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Piazza Navona:
anche Dante era
girotondino?
(lettera
aperta di Marco
Travaglio ad
Antonio
Padellaro,
pubblicata su
l'Unità, 10
luglio 2008)
Caro direttore,
quando tutta la
stampa (Unità
compresa), tutte
le tv e persino
alcuni
protagonisti
dicono la stessa
cosa, e cioè che
l’altroieri in
Piazza Navona
due comici
(Beppe Grillo e
Sabina Guzzanti)
e un giornalista
(il
sottoscritto)
avrebbero
“insultato” e
addirittura
“vilipeso” il
capo dello Stato
italiano e
quello vaticano,
la prima
reazione è
inevitabile: mi
sono perso
qualcosa? Mi
sono distratto e
non ho sentito
alcune cose - le
più gravi -
dette da Beppe,
da Sabina e da
me stesso? Poi
ho controllato
direttamente sui
video, tutti
disponibili su
you tube e sui
siti di vari
giornali, e sono
spiacente di
comunicarti che
nulla di ciò che
è stato scritto
e detto da tv e
giornali (Unità
compresa) è
realmente
accaduto:
nessuno ha
insultato né
vilipeso Giorgio
Napolitano né
Benedetto XVI.
Nessuno ha
“rovinato una
bella piazza”.
E’ stata, come
tu hai potuto
constatare de
visu, una
manifestazione
di grande
successo, sia
per la folla,
sia per la
qualità degli
interventi
(escluso
ovviamente il
mio).
Per la prima
volta si sono
fuse in una
cinque piazze
che finora si
erano soltanto
sfiorate: quella
di Di Pietro,
quella di molti
elettori del Pd,
quella della
sinistra
cosiddetta
radicale, quella
dei girotondi e
quella dei
grillini, non
sempre
sovrapponibili.
E un minimo di
rigetto era da
mettere in
conto. Ma è
stata una bella
piazza plurale,
sia sotto che
sopra il palco:
idee, linguaggi,
culture,
sensibilità,
mestieri
diversi, uniti
da un solo
obiettivo.
Cacciare il
Caimano. Le
prese di
distanza e i
distinguo
interni, per non
parlare delle
polemiche
esterne, sono un
prodotto
autoreferenziale
del Palazzo (chi
fa politica deve
tener conto
degli alleati,
delle
opportunità,
degli elettori,
di cui per
fortuna gli
artisti e i
giornalisti,
essendo
“impolitici”,
possono
tranquillamente
infischiarsi).
La gente invece
ha applaudito
Grillo e Sabina
come Colombo
(anche quando ha
chiesto consensi
per Napolitano),
Di Pietro,
Flores e gli
altri oratori,
ma anche i
politici delle
più varie
provenienze
venuti a
manifestare
silenziosamente.
Applausi
contraddittorii,
visto che gli
applauditi
dicevano cose
diverse? Non
credo proprio.
Era chiaro a
tutti che il
bersaglio era il
regime
berlusconiano
con le sue leggi
canaglia,
compresi
ovviamente
quanti non gli
si oppongono.
Come mai allora
questa
percezione non è
emersa, nemmeno
nei commenti
delle persone
più vicine, come
per esempio te e
Furio? Io temo
che viviamo
tutti nel Truman
Show inaugurato
15 anni fa da Al
Tappone, che ci
ha imposto
paletti (anche
mentali) sempre
più assurdi e ci
ha costretti,
senza nemmeno
rendercene
conto, a
rinunciare ogni
giorno a un
pezzettino della
nostra libertà.
