La solitudine di un liberista
di Roberto Perotti*
Sono tempi duri per i liberisti. Niente illustra
meglio il loro dilemma di ciò che sta avvenendo a Milano, dove sono
costretti a scegliere fra uno schieramento storicamente agli antipodi
della cultura liberista e un altro che occasionalmente vi si richiama ma
nei fatti dimostra di esservi ugualmente estraneo.
Per un liberista è impensabile negare a qualcuno il diritto di praticare
la propria religione in modo dignitoso; come tutti, un liberista ha a
cuore l'ordine pubblico, ma non lo userebbe mai come scusa per
sopprimere le legittime manifestazioni della libertà individuale.
Un liberista crede nella concorrenza, anche delle idee e delle culture;
per questo non potrebbe mai allearsi con chi quotidianamente insulta e
minaccia stranieri e diversi.
Un liberista crede nella libertà di scelta delle famiglie, ma non ha
bisogno di denigrare indiscriminatamente la scuola pubblica.
Piuttosto, cerca di correggerne le tante storture con misure credibili e
attuabili, invece di lanciarsi ogni due anni in improbabili riforme
epocali, spesso ispirate da zeloti ideologizzati che pretendono
d'insegnare due lingue a bambini di undici anni, mentre la scuola è nel
caos perché il ministero si dimentica di emettere delle semplici
circolari applicative e la ministra preferisce andare agli show
televisivi per inneggiare al suo capo di Governo.
Per un liberista essere imprenditore significa chinare la testa e
cercare di produrre e innovare: il vero imprenditore ha meglio da fare
che cercare favori, sussidi, e soldi pubblici. Un liberista ha quindi
poco da spartire con quegli individui, metà politici e metà
imprenditori, che ronzano come api intorno alle aziende municipalizzate,
alle fondazioni bancarie, alle grandi opere e a ogni occasione per fare
qualche colata di cemento o organizzare qualche evento inutile, anche
quando si potrebbe fare molto di più per i cittadini con molto meno.
Un liberista è spesso un personaggio grigio e prevedibile, soprattutto
quando si tratta di amministrare la cosa pubblica. È molto sospettoso
dei voli pindarici e delle "grandi visioni"; sa che spesso sono solo lo
strumento per nascondere la mancanza di idee o di competenze per
risolvere i problemi dei cittadini. Un liberista crede in un lavoro di
sana, grigia ordinaria amministrazione che cerca di risolvere i problemi
di tutti i giorni, anche se sono politicamente poco visibili.
Un liberista sa che le nostre città non hanno bisogno di Expo, che
scatenano un esercito di parassiti, se non di delinquenti, e distolgono
per anni soldi ed energie da un molto più oscuro ma più importante
lavoro di risanamento dei quartieri esistenti, che riempia i buchi delle
strade, tolga i graffiti dai muri e la spazzatura dalle strade, e faccia
funzionare scuole e ospedali. Non hanno bisogno di Gran premi di Formula
1 o di Olimpiadi, ma di aprire e gestire le piscine perché i giovani
possano praticare lo sport. Non hanno bisogno di convegni inutili, di
kermesse pseudo-culturali, di nuovi musei su argomenti sempre più
improbabili, ma di far funzionare i musei che già esistono e che spesso
sono un imbarazzo per il nostro Paese.
Per questo un liberista è stanco di una classe dirigente che sembra
ispirata a un senso di affarismo ossessivo, nel migliore dei casi
ingenuo e infantile, nel peggiore interessato e indifferente al bene
pubblico. Una classe dirigente per cui sembra non esistere problema che
non possa essere risolto con il cemento, con qualche annuncio a effetto,
con qualche privatizzazione di facciata, con qualche grande evento, o
con qualche cordata d'imprenditori ben connessi.
A causa di questa infatuazione infantile per il cemento e per gli affari
come panacea di ogni male, chi ci rappresenta all'estero si è trovato a
lodare pubblicamente un dittatore perché ha avuto la fortuna, negata ai
poveri governanti italiani, di poter costruire in pochi anni senza
intralci un'intera città - con che risultati estetici e a che prezzo per
i suoi sfortunati sudditi non sappiamo, e non interessa. O si è trovato
a baciare la mano di un altro dittatore che ci prometteva di salvare una
banca nostrana e di riservarci due commesse nel deserto.
Un liberista crede profondamente nella competenza individuale. Per
questo è incredulo che ci si riempia la bocca di ricerca, scienza e
tecnologia ma per motivi ideologici si possa nominare alla
vice-presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche una persona che
da anni propaganda tesi che appaiono insensate ed offensive verso intere
categorie di persone e la cui designazione perfino Cesare Lombroso,
patrono della pseudo-scienza e dell'oscurantismo, troverebbe
discutibile. Per questo un liberista non si sente rappresentato da chi,
invece che promuovere l'immagine del Paese nei consessi internazionali
con proposte costruttive e competenti, lo scredita raccontando
barzellette osé e facendo battute sul colore della pelle degli altri
governanti, ed è troppo preso da altre faccende per rendersi conto che,
a torto o a ragione, nel XXI secolo questo non si può fare.
* Sole 24 Ore, 20 maggio 2011
|