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Se l'obiezione diventa malattia
MICHELE AINIS (La Stampa, 11-8-2009)
C’è un’infezione che giorno dopo giorno fiacca il nostro organismo collettivo. E c’è anche un untore, ci sono una mano e un disegno all’origine di questa malattia. La malattia a sua volta può ben essere letale, perché s’esprime nella disobbedienza alla legge, allo Stato, agli istituti della democrazia. Sia pure in nome di nobili principi, così come era nobile la causa di Antigone, murata viva in una grotta da Creonte per essersi ribellata alla giustizia umana, obbedendo alla legge non scritta che alberga nelle coscienze individuali. Obiezione di coscienza, ecco infatti come noi moderni designiamo tale atteggiamento. Ma negli ultimi mesi le obiezioni si moltiplicano, si alimentano l’una con l’altra, con la benedizione dell’oracolo più autorevole e potente: il Vaticano.
Il caso della pillola abortiva - che ha innescato un appello del cardinal Bagnasco ai medici italiani per sabotarne la somministrazione - non è che l’ultimo in ordine di tempo. E d’altronde lo stesso Bagnasco aveva auspicato a più riprese che cresca l’obiezione di coscienza alla legge 194 sull’aborto, anche se abbiamo ormai raschiato il fondo del barile: 70% di ginecologi obiettori nel 2007 (erano il 58% nel 2005). Nel frattempo un centinaio di religiosi (fra i quali l’ex direttore della Caritas) invitano alla disobbedienza contro il reato d’immigrazione clandestina. Domani sarà la volta del testamento biologico, se le nuove norme suoneranno troppo permissive alle gerarchie ecclesiastiche. A meno che la futura legge non preveda espressamente la clausola di coscienza, come è già accaduto nel 1978 per la regolamentazione dell’aborto e nel 2004 per la fecondazione assistita. Tanto ormai l’obiezione sta diventando un fenomeno di massa, sicché il Vaticano fa proseliti pure in campo avverso: il ginecologo radicale Silvio Viale ha appena annunciato un’«obiezione laica» contro le regole che imporrebbero tre giorni di ricovero coatto per assumere la Ru486. Un caso fra i tanti, al pari del farmacista di Fiumicino che il mese scorso ha rifiutato di vendere la pillola del giorno dopo, o al pari delle scuole genovesi che hanno dichiarato obiezione di coscienza contro l’obbligo di denunciare i clandestini.
Naturalmente può ben darsi che una legge sfidi le nostre convinzioni più profonde. In quest’ipotesi è lecito sfidarla a propria volta, o forse è doveroso. Se la legge m’impone di giustiziare ogni ebreo che incontro per strada devo oppormi, anche a costo della vita, come Antigone. Ma cosa rischia il ginecologo che nega assistenza a una coppia sterile o a una donna che ha deciso dolorosamente d’abortire? E dov’è l’evento eccezionale quando l’obiezione di coscienza s’applica alle occasioni più svariate? Dov’è il sentimento individuale se la medesima reazione viene sapientemente organizzata o incoraggiata da un’istituzione terza, che plasma le coscienze dall’alto del Cupolone? Poi, certo, il Vaticano avrà le sue ragioni. Ragioni forti, se durante l’incontro fra Obama e Benedetto XVI quest’ultimo ha chiesto garanzie proprio sull’obiezione di coscienza, definendola «la grande sfida» che attende ogni nazione. Noi però, su quest’altra sponda del Tevere, vediamo soprattutto una sfida allo Stato, alla sua residua autorità. Vediamo il rischio di un’anarchia di massa, in cui ciascuno fa un po’ come gli pare. Tanto una coscienza, buona o cattiva, ce l’abbiamo tutti. Sicché di questo passo dovremo forgiare tante leggi per quante sono le coscienze.
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