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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Arabia Saudita: il voto alle donne non si coniuga con i diritti civili
di Maria Mantello
In Arabia Saudita dal 2015 anche le donne potranno votare. Il re Abdullah bin Abd el Aziz al Saud il 25 settembre 2011, in occasione dell’insediamento del Consiglio della Shura - organo consultivo della monarchia composto di 150 maschi, di cui la metà eletta dal “popolo” (dei maschi)- ha dichiarato che esse «potranno candidarsi alle elezioni comunali e finanche esercitare il diritto di voto». Una graziosa concessione da parte del sovrano, che però non cambia la vita delle donne. Come accade nei Paesi teocratici musulmani, esse infatti continueranno a non uscire quando vogliono, né a poter viaggiare da sole, né a guidare o andare in bici. Guai poi a scegliersi il marito, farsi curare, studiare, o gestire beni senza l’autorizzazione di un maschio di famiglia. La pena più diffusa per le ribelli è la fustigazione pubblica. I mille e mille divieti, puntigliosamente precisati che impediscono alle donne l’accesso ai diritti civili sono la barriera contro ogni emancipazione possibile. Sono il muro impenetrabile che rende inconcepibile ogni loro autodeterminazione. La gabbia repressiva, di cui il pesante velo nero che le copre da capo a piedi ne è simbolo. Per imposizione e consuetudine millenaria. Il loro re ha detto però adesso che possono votare. E non è un grande sforzo per un Paese dove voto non fa rima con democrazia…. Tra qualche anno. «Finanche votare!» Che vogliono di più? I media hanno amplificato questa concessione. E forse era proprio quanto il sovrano sperava, per tamponare quella “primavera araba” con cui anche l’Arabia Saudita comincia a dover fare i conti, preoccupata soprattutto da quella spinta femminista che costituisce la vera rivoluzione contro un potere che soprattutto sulla sottomissione delle donne si regge. Certamente le femministe sono una esigua minoranza, ma capace di trascinare. Si ricordi ad esempio il recente caso di Manal al Sharif, che a maggio aveva indetto la campagna di disobbedienza contro il divieto di guidare, inserendo su Youtube anche un filmato che la riprendeva al volante. Arrestata dalla polizia religiosa saudita è costretta a pentirsi, ma il 17 giugno all’appuntamento del “Women2Drive”, che questa trentenne aveva lanciato su internet, le donne alla guida sono tante a dimostrare che il circolo della soggezione patriarcale può essere incrinato. Anche il governo deve prenderne atto, e temendo ben altre rivendicazioni dagli effetti e risvolti imprevedibili anche per l’attenzione delle democrazie occidentali alla violazione dei diritti umani, cerca di far bella figura estendendo il voto alle donne. E forse lo fa contando proprio sul fatto che in questa consistente fascia di popolazione (le donne sono più del 50%) il modello educativo repressivo continui ad essere talmente interiorizzato, che magari proprio le donne confermino “democraticamente”, un sistema di potere che le vuole ostaggio di un tutore maschio, che le accompagna «finanche» al seggio elettorale
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