Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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Scuola - Se cade il valore legale del titolo di studio

 

Il valore legale del titolo di studio determina la certezza del possesso di una preparazione culturale e professionale in conformità agli standard fissati dall’ordinamento didattico nazionale: da questo dipendono la partecipazione a concorsi pubblici e l’accesso ai concorsi per l’iscrizione agli albi professionali. Certificazione, dunque, di un bagaglio culturale, nonché creazione di condizioni di parità di accesso in alcuni settori lavorativi.

Detto questo, Brunetta (FI) e Lanzillotta (PD) concordano nel volerlo abolire: la mancanza della necessità del «pezzo di carta» per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell’offerta formativa. In realtà la proposta potrebbe preludere a un mercato selvaggio di corsi privati. Infatti il valore legale del titolo di studio si basa su due «pilastri»: l’ordinamento didattico nazionale (che fissa le caratteristiche generali dei corsi di studio e dei titoli rilasciati) e l’esame di Stato (che ha la funzione di accertare - nell’interesse pubblico generale - il possesso di specifiche competenze e conoscenze).

E’ evidente che, sopprimendo questa forte componente «pubblica», verrebbero meno requisiti sostanziali del sistema dell’istruzione sancito dalla Costituzione. Si dovrebbe eludere il dl 206/07, che recepisce alcune direttive comunitarie secondo le quali i paesi membri dell’UE sono tenuti a riconoscere il valore legale di titoli e qualifiche di ciascun altro paese. Si registrerebbe una riduzione della partecipazione al processo formativo e una devastazione della scuola come luogo di formazione di cittadini. Verrebbero soppresse garanzie nell’accesso al lavoro. Ma soprattutto - in questo vento di privatizzazione volto a sostituire la scuola con le fondazioni - si darebbe una spallata definitiva al concetto di scuola dello Stato penalizzando, ancora una volta, le fasce più deboli della popolazione.

Marina Boscaino (www.unita.it)

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