Permettetemi di sconfinare, per una
volta. La storia, ma soprattutto l’inspiegabile e
impudica protervia di Michel Martone, rappresentano una
triste parabola di quest’Italia malaticcia, in cui ce la
fai prima di tutto se sei figlio di qualcuno. I meriti
oggettivi seguono, optional di lusso. Michel Martone:
ricercatore di ruolo, e avvocato, a 26 anni; professore
associato a 27, professore ordinario a 29, consulente
della Civit – presieduta da suo padre – per 40mila euro,
viceministro a 38. Proprio nel ruolo di viceministro,
dopo un cursus honorum precocissimo, costellato di
successi che è lecito dubitare siano completamente
ascrivibili alle sue capacità personali, ha sentenziato:
«Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non
sei ancora laureato sei uno sfigato». Also spracht
Martone.
Sullo squallore di questa affermazione sono stati
scritti fiumi di parole; sull’incauta spavalderia di
questo campione dell’accademia familistica italiana
anche. È dell’associazione Precari della ricerca
italiana una gustosa ricostruzione della straordinaria e
certamente non limpida polverizzazione delle tappe
accademiche del suddetto; del fluido accesso a cariche
garantitegli oltre che dal babbo potente anche
dall’esegeta del merito, il non compianto ministro
Brunetta. E proprio dal suo mentore Brunetta – quello
che aveva apostrofato i precari come «l’Italia peggiore»
– l’impudico Martone ha acquisito quella incapacità di
tenere la lingua a posto, tronfio dei propri successi
accompagnati dallo sguardo (e non solo) benevolo di papà
e dal meritevolissimo privilegio di essere nobili genere
natus. In un curioso paradosso, la Civit è la
Commissione indipendente per la valutazione,
trasparenza, integrità delle Amministrazioni pubbliche:
paradosso e paradigma di una classe dirigente innamorata
delle parole merito, valutazione, performance, ma
incapace di scrollarsi di dosso i privilegi di casta che
si tramandano di padre in figlio, senza nemmeno quella
decenza minima di evitare esternazioni spudorate. L’art.
34 della Costituzione recita: «I capaci ed i meritevoli,
anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi». Un viceministro non può
dimenticare un principio così limpido. Né considerare la
propria realtà privilegiata come la realtà. Né
peggiorare la propria posizione specificando che
intendeva alcuni 28enni – quelli che non hanno problemi
– e non altri.
Come, quando si parla di scuola superiore, si tende a
riferirsi al liceo, non possiamo pensare che il
mondo-Martone sia il parametro di giudizio per
considerare la significatività di un percorso
universitario. E non possiamo consentire che, dal
morbido della bambagia in cui è vissuto, il nostro
immeritevole primo della classe offenda chi ha il solo
svantaggio, rispetto a lui, di essere il frutto di una
combinazione cellulare meno fortunata. Se i quasi
trentenni non laureati sono degli sfigati, mi fa paura
ipotizzare come catalogherebbe Martone i cassintegrati
ultracinquantenni che in questo momento frequentassero
un corso serale alla disperata ricerca di una
riqualificazione sociale e culturale, a seguito di un
processo di espulsione in nome di flessibilità (dei
lavoratori) e profitto (altrui): probabilmente paria.
Sì, è vero. Non si tratta di scuola, questa volta. Si
tratta – anche, però – di educazione.