Come riformare
il capitalismo
di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini *
Non si parla che di riforme. Ogni misura di politica economica è
annunciata come una riforma anche quando si tratta di normale
amministrazione. Il termine si è inflazionato. Riforme
dovrebbero essere quelle che cambiano la struttura di un
sistema, non quelle che ne modificano i parametri, come l'età
pensionabile o il livello della contrattazione salariale.
L'accento sulle cosiddette riforme è posto tutto sulla
contrazione dei costi e in particolare di quelli del lavoro:
decentramento dei livelli di contrattazione, flessibilità dei
contratti (per non dire licenziamenti), mobilità del lavoro,
ecc... E non si parla d'altro che di liberalizzazioni,
privatizzazioni, semplificazioni e riduzione del peso della
burocrazia.
Ora non c'è dubbio che interventi di modernizzazione e di
razionalizzazione siano opportuni. Ma è assai dubbio che si
traducano in un forte stimolo alla crescita nel tempo breve,
anzi brevissimo, di cui disponiamo. Perché il passo fondamentale
per avviare un ciclo di crescita robusto e duraturo non può che
consistere nell'espansione della domanda aggregata la quale,
oltre a trainare la ripresa dell'occupazione, avrebbe un effetto
benefico sul gettito fiscale e quindi sulla tenuta dei conti
pubblici e sulla fiducia dei mercati.
La questione fondamentale per suscitare la crescita, dunque, è
la "domanda". Ma come attivarla? Uno dei pilastri per ottenere
un'espansione della domanda è rappresentato da un piano di
investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella riconversione
ecologica dell'economia.
In Italia il finanziamento di un piano per la crescita potrebbe
provenire in primo luogo da un'imposta patrimoniale dell'ordine
di 15 miliardi di euro all'anno che si protragga per almeno tre
o cinque anni. Nel contempo, in questo momento difficilissimo
per la tenuta delle finanze pubbliche, andrebbero attivate le
grandi imprese a partecipazione statale come Eni, Enel e
Finmeccanica e andrebbe coinvolto il sistema bancario, non solo
per motivi di solidarietà nazionale ma anche perché il rilancio
della crescita avrebbe l'effetto di far risalire le quotazioni
azionarie delle grandi imprese e delle banche che oggi sono
pesantemente sottovalutate a causa del "rischio Italia".
In Europa il finanziamento di un piano per la crescita dovrebbe
avvenire attraverso due interventi da attuare simultaneamente:
l'emissione degli Eurobonds e il varo della tassa sulle
transazioni finanziarie che permetterebbe di pagare la spesa per
interessi sulle obbligazioni europee.
Il rilancio della crescita dell'economia italiana ed europea
avrebbe un effetto importante sulla fiducia che è essenziale per
alimentare la circolazione della moneta e per riattivare il
credito bancario alle famiglie e alle imprese. Perché oggi le
banche europee a causa delle fosche prospettive di crescita
hanno degli attivi che sono diventati sempre più illiquidi e
tendono a mettere a riserva oppure ad impiegare in attività
speculative la liquidità che si possono procurare a basso costo
dalla Banca Centrale Europea.
Inoltre, è di cruciale importanza rovesciare le convinzioni
dominanti che considerano i redditi da lavoro come gravami da
minimizzare piuttosto che fattori di benessere da promuovere:
come vincoli e non come obiettivi. Il fatto è che è proprio nel
mostruoso aumento delle disuguaglianze sta l'origine della crisi
attuale. Alle origini della crisi americana, trasmessa poi
all'Europa, c'è un colossale indebitamento generato dalla
necessità di evitare la contrazione della domanda associata alla
stagnazione dei salari. Quelle disuguaglianze oggi non si sono
ridotte ed anzi sono state accentuate dallo spostamento del
debito privato su quello pubblico e quindi dalla necessità di
tagliare le prestazioni sociali per far quadrare i conti. E le
agenzie di rating che avevano tranquillamente garantito i conti
di imprese fallimentari oggi non si stanno facendo scrupoli nel
declassare gli Stati in difficoltà.
La verità è che nel capitalismo finanziario il problema cruciale
è quello della distribuzione della ricchezza. La crescita
comporta uno spostamento della ricchezza concentrata in misura
sproporzionata verso i livelli più alti.
Ma quale crescita dobbiamo avere in mente nel periodo attuale?
Crediamo che l'obiettivo prioritario non debba essere di tipo
quantitativo. Oggi dobbiamo puntare su di un'economia della
sostituzione e dell'efficienza che ci porti verso una condizione
di "stato stazionario di natura dinamica". Cioè dobbiamo
impegnarci verso la costruzione di un'economia in cui il
prodotto totale non continui ad espandersi indefinitamente ma
che punti invece su uno sviluppo di qualità.
Una più equa distribuzione del reddito e una produzione
ecologicamente più equilibrata: ecco le vere riforme di un
capitalismo che ci sta trascinando verso un'età dei torbidi.
* la Repubblica, 9 novembre 2011