Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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 Contro la prostituzione Carfagna non vale

parola dell'associazionismo laico

            Le associazioni che lavorano contro la prostituzione, lo sfruttamento e la tratta degli esseri umani bocciano il disegno di legge elaborato dalla Ministra per le Pari Opportunità, l’ex soubrette Mara Carfagna, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 settembre. Il Ddl, che dovrà passare l’esame del Parlamento, revisiona profondamente la legge del 1958 della senatrice socialista Lina Merlin (che impose la soppressione delle ‘case chiuse’) e introduce il reato di esercizio della prostituzione in strada, punendo sia prostitute che clienti con l’arresto da 5 a 15 giorni e con un’ammenda da 200 a 3000 euro. Sono previste sanzioni più severe per coloro che sfruttano la prostituzione e per i clienti che compiono atti sessuali con minorenni e il rimpatrio per i minori stranieri che vengono fatti prostituire.

            Il Ddl Carfagna punta unicamente sulla repressione e quindi é “una operazione non solo inefficace ma controproducente e molto rischiosa”, afferma un documento di enti, associazioni, organizzazioni, di diversa natura (fra cui il Gruppo Abele, la Caritas Italiana e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) che da decenni lavorano per aiutare le prostitute a liberarsi dalla schiavitù e che formulano una serie di proposte operative di segno opposto a quelle della Carfagna.

            Nella Relazione dell’Osservatorio sulla Prostituzione (ottobre 2007), redatta dal Ministero dell’Interno, di concerto con gli altri Ministeri, con la Direzione Nazionale Antimafia, con Enti Locali e con il Terzo Settore, si afferma che la prostituzione non é una questione di ordine pubblico, ma una questione sociale. Quando la prostituzione si configura con una forma di tratta, sfruttamento o riduzione in schiavitù, tali fenomeni vanno perseguiti come previsto dalla legge. L’esperienza evidenzia come vietare la prostituzione in strada e prevedere interventi unicamente repressivi contro prostituzione e immigrazione irregolare significa:

            - non considerare che la prostituzione di strada riguarda in buona parte donne e minori stranieri di entrambi i sessi, vittime di sfruttamento;

            - non considerare che la lotta allo sfruttamento non si realizza con l’eliminazione della prostituta di strada, visto che violenza, sfruttamento, riduzione in schiavitù già sono presenti in una parte della prostituzione esercitata negli appartamenti o tramite i locali notturni;

            - non considerare che chi si prostituisce non commette reati contro terzi ma spesso li subisce (violenze, stupri, rapine, sfruttamento, riduzione in schiavitù);

            - criminalizzare le vittime e non gli sfruttatori;

            - sottrarre le risorse delle Forze dell’ordine alle attività di indagine e contrasto verso il crimine e congestionare ulteriormente gli uffici giudiziari;

            - far percepire i rappresentanti delle Forze dell’ordine da parte di chi si prostituisce come nemici e non come riferimenti in cui riporre fiducia cui poter chiedere eventualmente aiuto;

            - soprattutto spostare “il problema” (spesso solo temporaneamente) da un luogo ad un altro: da un Comune a quello vicino, dalla città alla periferia, verso luoghi più insicuri, dalla strada ai luoghi chiusi;

            - correre il rischio che ancora di più le reti criminali organizzino lo sfruttamento della prostituzione al chiuso, in palazzine dedicate;

            - rendere più difficili le attività di contatto, informazione, sensibilizzazione ed accompagnamento che svolgono le unità di strada;

            - stigmatizzare e discriminare ancora di più le persone che si prostituiscono;

            - rendere ancora più vulnerabili le persone trafficate perchè irraggiungibili dagli operatori sociali ma anche dalle Forze dell’ordine, riducendo quindi drasticamente le loro possibilità di accedere ai programmi di assistenza di cui all’articolo 13 e all’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione (art. 18:concessione di uno “speciale permesso di soggiorno” allo straniero che cerca di liberarsi da situazioni di violenza o di grave sfruttamento”);

            - ridurre le possibilità di accesso delle vittime di sfruttamento e tratta ai programmi artt. 13 e 18, significa anche ridurre le probabilità che esse collaborino con Forze dell’ordine e magistratura nel perseguire trafficanti e sfruttatori;

            - il rimpatrio forzato significa il più delle volte immettere una seconda volta le vittime nel circuito dello sfruttamento in una condizione di vulnerabilità ancora maggiore.

            Vietare la prostituzione di strada è dunque un’operazione non solo inefficace, ma controproducente, molto rischiosa.