Per cui oggi
troviamo
eccessivo, o
addirittura
intollerabile,
ciò che qualche
anno fa era
normale e lo è
tuttora nel
resto del mondo
libero (dove tra
l’altro, a parte
lo Zimbabwe, non
c’è nulla di
simile al
governo Al
Tappone). In
Italia l’elenco
delle cose che
non si possono
dire si allunga
di giorno in
giorno. Negli
Stati Uniti,
qualche anno fa,
uscì senz’alcuno
scandalo un
libro di Michael
Moore dal titolo
“Stupid White
Man” (pubblicato
in Italia da
Mondadori…),
tutto dedicato
alle non eccelse
qualità
intellettive del
presidente Bush.
Da dieci anni
l’ex presidente
Clinton non
riesce a uscire
da quella che è
stata chiamata
la “sala orale”.
In Francia, la
tv pubblica ha
trasmesso un
programma
satirico in cui
un attore,
parodiando il
film “Pulp
Fiction” in
“Peuple
fiction”,
irrompe nello
studio del
presidente
Chirac, lo
processa
sommariamente
per le sue
innumerevoli
menzogne, e poi
lo fredda col
mitra. A nessuno
è mai venuto in
mente di parlare
di “antibushismo”,
di “anticlintonismo”,
di “antichirachismo”,
di “insulti alla
Casa Bianca” o
di “vilipendio
all’Eliseo”.
Tanto più alta è
la poltrona su
cui siede il
politico, tanto
più ampio è il
diritto di
critica e di
satira e anche
di attacco
personale.
Quelli che son
risuonati l’altroieri
in piazza Navona
non erano
“insulti”. Erano
critiche.
Grillo,
insolitamente
moderato e
perfino
affettuoso, ha
detto che “a
Napolitano gli
voglio bene, ma
sonnecchia come
Morfeo e firma
tutto”, compreso
il via libera al
lodo Alfano che
crea una “banda
dei quattro” con
licenza di
delinquere. Ha
sostenuto che
Pertini,
Scalfaro e
Ciampi non
l’avrebbero mai
firmato (sui
primi due ha
ragione: non su
Ciampi, che
firmò il lodo
Schifani). E ha
ricordato che
l’altro giorno,
mentre Napoli
boccheggia sotto
la monnezza, il
presidente era a
Capri a
festeggiare il
compleanno con
la signora
Mastella, reduce
dagli arresti
domiciliari, e
Bassolino,
rinviato a
giudizio per
truffa alla
regione che egli
stesso presiede.
Tutti dati di
fatto che
possono essere
variamente
commentati: non
insulti o
vilipendi.
Io, in tre
parole tre, ho
descritto la
vergognosa legge
Berlusconi che
istituisce un’
”aggravante
razziale” e
dunque
incostituzionale,
punendo - per lo
stesso reato -
gli immigrati
irregolari più
severamente
degli italiani,
e mi sono
rammaricato del
fatto che il
Quirinale
l’abbia firmata
promulgando il
decreto
sicurezza.
Nessun insulto:
critica.
Veltroni
sostiene che io
avrei
“insultato”
anche lui, e che
“non è la prima
volta”. Lo
invito a
rivedersi il mio
intervento:
nessun insulto,
un paio di
citazioni
appena: per il
resto la
cronistoria
puntuale
dell’ennesima
resurrezione di
Al Tappone dalle
sue ceneri
grazie a chi -
come dice Furio
Colombo -
“confonde il
dialogo con i
suoi monologhi”.
Sono altri dati
di fatto, che
possono esser
variamente
valutati, ma non
è né insulto né
vilipendio. O
forse il Colle
ha respinto al
mittente qualche
legge
incostituzionale,
e non me ne sono
accorto? Sono o
non sono libero
di pensare e di
dire che
preferivo
Scalfaro e i
suoi no al
Cavaliere?
Oppure la
libertà di
parola,
conquistata al
prezzo del
sangue dai
nostri padri,
s’è ridotta a
libertà di
applauso? Forse
qualcuno
dimentica che
quella c’è anche
nelle dittature.
E’ la libertà di
critica che
contraddistingue
le democrazie.
