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Ordine siCurezza
e capri
espiatori
L’approvazione
del “Pacchetto
Sicurezza” da
parte del
neoinsediato
Berlusconi IV
sembra portare a
compimento
quella poderosa
campagna di
criminalizzazione
delle presenze
migranti che ha
caratterizzato
la campagna
elettorale;
campagna che ha
trovato nei
gruppi rom il
suo obiettivo
preferenziale,
rendendoli
vittime di
aggressioni non
solo verbali, ma
sempre più
esplicite e
violente, e per
di più diffuse
ormai negli
spazi della
quotidiana
convivenza.
Dopo la cacciata
di Opera, le
molotov di
Livorno e i raid
di Roma, gli
attentati di
italico razzismo
contro i rom
hanno assunto
negli ultimi
giorni una forma
ancora nuova,
che suscita
timore nella
misura in cui
rappresenta
umori profondi e
consolidati
nella nostra
società.
Questa volta
sono infatti
uomini e donne –
massaie
soprattutto, e
poi disoccupati,
“scugnizzi” e
addirittura
pensionati a
sentire le
cronache locali
– che si sono
armati di
spranghe, sassi
e bottiglie
incendiarie, e
in pieno giorno
hanno fatto
irruzione in un
campo sosta per
cacciare
fisicamente “gli
zingari”. A
motivare
l’assalto
l’ennesima
accusa – anche
questa tutta da
provare – di un
tentato
rapimento di
bambini, tratto
che rappresenta
una costante,
mai comprovata
da fatti, della
percezione
pubblica dei
rom. Questa
volta però
l’accusa ha
spinto alla
mobilitazione
diretta prima
verso il campo
sosta più vicino
al presunto
rapimento, in
cui peraltro non
sembra risiedere
nemmeno la donna
accusata, e poi
verso altri
campi sosta e
luoghi
frequentati da
rom o rumeni, a
Napoli, a Milano
e in tutta
Italia.
L’obiettivo
degli assalti è
così divenuto
“lo zingaro
sotto casa”,
quello del
semaforo,
dell’elemosina e
delle baracche,
non accusato di
qualcosa in
particolare, se
non di incarnare
quotidianamente
“l’altro”.
Questo movimento
complementare di
mobilitazione di
massa,
addirittura in
pieno giorno,
sulla scorta
della
individuazione
di
responsabilità o
colpe addossate
ad un intero
gruppo,
rappresenta un
ulteriore passo
in avanti nella
escalation di
atti di
intolleranza e
di razzismo
verso i gruppi
rom.
In maniera
sempre più
tragiche ed
evidente questi
atti mettono in
questione le
basi
fondamentali del
diritto e della
convivenza
civile, perché
al principio
della
responsabilità
individuale e
della legalità
garantita dallo
stato si
sostituisce la
stigmatizzazione
e la “giustizia
fai da te” che
già le ronde di
padana memoria
andavano
preannunciando.
La “questione
rom” appare in
questo senso
come la spia più
evidente, e
mediaticamente
utilizzata, di
una più generale
crisi delle
possibilità e
delle forme di
convivenza nelle
zone periferiche
così come nei
nodi centrali
della società
italiana; crisi
che necessita di
analisi ancora
più accurate e
profonde per
sfuggire dalle
semplificazioni
e dalle
mistificazioni
generate dalla
imperante
retorica della
“sicurezza”.
Lo scenario
drammatico delle
baraccopoli, le
storie di
miseria e di
violenza che
sono alle spalle
delle biografie
criminali e dei
tanti costretti
alla mendicità,
possono essere
comprese – e
potranno essere
modificate –
solo a partire
da una analisi
più ampia, che
prenda ad
esempio in
questione la
fallimentare
politica dei
campi sosta,
spazi di
segregazione che
hanno se
possibile
facilitato
l’esclusione e
la
marginalizzazione
dei rom. Ma, più
in generale, la
stessa vicenda
dell’assalto di
Ponticelli
rivela come la
“questione rom”
si costruisca
sempre
all’incrocio di
politiche
sociali deboli,
se non assenti,
messe in atto
anche delle
amministrazioni
di centro
sinistra, e di
malcelati
interessi che
puntano alla
riqualificazione
dei territori e
necessitano
l’espulsione di
coloro i quali
vengono
percepiti come
incompatibili
con i progetti
di sviluppo
urbanistico,
commerciale o
culturale delle
nostre grandi e
piccole città
(cfr. l’articolo
sul Manifesto pg.
3, 15/5/2008).
A guardarla dai
territori, dalle
storie dei
migranti e dei
residenti che
abitano gli
sterminati e
sempre più
centrali spazi
periferici delle
città italiane,
questa crisi di
convivenza resa
tragica dalle
molotov di
Ponticelli
risulta avere
radici ben più
profonde, che
mettono in
questione i
modelli di
governo locale e
le cosiddette
politiche di
integrazione per
i migranti, in
un orizzonte che
va ben al di là
delle più
recenti
contingenze
politiche.
Non si può
tuttavia non
notare come
questi ultimi
eventi finiscano
per costruire il
clima ideale per
l’emanazione
dell’ennesimo
Decreto
Sicurezza da
parte del nuovo
governo.
Raccogliendo
questi umori
profondi della
società
italiana, e in
doveroso
ossequio agli
impegni delle
campagna
elettorale, il
Berlusconi IV si
apre con la
proposta di
rendere la
semplice
condizione di
clandestinità un
reato penale,
quindi
perseguibile con
l’incarcerazione.
Le immagini
dell’assalto di
Napoli
potrebbero
allora
moltiplicarsi in
un caleidoscopio
fantasmagorico:
appostamenti
nelle piazze e
nei parchi dove
pericolosi
criminali –
badanti,
muratori, fabbri
o contadini – si
raccolgono nei
giorni liberi,
retate di
lavavetri e
venditori
ambulanti, con
vigili urbani e
poliziotti
spalleggiati se
non incitati dai
commercianti,
dai “residenti
indifesi” e dai
“cittadini
impauriti”.
Al di là della
evidente crisi
della politica
italiana, che a
prescindere
dagli
schieramenti non
fa che
rincorrere le
pulsioni più
violente e
intolleranti che
dominano in
larghe fette
della società
italiana, questa
ritrovata
assonanza fra
società e classi
dirigenti
italiane non fa
che rendere
ancora più
urgente quel
lavoro di
ricerca che a
partire
dall’analisi dei
territori, delle
storie e degli
equilibri
locali, possa
ricostruire uno
spazio di
comprensibilità
- e di
intervento - per
chi non voglia
sentirsi
costretto nella
schiera degli
assalitori o in
quella degli
espulsi.
(fonte:
http://host.uniroma3.it/laboratori/osservatoriorazzismo/)
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