QUELLA VALANGA
DI SOLDI AI PARTITI
Un’alternativa al finanziamento pubblico
di Massimo Teodori
I finanziamenti illegali ai partiti da parte di imprenditori,
faccendieri e perfino cooperative dilagano più che mai. Gli enti
pubblici locali sono in buona parte divenuti macchine per
incanalare il denaro alla politica. Importanti personalità
economiche attaccano le degenerazioni dei politici. Nei partiti
personali, con il controllo del denaro pubblico, i capi
diventano i padroni dei loro stessi iscritti. L’ingente (e
fasullo) rimborso spese elettorali è ormai una voragine che
ingoia miliardi della collettività contro la volontà di tutti.
In questo orizzonte è doveroso chiedersi senza demagogia se si
può andare avanti su questo registro o se, invece, si devono
trovare metodi alternativi sul terreno decisivo di “soldi &
partiti”.
Negli ultimi tempi la polemica pubblica si è concentrata sugli
stipendi degli eletti ma è stato trascurato il nodo del
finanziamento alle forze politiche che pure costituisce una
delle maggiori colonne portanti della “partitocrazia senza
partiti”. I fautori dell’attuale finanziamento sostengono che la
politica costa ed è quindi doveroso che vi sia un (sostanzioso)
contributo pubblico quale conquista della moderna politica
democratica. A tale argomento si può rispondere che è sì vero
che la politica costa, ma non è detto che l’unica soluzione
debba necessariamente essere l’attuale metodo di finanziamento
interamente statalista e centralizzato, istituto nel 1972 e
dilatatosi proprio dopo il referendum che nel 1993 ne decretava
l’abrogazione. Vorrei perciò suggerire una strada alternativa
consistente in un finanziamento misto privato-pubblico non
statalista e centralizzato, fondato sulle scelte esplicite di
ciascun cittadino piuttosto che sull’imposizione statale.
E’ il metodo del finanziamento volontario effettuato da persone
fisiche e giuridiche (società, associazioni, sindacati…) che per
libera scelta possono donare contributi non soltanto ai partiti
ma anche alle loro articolazioni territoriali, ai candidati e ad
altri soggetti quali movimenti ad hoc, referendari, ecc.
Ovviamente le donazioni devono essere contenute entro soglie
massime relative sia a chi dà sia a chi riceve. L’obiezione a
questo metodo in uso in molti paesi occidentali è duplice: di
non riuscire a coprire e di mettere il denaro sopra la politica.
L’esperienza, al contrario, dimostra che la scelta di donare
volontariamente danaro a soggetti politici senza passare dallo
Stato incentiva soprattutto i contribuenti più modesti, qualora
vi sia un meccanismo chiaro di completa deducibilità dalle tasse
entro regole e limiti stabiliti che tengono a freno le velleità
dei ricchi. Un tale sistema dovrebbe poggiare sulla semplice
registrazione dei soggetti abilitati a ricevere finanziamenti i
quali devono tenere un analitico rendiconto dei contributi
ricevuti così come i donatori devono fare per tutte le donazioni
nominali. Alle spese elettorali andrebbero messi dei tetti
massimi accompagnati da rigorose sanzioni oltre che penali anche
amministrative (la perdita dei diritti) per chi non rispetta le
regole. Tale sistema volontario-privatistico può essere
accoppiato con un limitato rimborso pubblico elettorale in
proporzione al voto da effettuarsi direttamente ai soggetti
locali che concorrono alle elezioni.
Oggi si sottovaluta l’importanza del finanziamento della
politica quale elemento costitutivo della democrazia. Un sistema
regolato di finanziamento volontario dal cittadino al soggetto
politico preferito avrebbe alcuni effetti positivi:
assicurerebbe l’uguaglianza dei punti di partenza dei soggetti
elettorali; scoraggerebbe la nascita di partiti (e giornali tipo
Lavitola) fasulli che si reggono con i nostri soldi;
rispetterebbe le volontà individuali deprimendo le pulsioni
antipolitiche; metterebbe i gruppi d’ogni genere in condizione
di sostenere legittimamente le forze e le persone che difendono
i loro interessi; solleciterebbe i partiti a funzionare secondo
regole trasparenti; sottrarrebbe gli iscritti alla dittatura dei
capi e capetti di partito che controllano il pubblico denaro.
L’Espresso, 8 dicembre 2011