Il sole nero che oscura le feste
repubblicane con il “Comma 24″
Nel suo libro La svastica sul sole lo scrittore di fantascienza
americano Philips Dick provava ad immaginare come sarebbe stata
l'America se i nazisti ed i giapponesi avessero vinto la seconda guerra
mondiale. Ci siamo sempre chiesti come avrebbe immaginato Philips Dick
l'Italia se Mussolini ed Hitler avessero vinto la guerra.
Certamente non ci sarebbe stata la Repubblica ed una Costituzione
democratica fondata sul lavoro. Perciò a nessuno sarebbe venuto in mente
di festeggiare il 2 giugno (festa della Repubblica), né tantomeno il 25
aprile (festa della liberazione dal nazifascismo) ed il primo maggio
(festa dei lavoratori) avrebbe potuto essere accantonato facilmente.
In questo strano paese, favorito dalla calura di agosto, il confine fra
realtà e fantascienza si è liquefatto e la profezia nera si è
trasformata, nero su bianco, nella Gazzetta Ufficiale, attestandosi al
comma 24, che recita: «A decorrere dall'anno 2012 con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, da emanare entro il 30 novembre dell'anno
precedente, sono stabilite annualmente le date in cui ricorrono le
festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi
con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei
Santi Patroni in modo tale che, sulla base della più diffusa prassi
europea, le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì
seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano
con tale domenica».
Il fatto che tali festività non siano state del tutto soppresse ma
consegnate nella mani del Consiglio dei Ministri che può spostarle
quando vuole e farle coincidere o meno con la domenica è ancora più
oltraggioso della loro semplice cancellazione, perché fa dipendere la
loro celebrazione da calcoli di opportunità (per se. a seconda che gli
operatori del turismo o altre corporazioni le considerino più o meno
utili), destituendo tali ricorrenze di ogni significato.
Poiché noi viviamo pur sempre in un ordinamento, basato su una
Costituzione, nata dalla Resistenza, nella quale all'art. 1 si delinea
il volto dell'Italia come quello di una Repubblica democratica fondata
sul lavoro, è evidente che il Comma 24, introduce un paradosso,
altrettanto inquietante quanto il più famoso paradosso del libro Comma
22 di Joseph Heller, che narrava le avventure di un gruppo di piloti
statunitensi impiegati per i bombardamenti in Italia durante la seconda
guerra mondiale. Questi piloti potevano chiedere l'esenzione dalle
missioni di bombardamento solo in caso di pazzia (comma 21), però il
comma 22 prevedeva che chi chiedeva l'esonero non poteva essere pazzo.
Con il Comma 24 il Governo Berlusconi cerca di cancellare, sul piano
simbolico, i caratteri che definiscono l'identità della Repubblica e
danno significato alla nozione di "Patria" nel nostro tempo.
Senonché questi caratteri non sono stati tracciati nella sabbia, nascono
da un processo storico doloroso e travagliato. Essi sono incisi, per
dirlo con parole di Calamandrei «sulla roccia di un patto giurato fra
uomini liberi che volontari si adunarono, per dignità, non per odio,
decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo». Le questioni
simboliche hanno una alta valenza politica perché incidono
sull'immaginario collettivo e sulla coscienza di sé. Cancellare i
simboli dell'identità di una nazione significa favorire un processo di
destrutturazione della nazione, attraverso la perdita della memoria
storica. Uno degli indici più inquietanti del contesto culturale del
nostro tempo è dato dal fatto che noi viviamo confinati in un eterno
presente. Noi viviamo immersi nel presente, come se non avessimo un
passato e come se non dovessimo preoccuparci del nostro futuro ed adesso
si cerca esplicitamente di produrre un diffuso analfabetismo politico di
ritorno, per effetto del quale la resistenza diventa un capitolo
archiviato negli scaffali della Storia, come le guerre puniche, e la
Costituzione da essa generata, una mera tecnologia per l'organizzazione
dei poteri pubblici, da relegare nell'archeologia industriale.
Invece, «noi - come ha avvertito Benedetto Croce - siamo prodotti del
passato e viviamo immersi nel passato». Ed io aggiungo che possiamo
costruire un futuro solo se manteniamo il rapporto di intelligenza
morale con il passato che ci ha prodotti. Per questo non possiamo
accettare che i segni dell'identità italiana vengano cancellati.
Domenico Gallo – Il Manifesto (21 agosto 2011)
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