VATICANO - IL SANTO PRIVILEGIO
Ricchezza e avidità della Chiesa di Roma
di Massimo Teodori
Le ingenti somme che la Chiesa cattolica nelle sue molteplici
articolazioni sottrae allo Stato italiano per evasione o per
distorta interpretazione delle norme ICI e IRES non sono solo
una questione contabile. Al momento non sappiamo quali delle
oltre 100 mila strutture ecclesiastiche e paraecclesiastiche
abbiano effettivamente diritto all’esenzione dalle tasse, e
quante invece approfittano dell’ambiguità delle norme attraverso
lo schermo delle cosiddette “opere di religione”. Ma, molto più
grave dell’aspetto contabile, è l’inquinamento che l’avidità
della Chiesa di Roma, in particolare dei suoi vertici
ecclesiastici e vaticani, producono sulle regole del vivere
civile della comunità nazionale.
Una storia antica. Basta ricordare che la scintilla della
ribellione che portò alla riforma protestante fu generata dalla
bolla di Leone X con cui nel 1514 si concedeva l’indulgenza in
cambio di offerte di denaro. Ai giorni nostri accade che i
vescovi italiani accordino la loro benevolenza a governi e
partiti non solo in cambio delle cosiddette leggi “etiche”, ma
anche di vantaggi materiali come l’omissione delle tasse dovute.
La recente storia dell’accumulazione delle finanze vaticane
comincia da quella notte di fine anni Sessanta quando Paolo VI
incontrò segretamente Michele Sindona per affidargli la gestione
del “patrimonio di Pietro” (4,8 miliardi di dollari dell’epoca
provenienti dall’Istituto Opere di Religione, IOR, e
dall’Amministrazione della Santa Sede, APSA) e il suo
trasferimento sui mercati internazionali per sottrarli alla
legislazione che aveva abolito l’esenzione fiscale ai dividendi
azionari in possesso del Vaticano. Il banchiere di Patti, già
allora, era il fiduciario di Cosa Nostra di cui riciclava il
danaro sporco, italiano e americano. Quando nel 1974 le autorità
degli Stati Uniti dichiararono il fallimento delle banche
sindoniane, il principe Spada affermò che in Vaticano nessuno
conosceva le attività criminali di Sindona, facendo finta di
ignorare che al vertice del sistema speculativo, insieme a
Sindona, regnava monsignor Paul Marcinkus a cui il segretario di
Stato Agostino Casaroli impedì di testimoniare nelle corti di
giustizia.
Il Vaticano, per tutto quel che riguarda i soldi “bianchi” e
“neri”, si nasconde dietro la condizione speciale garantita dal
Concordato stipulato del 1929 e rinnovato nel 1985. L’IOR ha
così potuto essere la cerniera del malaffare finanziario
d’origine mafioso-criminale e politico-tangentizia, godendo
dello status di unica banca al tempo stesso in-shore e
off-shore, facilmente accessibile a Roma ma impenetrabile ai
controlli nazionali ed internazionali ed agli interventi
giudiziari. In forza di questa specialissima condizione ha reso
servizi discreti al grande malaffare internazionale, agli
affaristi italiani ed a tutti coloro che vogliono sottrarsi alle
leggi. Pochi oggi ricordano i tanti episodi oscuri di cui è
stata protagonista la finanza vaticana: ad esempio, che la
famosa “lista dei 500” eccellenti esportatori di valuta al
momento del crack Sindona fu rimborsata grazie all’IOR e che la
stessa lista fu sottratta al curatore fallimentare Giorgio
Ambrosoli, fatto poi assassinare da Sindona; che il mandato di
cattura spiccato nel 1987 per il crack Calvi contro i dirigenti
vaticani Marcinkus, Pellegrino De Stroebel e Luigi Mennini trovò
i cancelli di San Pietro sbarrati; e che la tangente Enimont (93
miliardi) gestita da Luigi Bisignani e Sergio Cusani
transitò dall’IOR verso il Lussemburgo, Ginevra e Lugano. E
altri non riescono ancora a spiegarsi la ragione per cui è stato
fatto erigere un sarcofago quasi papale nella basilica di
Sant’Apollinare a Roma per il boss della Magliana Enrico de
Pedis, e come mai Vito Ciancimino abbia potuto regolarmente
depositare valigette piene di denaro mafioso nei sacri caveau
vaticani. Perché l’IOR non ha libretti di assegni ed accetta
solo contante che può girare agli istituti finanziari di tutto
il mondo?
