Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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Fuori il confessionalismo dalla scuola laica
Marcello Vigli

Sulla proposta d’introdurre un’ora di religione islamica nella scuola pubblica lanciata da Adolfo Urso, che oltre ad essere vice ministro è Presidente della Fondazione che fa capo a Gianfranco Fini, continuano a discettare politici ed ecclesiastici. Le argomentazioni dei favorevoli e contrari, fatte di pregiudizi, intenti provocatori, buone intenzioni, scorrono sulle pagine dei giornali e rimbalzano nel sistema delle comunicazioni mediatiche. Il vero dilemma pare essere fra favorevoli e contrari all’integrazione.
In verità si tratta di ben altro. Gli uni e gli altri non affrontano il vero interrogativo: se la Repubblica italiana deve procedere sulla via della democrazia o avviarsi inesorabilmente verso una forma di Stato teocratico a gestione autoritaria e a sovranità limitata.
La nostra Repubblica è infatti nata e finora vissuta come uno Stato costretto a riconoscere sul suo territorio la presenza di un’altra autorità indipendente dotata di propria sovranità, pur se ciascuna nel “proprio ordine”. Un pasticcio che solo un aspirante dittatore bisognoso di legittimazione esterna ha accettato nel 1929, che una Repubblica nascente ha subito nel 1948 e che un autocrate ha rilegittimato nel 1984. Il recente caso Boffo ha confermato, se ce ne fosse bisogno, che in realtà i titolari delle due sovranità convergono a creare una sola “classe dirigente”, conflittuale al suo interno, ma pronta a compattarsi per condizionare lo svolgimento della vita democratica nel nostro Paese.
La proposta Urso può offrire l’occasione per porre le premesse di una risposta radicale a quell’interrogativo. L’insegnamento nella scuola pubblica della religione cattolica, che di quel Patto di sovranità è una parte essenziale, poggia, come il Patto stesso, su un assunto sistematicamente rimosso. Le religioni e le loro gerarchie non sono assimilabili alle altre visioni del mondo e alle agenzie culturali che le promuovono. I cultori di filosofie, ideologie, sistemi di idee, concezioni di vita... del relativismo puro, sono cittadini di serie B ridotti ad essere garantiti “solo” dalle leggi che tutelano la libertà di coscienza, di opinione, di parola, d’insegnamento; per le loro organizzazioni nessun otto per mille!
Bisogna mettere in discussione questo architrave di ogni Concordato o Intesa profittando dell’attenzione suscitata dalla proposta d’introdurre l’Islam nella scuola.
La moltiplicazione degli insegnamenti confessionali – l'ora islamica oggi, poi quella ortodossa e così via – confermerebbe, infatti, la tesi che alla religione va riservato un insegnamento particolare e che, per di più, mantenuto all'interno dei recinti confessionali non favorirebbe la reciproca conoscenza, il dialogo tra le fedi e le culture diverse.
Non serve, però, neppure un insegnamento curriculare di storia delle religioni, che le confermerebbe come elemento costitutivo primario delle società, quasi una variabile indipendente nella storia dei tempi e dei popoli al cui interno sono nate.
È piuttosto necessario che la cultura scolastica, e non solo, superi il pregiudizio che la permanenza delle religioni sia un residuato del processo di secolarizzazione, che le ha investite nel tempo, e che, pertanto, esse non siano da considerare alla pari delle ideologie e delle altre forme socializzate di rappresentazione della realtà. Funzionali, come le altre, alla coesione sociale possono diventare, e spesso diventano, fonte di sottomissione e/o di violenza se alle loro autorità vengono attribuiti riconoscimenti o, peggio, finanziamenti che le affranchino dalla dipendenza dal consenso dei loro fedeli rendendo irrilevante la piena volontarietà della loro adesione.
Solo quando si sono separate dal potere politico o hanno perso il pubblico sostegno il cattolicesimo e l’ebraismo, l’islamismo e l’evangelismo, il buddismo e il confucianesimo hanno dato il meglio di sé in Europa, come in Asia, nelle Americhe come nell’Africa mediterranea.
La secolarizzazione e, sulla sua base, la laicità sono infatti il miglior terreno di cultura per le fedi autentiche e per la profezia. La cultura della laicità è la sola cornice al cui interno possono essere “insegnati” nelle scuole pubbliche natura, contenuti e ruolo di religioni, filosofie e ideologie.

Marcello Vigli (fonte: Italialaica.it) 


 

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