            L’esperienza dice anche che, là dove la prostituzione di strada crea disagio alla cittadinanza (e non dovunque ciò avviene), si possono mettere in atto strategie e azioni che ne riducono l’impatto, che risolvono i conflitti. Le questioni della pulizia dei luoghi in cui viene esercitata la prostituzione, degli schiamazzi, del disagio della cittadinanza, possono essere affrontate nel momento in cui si mettono intorno ad un tavolo le istituzioni, le associazioni, le rappresentanti di chi si prostituisce, le unità di strada: si trovano soluzioni, molto più semplici, efficaci, rispettose ed economiche di telecamere, divieti, ecc.

            Come pure è pericolosa l’idea che periodicamente trova sostenitori: il ritorno alle case chiuse e ai controlli obbligatori. La diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili non si riduce in tal modo, anzi, il rischio di diffusione aumenta: si abbassa infatti la protezione (più di quanto purtroppo già non si faccia), poichè non si considera che il “periodo finestra” riduce di molto l’attendibilità dei risultati delle analisi. I controlli sanitari obbligatori così, oltre ad andare contro le libertà personali, oltre ad essere discriminanti perchè pensati solo per le donne e non anche per i clienti, sono una pericolosa “falsa protezione”.

            Allargando lo sguardo all’ampio fenomeno dello sfruttamento e della tratta degli esseri umani – fenomeno in aumento – va sottolineato che ne sono vittime donne, uomini, transgender, minori di ambo i sessi, sfruttati non solo nella prostituzione ma anche in diversi settori del mercato del lavoro (edilizia, agricoltura, manifatture...), nell’accattonaggio (bambini e adulti disabili), in attività illegali (costretti a commettere furti o spacciare sostanze stupefacenti).

            Sono persone da un lato sfruttate (perchè pagate meno, funzionali alle domande della nostra società: di sesso a pagamento, di lavoro a bassissimo costo), dall’altro trattate come “indesiderate”, da allontanare, vissute come “altro da noi”. Troppo spesso non vediamo (o non vogliamo vedere) che sono persone assoggettate e sfruttate da organizzazioni criminali che approfittano della spinta di migliaia di persone a migrare alla ricerca di una vita migliore per sé e per le proprie famiglie. Persone che, anziché venire aiutate ( come previsto dalla normativa italiana e internazionale), a causa del “giro di vite” su prostituzione e migrazione irregolare, rischiano di cadere vittime doppiamente, ma questa volta delle leggi e delle istituzioni.

Proposte

            Sulla base dell’impegno e dei risultati di oltre 15 anni di lavoro sulle tematiche della prostituzione e della tratta di esseri umani, riconoscendo che l’approccio fondato sui diritti umani deve guidare ogni intervento in materia, certi che la sicurezza percepita e sostanziale si crea costruendo contesti sociali basati sulla tutela e promozione dei diritti di tutte le loro componenti, formuliamo le seguenti proposte:

            1. Mantenere i diritti garantiti dalla legge Merlin ed avviare una politica ed un sistema di interventi sociali sulla prostituzione (...).

            2. Considerare il sentimento di insicurezza nei territori in cui si manifesta e gestire i problemi attraverso tavoli di concertazione e attività di mediazione (...).

            3. Intensificare la formazione su tutto il territorio nazionale delle Forze dell’ordine e delle altre agenzie sulle leggi esistenti e sugli strumenti / opportunità a disposizione (...).

            4. Avviare un Piano Nazionale Antitratta e un sistema di Referral nazionale per la protezione delle vittime (il Referral è colui che si iscrive ad un programma su indicazione di un’altra persona già iscritta, n.d.r.).

            5. Realizzare il passaggio da progetti a servizi: bandi pluriennali e aumento delle risorse (...).

            6. Prevedere gli opportuni collegamenti del sistema nazionale (sia sul piano sociale che investigativo e giudiziario) con i Paesi d’origine delle vittime di tratta ed anche con altri Paesi di transito e destinazione (...). Sul piano della prevenzione, del supporto all’inclusione socio – lavorativa delle vittime che decidono volontariamente di rientrare nel proprio Paese, del sostegno allo sviluppo socio – economico dei Paesi di origine è importante:

            7. Promuovere il Numero Verde in aiuto alle vittime di tratta (...).

            8. Evitare espulsione e carcere alle vittime di sfruttamento e tratta (...).

            9. Favorire il ricongiungimento dei familiari delle vittime di tratta (...).

            10. Assicurare le speciali tutele dovute per i minori (...).

            11. Ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la tratta (...).

            12. Assumere un metodo di lavoro congiunto (...).

            Asgi. Associazione Gruppo Abele, Associazione On the Road, Caritas Italiana, Coordinamento Nazionale Comuunità di Accoglienza, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Comune di Venezia, Consorzio Nova, Coop. Sociale Dedalus, Save the Children.

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