“Occorrono molti finanziamenti per le opere di bene”, sono
soliti ripetere cardinali e pubblicisti clericali, pensando così
di giustificare i maneggi dell’IOR e le evasioni fiscali.
Vorremmo tuttavia chiedere ai vertici ecclesiastici come sia
compatibile la predicazione dei sacrifici e dei doveri verso la
comunità con il via libera alle più disinvolte operazioni
finanziarie che si consumano all’ombra del cupolone. Quando nel
1982 l’erede di Sindona, Roberto Calvi, cadde schiacciato dalla
montagna di imbrogli internazionali lasciando un debito di 1.300
miliardi di lire, si scoprì che il capo dell’Ambrosiano non era
altro che il socio-marionetta di Marcinkus, presidente dell’IOR
a cui Nino Andreatta, allora ministro del tesoro, fece pagare in
via transattiva 300 miliardi di lire per chiudere la partita
senza ulteriori verifiche. Del resto non è un mistero che nelle
casseforti segrete del Vaticano, si custodiscano tesori di
provenienza e destinazione inconfessabili come la miliardaria
sedicente “Fondazione Cardinale Spelmann” riconducibile a Giulio
Andreotti, o l’altrettanto truffaldina “fondazione intitolata a
Augustus Jonas” la cui unica firma autorizzata è di Luigi
Bisignani, per non parlare della miriade dei fondi di
grandissimi evasori fiscali italiani. Forse il governo Monti
dovrebbe farci un pensiero.
Ogni volta che si solleva la questione dei finanziamenti
illegali alla Chiesa e degli imbrogli degli enti
para-ecclesiastici ai danni della collettività, gli esponenti
cattolici e vaticani rispondono rispolverando il vecchio adagio
secondo cui “si deve approfondire la materia”, e che “se vi sono
irregolarità saranno rimesse in ordine”. L’esperienza insegna
però che propositi di questo tenore nascondono spesso
l’ipocrisia del rinvio per superare la bufera. Aspettiamo di
vedere quale seguito abbia la dichiarazione del cardinal
Tarcisio Bertone che, dopo giorni di tetragona difesa dello
status quo da parte de “L’Avvenire”, si è sbilanciato affermando
che “l’Ici è un problema da studiare e approfondire”. Quasi che
non fossero passati anni dalla legge sull’ICI del 1992 che
esonerava i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio di
culto, e dalle relative leggi Prodi (2006) e Berlusconi (2008);
e non fosse stata investita perfino la Commissione europea che
ha aperto un’indagine sull’esenzione dell’ICI concessa ai beni
immobili della Chiesa. L’intenzione di “approfondire la materia
dell’ICI” fa il paio con il tormentone della necessità di
bonificare l’IOR. La nomina nel 2009 di Ettore Gotti Tedeschi,
sostenitore della “finanza etica”, è stata presentata come una
svolta per moralizzare l’ente vaticano, ma ancora una volta non
se ne vedono gli effetti. Sembra che siano stati posti ostacoli
all’inchiesta giudiziaria del pm Nello Rossi che si è mosso su
segnalazione antiriciclaggio della Banca d’Italia per il
transito dall’IOR alla Banca del Cimino di una grossa somma di
cui non è chiara né la provenienza, né la destinazione, né
l’origine.
La storia della Chiesa avida e senza scrupoli finanziari non è
l’invenzione ideologica di laici anticlericali ma la semplice
lettura delle vicende d’Italia in cui il Vaticano, tramite
l’otto per mille (1200 miliardi di euro), l’Obolo di san Pietro,
il patrimonio immobiliare e perfino il potere di battere moneta
concesso dall’Unione europea, è ritenuto “lo Stato più ricco del
mondo”.
fonte: L’Espresso, 21 dicembre 2011