Dalla
repubblica delle banane all'austerità di un governo classista?
di Annamaria Rivera*
Se per assurdo fossi invitata a una cena con i signori e le
signore tanto perbene che compongono il governo che salverà la
patria, sono sicura che rifiuterei gentilmente. Anzitutto
rischierei di sfigurare al confronto di questo salotto buono di
banchieri, ammiragli, bocconiani, catto-baroni, megaconsulenti,
manager pubblici e privati, qualcuno ricco come un creso. I loro
abiti sobri quanto costosi farebbero risaltare l’eccesso
d’informalità dei miei straccetti comprati al mercatino
dell’usato. E non solo. Son sicura che mi annoierei mortalmente
delle conversazioni ingessate come i loro completi e non saprei
che cosa dire: che c’è di più noioso di un consesso di onesti
carrieristi (in senso buono), di borghesi convinti e coerenti?
Ché questo è il punto. Prese una per una, di sicuro sono persone
rispettabili e competenti, ma tutte insieme non vi sembrano
giusto l’incarnazione del “comitato d’affari della borghesia” di
marxiana memoria? Della borghesia in versione postmoderna,
beninteso. Non più quella dei padroni del vapore, bensì del
capitale finanziario, delle grandi banche, delle oligarchie e
tecnocrazie: insomma, le entità astratte e impassibili,
rappresentate da signori beneducati, le quali decidono se domani
tu sarai ancora al lavoro o no, se potrai farti curare o dovrai
affidarti al destino, se avrai la pensione oppure no, se sarai
vivo o morto…
Devo confessare che mi fa anche un po’ paura, quest’insieme
governativo così omogeneo per classe sociale, censo, ideologia
(prevale l’orientamento liberal-liberista) e perfino per
confessione religiosa (l’impronta cattolico-militante è
nettissima). Se non fosse per la presenza di un paio di
eccentrici – si fa per dire – che perlomeno sembra abbiano a
cuore l’uno le sorti dell’equilibrio climatico, l’altro la
solidarietà verso gli “ultimi” e il dialogo inter-religioso,
l’uniformità social-culturale del nuovo governo sarebbe un po’
allarmante.
Non c’è che dire: la discontinuità con lo stile e le forme dei
governi berlusconiani è garantita. Non avremo più al governo il
linguaggio e l’immaginario, anche sessuale, da venditori di
spazzole dei tardi anni Cinquanta. Non potremo più disperarci e
sghignazzare di gaffe e barzellette idiote, sessiste,
qualunquiste. Non potremo più indignarci per i festini di
Arcore, l’indecente conflitto d’interessi, le sparate razziste
dei ministri leghisti, il dileggio ostentato della Costituzione,
l’ignoranza dei principi elementari della lingua italiana, del
bon ton e della democrazia.
Ma speriamo di non dover rimpiangere, un giorno, di aver almeno
potuto ridere delle imprese e dei discorsi dell’ammucchiata di
parvenu e puttanieri, mafiosi e soubrette, pagliacci e mantenute
che si definiva governo. Auguriamoci che la serietà e il rigore
dei compassati esecutori degli ordini della Banca centrale
europea non ci facciano perdere per sempre la voglia di ridere.
Che l’austerità dello stile non si tramuti presto nella solita
ferocia classista verso i salariati e i non abbienti e che il
governo “tecnico” non acceleri la dissoluzione della società e
della democrazia.
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