Se poi a
esercitarla su
temi quali la
laicità, gli
infortuni sul
lavoro,
l’ambiente, la
malafinanza, la
malapolitica, il
precariato, la
legalità, la
libertà
d’informazione
sono più i
comici che i
politici, questa
non è certo
colpa dei
comici.
Poi c’è Sabina.
Che ha fatto, di
tanto grave,
Sabina? Ha usato
fino in fondo il
privilegio della
satira, che le
consente di
chiamare le cose
con il loro nome
senza le
tartuferie e le
ipocrisie del
politically
correct, del
politichese e
del giornalese:
ha tradotto in
italiano, con le
parole più
appropriate,
quel che emerge
da decine di
cronache di
giornale sulle
presunte
telefonate di
una signorina
dedita ad
antichissime
attività con
l’attuale
premier, che poi
l’ha promossa
ministra. Enrico
Fierro ha
raccolto l’altro
giorno,
sull’Unità, i
pissi-pissi-bao-bao
con cui i
giornali di ogni
orientamento, da
Repubblica al
Corriere, dal
Riformatorio
financo al
Giornale, han
raccontato
quelle presunte
chiamate (con la
“m”). Ci voleva
un quotidiano
argentino, il “Clarin”,
per usare il
termine che
comunemente
descrive queste
cose in Italia:
“pompini”,
naturalmente di
Stato.
Quello di Sabina
è stato un
capolavoro di
invettiva
satirica,
urticante e
spiazzante come
dev’essere
un’invettiva
satirica, senza
mediazioni
artistiche né
perifrasi. Gli
ignorantelli di
ritorno che
gridano
“vergogna” non
possono sapere
che già
nell’antica
Atene,
Aristofane era
solito far
interrompere le
sue commedie con
una “paràbasi”,
cioè con
un’invettiva del
corifeo che
avanzava verso
il pubblico e
parlava a nome
del
commediografo,
dicendo la sua
sui problemi
della città.
Anche questa è
satira (a meno
che qualcuno non
la confonda
ancora con le
barzellette). Si
dirà: ma Sabina
ha pure mandato
il papa
all’inferno.
Posso garantire
che,
diversamente da
me, lei
all’inferno non
crede. Quella
era
un’incursione
artistica in un
genere
letterario
inaugurato, se
non ricordo
male, da Dante
Alighieri. Il
quale spedì
anticipatamente
all’inferno il
pontefice di
allora,
Bonifacio VIII,
che non gli
piaceva più o
meno per le
stesse ragioni
per cui questo
papa non piace a
lei e a molti:
le continue
intromissioni
del Vaticano
nella politica.
Anche Dante era
girotondino?
Il fatto è che
un vasto e
variopinto
fronte
politico-giornalistico
aveva preparato
i commenti alla
manifestazione
ancor prima che
iniziasse:
demonizzatori,
giustizialisti,
estremisti,
forcaioli,
nemici delle
istituzioni, e
ovviamente
alleati occulti
del Cavaliere.
Qualunque cosa
fosse accaduta,
avrebbero
scritto quel che
hanno scritto.
Lo sapevamo, e
abbiamo deciso
di non cedere al
ricatto,
parlando
liberamente a
chi era venuto
per ascoltarci,
non per usarci
come pedine dei
soliti
giochetti. Poi,
per fortuna, a
ristabilire la
verità sono
arrivati i
commenti
schiumanti di Al
Tappone e di
tutto il
centrodestra:
tutti inferociti
perchè la
manifestazione
spazza via le
tentazioni di
un’opposizione
più morbida o
addirittura di
un inciucio sul
lodo Alfano
(ancora martedì
sera, a Primo
Piano, due
direttori della
sinistra “che
vince”, Polito e
Sansonetti,
proclamavano in
stereo: “Chi se
ne frega del
lodo Alfano”).
La prova
migliore del
fatto che la
manifestazione
contro il
Caimano e le sue
leggi-canaglia è
perfettamente
riuscita.
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