Il punto di non ritorno
di Pier Luigi Impedovo
Quante polemiche per l’editoriale di Asor Rosa sul Manifesto,
soprattutto a sinistra. Ed è perfettamente comprensibile capirne il
perché. In sintesi l’articolo è un richiamo che l’illustre professore
rivolge alle alte cariche istituzionali, in particolare alla Presidenza
della Repubblica, affinché intervengano, in ogni modo, per bloccare
l’avanzato processo di autodistruzione dei pilastri democratici su cui
si fonda la nostra società. Parla di una democrazia che si sta
dissolvendo gradualmente per via democratica e invoca una tutela della
stessa appellandosi a valori democratici superiori.
Scandalo. E’ ovvio, per una sinistra ormai dormiente da un ventennio,
che tali parole possano sembrare una scossa fastidiosa al fangoso
torpore della connivenza. Ma basta fare alcune riflessioni per capire
bene quale sia l’effettivo stato di assuefazione alla distruzione
democratica. Assuefazione.
Proviamo ad immaginare se solo venti anni fa sarebbe stato plausibile o
solo ipotizzabile credere che un presidente del consiglio potesse
organizzare manifestazioni di pensionati o di comparse prezzolate e
semianalfabete, con l’avallo delle forze dell’ordine, inneggianti alla
distruzione del potere giudiziario; o sempre che un presidente del
consiglio potesse autoassolversi con proclami eversivi in piazza dalle
accuse in essere durante un processo in corso nelle contigue aule
giudiziarie. O se sarebbe stato pensabile anche la semplice pronuncia di
affermazioni quali “i giudici sono disturbati mentali” e “vanno puniti”
o che la stessa magistratura sia un’istituzione contro la libertà,
antidemocratica, anticostituzionale e così via. Sarebbe forse stato
plausibile e possibile solo pensare che un individuo, già padrone del
linguaggio e dell’informazione mediatica, potesse entrare in politica
solo per sfuggire alle gravissime condanne che pesavano e pesano su di
lui e che gli sarebbe stato consentito indisturbatamente di scardinare
giorno per giorno, per un ventennio consecutivo, tutte le fondamenta
costituzionali di garanzia democratica relative alla giustizia,
all’informazione, alla cultura, all’istruzione pubblica, all’unità della
nazione, allo stato sociale e allo stato di diritto?
Venti anni fa, se qualcuno ci avesse illustrato la situazione attuale,
avremmo semplicemente riso per l’assurdità, ci saremmo rifiutati
soltanto di concepirla. Eppure oggi siamo assuefatti, abituati, amorfi,
indifferenti, rassegnati, incapaci di reazione di fronte a tale
aberrazione culturale e istituzionale. Come ci siamo arrivati? Pochi
giorni fa Napolitano ha parlato di lungimiranza della carta
costituzionale. Quella lungimiranza dei Padri Costituenti nasce proprio
dalla storia, dall’essere, in quel tempo, appena usciti da un periodo di
aberrazione e atrocità morale che ci aveva trascinato nel baratro.
Perché gradualmente, pezzo per pezzo, stiamo accettando di rientrare in
quel baratro consentendo lo sgretolamento del pilastro costituzionale
tanto faticosamente costruito?
Ebbene le condizioni affinché questo sia stato e sia possibile sono due.
La prima è legata al concetto stesso di democrazia. Il potere al popolo,
quel potere che oggi, da questi tribuni da avanspettacolo, viene tanto
sbandierato come legittimante l’impunità. Non è forse un’illusione
questo potere dato al popolo? Oppure è forse lecito credere che se le
masse non fossero state tanto facilmente condizionabili non gli sarebbe
stata concessa la facoltà di votare? Il popolo decide veramente? O la
cosiddetta democrazia è solo una copertura del potere atta a dare solo
un’illusione della libertà? Non è forse solo un esercizio operato dal
potere solo per auto assolversi e autocelebrarsi ed autoconsacrarsi? E
se torniamo indietro non tanto lontano, ma proprio nel neo celebrato
Risorgimento, abbiamo forse visto la partecipazione delle masse ai
movimenti o alle decisioni di unificazione dell’Italia? Le masse sono
sempre state inermi. Assuefatte a qualsiasi potere e qualsiasi dominio.
Gramsci relegava gli intellettuali ad essere interlocutori con le masse,
e li incaricava di trasmettere quell’egemonia culturale che mai le masse
avrebbero incamerato in modo autocosciente. Oggi tale egemonia è
esercitata con strumenti molto più potenti e serve a governare le masse
ed ad indirizzarle dove il potere vuole. E la destra ha fatto
culturalmente proprio questo concetto gramsciano per monopolizzare
l’illusione democratica. Quindi la prima condizione è proprio questa
debolezza della democrazia, questa illusione. Non è certamente un caso
che nei primi cinquant’anni della nostra storia Repubblicana siamo stati
sull’orlo del colpo di stato in svariate circostanze, che i servizi
segreti, associazioni e logge occulte abbiamo dato sempre indirizzi
fondamentali operando nell’ombra della cosiddetta illusione democratica,
che la strategia della tensione e della paura abbia quasi giustificato
questa sottomissione all’emergenza continua. E non è forse ancora la
paura a governare questa illusione democratica? Non è forse la paura
dell’immigrato, o la paura dei comunisti o dei cosacchi, o la
sbandierata paura di perdere qualche illusoria certezza che viene
chiamata genericamente libertà che consente al potere di autotutelarsi?
