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Cesare Beccaria, l'assassino del Circeo e Fedor Dostoevskij
di Domenico Mazzullo
Cesare Beccaria fu un grande rivoluzionario, Che non salì sulle barricate, Che non sparò su sovrani, che non ordì complotti eppure compì, con un Suo scritto semplice, leggibilissimo, chiaro ed accessibile a tutti la più grande delle rivoluzioni, quella delle coscienze.
In un tempo in cui la tortura, nei processi, era ampiamente praticata, riconosciuta come mezzo valido e legittimo per ottenere confessioni, ove anche il potere religioso non disdegnava, anzi utilizzava a piene mani questo strumento, la limpida e inconfutabile voce di Cesare Beccaria veniva ad illuminarci con concetti, che ancora oggi molti dimenticano, o si rifiutano di applicare, con matematica logica di ragionamento ci spiegava, che nessun imputato può essere ritenuto colpevole e quindi è da considerarsi innocente, fino a che non è stato condannato in giudizio, ma soprattutto sosteneva la finalità, non tanto punitiva, ma piuttosto riabilitativa della pena.
Ovvia quindi la assoluta opposizione alla pena di morte.
Devo sinceramente confessare che questo ultimo passaggio del pensiero di Beccaria, più che legittimo, in linea teorica, mi appare, come psichiatra, un po' ostico da accettare e piuttosto ottimistico, almeno per certi tipi di reati, quelli ad esempio compiuti con grande efferatezza, crudeltà e spesso per futili motivi.
A questo tipo di reati è da ascrivere, per venire ai tempi nostri, quello compiuto da un tristo terzetto di ragazzi della Roma bene, nel settembre del 1975, Gianni Guido, Andrea Izzo e Andrea Ghira, che in una villa del Circeo torturarono barbaramente e violentarono, per tutta una notte, due giovani ragazze che ingenuamente avevano accettato la loro compagnia, uccidendone una, la diciannovenne Rosaria Lopez e riducendo in fin di vita la amica diciassettenne, Donatella Colasanti, che riuscì a salvarsi fingendosi morta.
Le due ragazze, o meglio, il cadavere di una e il presunto cadavere dell'altra ,furono rinchiusi poi nel bagagliaio dell'auto di uno dei tre, parcheggiata in strada, mentre loro erano al ristorante a festeggiare l'impresa.
Donatella Colasanti riuscì ad attirare l'attenzione di un vigile notturno e così riuscì a salvarsi. E' morta nel 2005 per un tumore al seno.
Del terzetto criminale, Andrea Ghira, fuggito subito in Spagna e arruolatosi nella Legione Straniera spagnola, sembra sia morto, ma tuttora non è certo, nel 1994.
Angelo Izzo si trova in carcere, per scontare un altro ergastolo, dopo che nel 2005, in regime di semilibertà, concessogli in quanto aveva mostrato evidenti segni di pentimento, uccise a Campobasso due donne, madre e figlia.
Gianni Guido da ieri è libero avendo scontato la pena.
Condannato all'ergastolo, la pena fu ridotta, in appello a 30 anni. Dal 2006 aveva usufruito di permessi premio, quindi nel 2007 la semilibertà, infine dall' 11 aprile 2008 affidato ai servizi sociali e ora completamente libero.
I Giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma hanno scritto che Gianni Guido ha compiuto una "revisione critica dei trascorsi devianti e un silenzioso pentimento, rispetto alle condotte violente del passato".
Non mi permetterei mai di mettere, neppur minimamente, in dubbio la competenza dei Giudici nel valutare ed accertare il silenzioso pentimento di Guido e la loro assoluta affidabilità di giudizio, ma mi chiedo se questo silenzioso pentimento si sia giovato, per maturare ed esplicarsi nell'animo penitente dell'assassino e sia avvenuto durante le due fughe di questi dal carcere e durante la lunga, lunghissima latitanza.
Per dovere di cronaca è necessario ricordare, infatti, che l'assassino nel gennaio del 1981 riuscì ad evadere dal carcere di San Gimignano e fuggì a Buenos Aires. In Argentina fu arrestato, ma in attesa della estradizione, nell'aprile del 1985, riuscì di nuovo a fuggire rifugiandosi a Panama, ove si creò una nuova identità dedicandosi al commercio di auto.
Solo nel 1994 fu riconosciuto e arrestato di nuovo.
Queste fughe e questa evidente e indiscutibile volontà di sottrarsi alla giusta pena, sono da considerarsi parte integrante del silenzioso pentimento e della incoercibile e incontenibile volontà di espiazione?
Ma forse Gianni Guido ha solo l'unica, deprecabile colpa di non aver mai letto, negli anni di latitanza, "Delitto e castigo" di Dostoevskij.
Con tutto il sommo rispetto per Cesare Beccaria, a Cui va tutta intera la mia immensa ammirazione, stento a credere che di fronte a tali crimini e tali criminali, anche Egli non avrebbe almeno un poco dubitato della Sua fede sulla funzione riabilitativa della pena.
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