionato la legge "perfetta".
Negli anni precedenti era stato un fiorire di leggi ad personam:
rogatorie internazionali, falso in bilancio, Lodo Schifani,
legittimo sospetto, inappellabilità delle sentenze di
proscioglimento. Più o meno una all'anno per smontare i processi
"toghe sporche" e All Iberian, anche se molte furono poi vanificate
dalla Consulta. Nessuna, però, aveva colpito direttamente al cuore
la prescrizione come la Cirielli (ribattezzata "ex Cirielli" per un
disconoscimento di paternità dell'originario proponente). Da allora,
i termini di prescrizione sono stati quasi dimezzati e per la
corruzione giudiziaria sono scesi da 15 a 10 anni. Uno "sconto"
decisivo per Berlusconi ma anche per Mills, nonostante la
separazione dei due processi. Il 25 febbraio 2010 l'avvocato inglese
se l'è infatti cavata per un mese; e ieri l'ex premier ha fatto il
bis per una manciata di giorni. Ma mentre per Mills la prescrizione
è arrivata dopo la sentenza d'appello (tant'è che la Cassazione ha
comunque confermato che corruzione c'era stata nell'interesse di
Berlusconi), per il Cavaliere la tagliola è scattata prima,
impedendo al Tribunale qualunque accertamento. Potenza della
Cirielli. E non solo.
Il processo Mills, dall'iscrizione nel registro degli indagati al
verdetto di ieri, è durato 7 anni e ha attraversato tre legislature,
scandite (fatta eccezione per i due anni del governo Prodi) dallo
scontro politico e istituzionale su norme destinate a bloccare,
sospendere o rallentare i processi. Da marzo 2005 sono state
approvate tre leggi ad personam: la Cirielli, il lodo Alfano per
sospendere i processi alle alte cariche dello Stato e il «legittimo
impedimento» per rinviarli fino a un massimo di 18 mesi (queste
ultime sono poi state bocciate dalla Consulta). Ma molte altre ne
sono state presentate, sempre con lo stesso fine.
Appena rieletto, nel 2008, Berlusconi fa inserire nel «decreto
sicurezza» la norma «blocca processi», uno stop di un anno a
beneficio di alcuni imputati (tra cui lui). Poi il governo presenta
la riforma del processo penale, con norme che danno più poteri alla
difesa e tolgono valore di prova ai fatti accertati nelle sentenze
passate in giudicato. La maggioranza si incarica invece di lanciare
il «processo breve», il «processo lungo», la «prescrizione breve».
Cinque mine vaganti per la giustizia, che saranno disinnescate anche
grazie alla moral suasion del Quirinale, preoccupato delle ricadute
sul sistema. Ma ogni passo indietro di governo e maggioranza ha un
prezzo: la «blocca-processi» in cambio del lodo Alfano; il «processo
breve» in cambio del «legittimo impedimento»; il «processo lungo» in
cambio della «prescrizione breve» (entrambi poi finiscono su un
binario morto).
Complessivamente, gli interventi "mirati" sono stati 8, senza
contare la «grande riforma della giustizia», la responsabilità
diretta dei magistrati, le intercettazioni, che hanno contribuito ad
alzare ulteriormente la tensione e la pressione sulle toghe. Il
tutto condito da offensive istituzionali e parlamentari (richieste
di commissioni d'inchiesta contro le toghe, lettere di denuncia ai
presidenti delle Camere, scontri con il Csm), da esternazioni di
Berlusconi all'estero, blitz televisivi, libri, conferenze stampa
contro i magistrati «indegni», «infami», «eversivi», compresi quelli
della Corte costituzionale che, secondo una formula più volte
ripetuta dall'ex premier, «abroga» le leggi del Parlamento per fare
un favore alle "toghe rosse". L'epilogo del processo Mills è figlio
di questa offensiva, partita con la Cirielli sette anni fa. Ed è
quindi una vittoria politica di chi quella legge fece approvare e di
chi, nei mesi scorsi, avrebbe voluto tagliare ancora la prescrizione
per gli incensurati. Ma la sentenza di ieri è anche la conferma di
quanto vanno dicendo l'Ocse e il Consiglio d'Europa, e cioè che la
prescrizione dei reati di corruzione dev'essere aumentata. Finora,
però, nessun governo li ha ascoltati.
* Il Sole 24 ore, 26 febbraio 2012
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