Il Vaticano crocifigge Saramago
Paolo Flores d’Arcais *
José Saramago ha lasciato l’isola di Lanzarote. La sua salma è stata trasferita in Portogallo, dove dopo la camera ardente verrà cremata. Una parte delle ceneri ritornerà nell’isola e sarà sepolta ai piedi di un ulivo. Mentre le agenzie battevano queste notizie, ne aggiungevano un’altra: al grande scrittore scomparso arrivava uno straordinario riconoscimento, l’attacco forsennato del quotidiano della Santa Sede, l’Osservatore Romano, talmente invasato nella pulsione dell’anatema da dare spurgo a una prosa sgangherata e sbilenca. Ma la carità cristiana, si sa, messa in mano alla Chiesa gerarchica può fare miracoli.
Evidentemente i suoi libri devono aver colto nel vivo, se il foglio del Papa sente il bisogno di sproloquiare che “uncinata com’è stata sempre la sua mente da una destabilizzante banalizzazione del sacro e da un materialismo libertario che quanto più avanzava negli anni tanto più si radicalizzava, Saramago non si fece mai mancare il sostegno di un semplicismo teologico sconfortante: se Dio è all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa”. Prescindendo dalla struttura sintattica di conio prepotentemente tedesco, colpisce quella “sua mente” descritta come “uncinata”, per l’assonanza hitleriana che il lapsus evoca con gioventù assai diverse da quella del grande scrittore, a parte che in italiano “una mente uncinata da una banalizzazione” o lo scrive un genio del “pulp” o te la segnano in blu in qualsiasi ginnasio. L’autore, o traduttore, del cristiano necrologio, vuole dire che il cervello di Saramago era destabilizzato dalla banalizzazione del sacro (vulgo: che era un pazzo o un coglione) o che con tale banalizzazione, coniugata col suo materialismo libertario, destabilizzava la fede dei lettori? Perché in quest’ultimo caso sarebbe un elogio.
Del resto “lo sconfortante semplicismo teologico” che gli viene imputato riassume solo nella splendida forma narrativa del Vangelo secondo Gesù e del più recente Caino le antinomie della teodicea delle quali, malgrado secoli di sottigliezze teologiche e alpinismo sugli specchi, i dottori della Chiesa non sono mai riusciti a venire a capo. L’“house organ” del presunto Vicario di Cristo in terra fulmina lo scrittore per essersela presa con “un Dio in cui non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza, della Sua onniveggenza” ma dimentica la infinita bontà e/o giustizia che è la caratteristica di Dio incompatibile con l’onnipotenza, visti gli orrori di cui è albergo il “Suo” creato, incompatibilità da cui non ci si libera con il solito richiamo al passpartout del “mistero”, anzi delle “(di Dio) prerogative per così dire, che ben avrebbero potuto nascondere un mistero” . Segue il puro nonsense, razionalmente parlando, della conclusione: “Oltre che la divina infinità delle risposte per l’umana totalità delle domande”. Quanto al Vangelo secondo Gesù quello che manda fuori dai gangheri L’Osservatore è che sia costruito utilizzando tutti i dati che la critica storica delle origini del cristianesimo considera da decenni acquisiti, da un Gesù che non si considerò mai il Cristo (eventualmente, per alcuni, al momento della croce) a una Maria di cui nulla sappiamo, se non che giudicava suo figlio “fuori di sé” (Marco, 3, 21). E valorizzando tutte le contraddizioni della favola teologica realizzata nei secoli successivi, fino a Nicea e Calcedonia.
Ma la logica non è il forte del quotidiano vaticano e neppure il rispetto dei fatti, visto che come botta finale rimprovera al grande scrittore che “un populista estremistico come lui, che si era fatto carico del perchè del male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche”: esattamente quello che Saramago ha fatto, con il suo impegno inesauribile “dalla parte degli ultimi”, dei poveri, degli emarginati, che a chi pretende di predicare il Vangelo tutte le domeniche qualcosa dovrebbe pur ricordare.
*Il Fatto Quotidiano (20 giugno 2010)