Attacco alla Costituzione Repubblicana e imprenditori senza impresa
Marco Lombardi
Il nuovo attacco alla Costituzione Italiana ha quale testa d'ariete la libertà d'impresa. Come se il principio della proprietà privata (art. 42) non bastasse, secondo il Presidente del Consiglio è necessario dare rango costituzionale alle politiche di iniziativa economica individuale e societaria, per rendere il paese più competitivo. Ma è questa la vera priorità? E' solo “aprendo un'impresa con un click”, per citare il Ministro della Funzione Pubblica, che si risolleva l'Italia dalla crisi?
L'Italia è uno dei paesi europei con il maggior numero di Partite Iva e, rileva Unioncamere, i tassi di natalità delle imprese hanno registrato una diminuzione minima negli anni 2008 e 2009, concentrata nell'artigianato manifatturiero ed agricolo del nord-est. Peculiarità tutta italiana è poi l'alto numero di attività condotte da cittadini stranieri, che riescono così a superare più agevolmente le barriere burocratiche legate al rinnovo di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.Quale sarebbe allora la priorità? Per gli addetti ai lavori, il vero problema è la mortalità precoce delle imprese: in poche sopravvivono sul mercato, soprattutto se guidate da giovani. I fattori che stanno alla base di queste rapide cessazioni sono molteplici, tuttavia, semplificando, se ne individuano almeno quattro. Uno è la difficoltà ad accedere al credito che, per la dimensione tipicamente piccola delle imprese italiane (ben oltre la metà sono ditte individuali), diviene essenziale per l'acquisto del macchinario, dell'automezzo o per il rifacimento del locale. Le banche, applicando in maniera restrittiva i già forti vincoli di Basilea II, lo negano, mentre le finanziarie private lo concedono a tassi effettivi vicini alla soglia dell'usura. Altro fattore è, paradossalmente, proprio l'eccessiva facilità con cui in Italia si può aprire un'impresa, favorendo così avviamenti improvvisati, dove mancano strategie, capitali e soprattutto idee. Tanti italiani scelgono la strada del lavoro autonomo in modo avventuristico, attratti dal “non dover rendere conto a nessuno” e dalle possibilità di guadagni facilmente occultabili all'erario. Il risultato, a parte la voragine nelle casse dello Stato, è che sui dieci idraulici operanti nella nostra frazione comunale, trovarne un paio che sanno davvero fare il loro mestiere è grasso che cola. Infine, due fattori legati ancora di più alla dimensione dell'illegalità. Da un lato aprire e chiudere un'impresa entro l'anno è una nota strategia per evadere le tasse, contro la quale l'Agenzia delle Entrate sta ora cercando di agire, dall'altro la massa di denaro smossa dall'apertura di una attività (acquisto dei locali e loro ristrutturazione, spese per macchinari) può celare il riciclaggio di denaro sporco.Ora, considerati questi fattori, una modica costituzionale non pare né necessaria né opportuna, data peraltro la vigenza del così detto “Pacchetto Bersani”, che ha liberalizzato la nostra economia come mai in precedenza. Sarebbe allora utile intervenire con politiche sul credito, come alcune Regioni stanno facendo, migliorando il sistema della formazione, alleviando il peso della burocrazia nel corso della vita di una impresa, più che alla sua nascita – ci sarebbe da indagare sul sostegno che le organizzazioni di categoria dovrebbero offrire agli imprenditori loro associati e che invece non danno. Ora, poiché di questi interventi non c'è stata finora traccia, viene da chiedersi perché gli imprenditori non si mobilitino contro l'incapacità di questa maggioranza di governo, ma la avallino in sede di voto elettorale. E se in fondo, alle imprese, le cose andassero bene così?
Marco Lombardi