Leonardo Boff:
"questo papa non
è un pastore. Si
preoccupa di
fare ogni genere
di appunto
critico alla
modernità, ma
non ha
irradiazione
spirituale"
di Andrea Milani
Il più noto teologo
brasiliano, alle
soglie dei 70 anni,
non mostra
risentimento verso
il Vaticano, che
l'ha inquisito,
censurato e poi
messo a tacere con
punizioni canoniche
fino a spingerlo ad
abbandonare la
tonaca di frate
francescano. Con la
sua storia personale
Boff ha fatto
serenamente i conti
e vive, da anni, una
nuova vita di
'libero pensatore',
cristiano laico
senza voti. Ma per
la Chiesa, che
resta la 'sua'
Chiesa, mostra
apprensione e un
poco di sconforto.
"I credenti non
possono avere paura
delle novità. Sanno
che il mondo è stato
salvato in Gesù
Cristo", dice
convinto: "E un vero
pastore sa che la
barca di Pietro non
corre il rischio di
affondare anche se
affronta il mare
aperto perché è
assistita dallo
Spirito Santo.
Invece questo papa
non è un pastore. Si
preoccupa di fare
ogni genere di
appunto critico alla
modernità, ma non ha
irradiazione
spirituale, non ha
carisma, non mostra
il cristianesimo
come una cosa buona,
una fonte di gioia
per l'umanità. In
una parola, non fa
la cosa più
evangelica, quella
che Ernst Bloch
riteneva la più
importante per ogni
religione: suscitare
speranza.
Una Chiesa così, che
non è fonte di
fiducia nella vita e
nel futuro, tutta
ripiegata su se
stessa, sulla
propria identità e
sul potere sacrale
della gerarchia,
completamente
paralizzata dalla
paura di ciò che sta
'fuori', non è più
una Chiesa. È una 'ecclesìola',
una piccola chiesa,
con forti tendenze
fondamentaliste".
Di Chiesa, Boff se
ne intende: al suo
interno ha passato
quasi 40 anni. E
conosce bene anche
Benedetto XVI. Quando
il teologo della
liberazione era solo
un promettente
dottorando alla
Facoltà teologica di
Monaco di Baviera,
il giovane professor
Ratzinger era stato
suo mentore e
protettore. "Era un
teologo brillante e
aperto che noi
studenti ascoltavamo
con entusiasmo",
dice con una nota di
affetto nella voce:
"Ma è sempre stata
una persona
estremamente timida
e i timidi non sanno
gestire il potere.
Inoltre, da
professore è
diventato subito
cardinale, senza
fare mai il parroco
né il vescovo. E
questo non l'ha
aiutato".
Dai tempi di Monaco
tanti anni sono
trascorsi. E le
traiettorie di vita
si sono divaricate.
Boff,
insieme a Gustavo
Gutierrez e altri,
ha fondato la
Teologia della
liberazione, la
corrente di pensiero
che tra gli anni
Sessanta e Settanta
ha cambiato il volto
della Chiesa
latinoamericana,
trasformandola da
pilastro della
società feudale in
avvocata dei poveri,
degli emarginati e
degli oppressi.
Ratzinger,
invece, ha messo
radici nella
cittadella
fortificata della
Curia vaticana,
la Congregazione
per la dottrina
della fede.
E una volta prefetto
dell'ex
Sant'Uffizio, ha
preso di mira il suo
pupillo di un tempo.
Le sue colpe? Aver
'inquinato' la
ricerca teologica
con l'utilizzo degli
strumenti di analisi
sociale di scuola
marxista e aver
ricordato troppo
chiaramente che
la Chiesa è,
come dicevano i
Padri dell'antichità,
"casta meretrix",
santa ma anche
profondamente
peccatrice.
Dopo un doloroso
processo canonico
durato oltre un
decennio, nel 1992
Boff ha lasciato il
sacerdozio. Ma non
ha abbondato le
comunità cristiane
latino-americane. Ha
continuato a
scrivere (un
centinaio di libri)
e a far discutere,
dentro e fuori
la Chiesa. Oggi
la sua criniera di
capelli neri si è
totalmente
imbiancata e una
leggera zoppìa lo
costringe a
camminare con un
bastone, ma lui ci
scherza: "È solo una
stampella
epistemologica". La
sua franchezza,
comunque, è rimasta
quella di un tempo:
"I processi
ecclesiastici subiti
da tanti teologi
latinoamericani
hanno indebolito
la Teologia della liberazione, che prima era affermata, riconosciuta
e, in alcuni casi
come il Brasile,
abbracciata
ufficialmente
persino dalla
Conferenza
episcopale.
(30 ottobre 2008)