Veniamo alla seconda condizione che ha consentito questo degrado
culturale e istituzionale. La connivenza attiva e passiva della
cosiddetta sinistra. Non sono stati forse i D’Alema, i Violante, i
Fassino a scendere per primi a patti (quasi venti anni fa) con questo
contropotere affaristico emergente? In bicamerale (quella sorretta
dall’appoggio cossighiano) non si parlò già di indebolimento della
magistratura, di divisione della stessa, di Csm asservibile
all’esecutivo, di responsabilità penale dei giudici? Non sono stati
forse loro ad ispirare questa controriforma della giustizia? Non sono
forse gli stessi, che ora in modo ridicolo leggono la Costituzione in
aula come segno di opposizione e che responsabilmente e premeditatamente
hanno contribuito a disintegrare, coloro che garantirono all’allora
emergente contropotere affaristico l’inviolabilità e la preservazione
dello strumento di condizionamento delle masse per eccellenza, le
televisioni? Non è forse Fassino che da venti anni ripete che la
priorità non fosse e non sia il conflitto di interesse? Non è forse
dalla mancata risoluzione di questo conflitto che deriva il disastro e
l’assuefazione cui siamo ora giunti? Non sono forse gli stessi di allora
quelli che hanno per primi scardinato la Costituzione inoculando il
germe secessionista di un federalismo i cui effetti devastanti vedremo a
brevissimo termine. E non solo effetti di tipo economico. Non sono forse
gli stessi che addirittura si vantano di averci condotto alle soglie
della disgregazione e frammentazione in nome di interessi localistici?
Non sono forse sempre loro che hanno avallato le cosiddette
privatizzazioni che hanno consentito la concentrazione nelle mani di
pochissime persone di quei beni che gli italiani avevano già pagato da
un pezzo, a partire dalle autostrade per arrivare alle
telecomunicazioni, passando per aeroporti e ferrovie? E nel farlo,
consentendo lo scaricamento dei debiti da scatola cinese di questi
personaggi ignobili (che si spacciano per imprenditori) sulle tasche
degli italiani ignari ed indifesi, attraverso l’applicazione senza
controllo delle tariffe? E non sono sempre loro i responsabili del
depauperamento delle risorse e tecnologie strategiche e più preziose a
discapito della collettività e dell’interesse comune. Alla faccia
dell’essere di sinistra. Altro che comunisti. E non sono sempre loro,
con le loro assenze a far passare gli scudi fiscali o a difendere
l’impunità della casta? E non sono sempre loro ad aver svenduto
l’applicazione della legge con il famigerato indulto che ha consentito
al condannato eccellente Previti, gran corruttore nel nome del principe,
a non trascorrere neanche un giorno in carcere?
Eppure questi indecenti ed impresentabili personaggi, responsabili in
prima persona delle sconfitte, delle concessioni, del depauperamento
degli italiani, del saccheggio del bene comune, del degrado morale e
culturale, questi personaggi dalla spregiudicata connivenza, dalla
limitata capacità strategica, dalla colpevole complicità, sono ancora
là. E hanno anche la pretesa di rappresentare l’opposizione, proprio
loro che sono stati i responsabili del progressivo accrescimento di
questo contropotere. Adesso timidamente si indignano, con le medesime
facce, segnate dalla malafede e dall’inganno perpetrato, senza vergogna
si deresponsabilizzano da ciò che hanno loro stessi prodotto. E si
chiedono, con una faccia tosta che potrebbe essere interpretata per
strafottenza verso il potenziale elettorato, perché non rappresentino
più un’alternativa credibile. Finchè questi personaggi non verranno
spazzati via e scaraventati fuori dai luoghi di rappresentanza
istituzionale la corsa verso il baratro sarà inarrestabile. Per questo
non si può non dare atto ad Asor Rosa di aver dato una scossa ed un
segnale forte. Il suo è un monito appassionato che vuole ricordarci che
esiste un punto di non ritorno. E che se vogliamo sopravvivere a questa
nuova ondata di barbarie e non precipitare nel baratro prima che sia
troppo tardi, è lecito chiedere un intervento superiore che provenga
dalle stesse istituzioni democratiche che non solo hanno il dovere di
tutelare se stesse ma anche l’intero interesse della collettività. Altro
che golpe.
http://www.agoravox.it/Il-punto-di-non-ritorno.html
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