Stefano Rodotà: Il corpo della donna
rischia di diventare qualcosa su cui
legiferare indipendentemente dalla
sua volontà. È incivile
di Simona Maggiorelli
(Left 15 febbraio 2008)
Dopo la moratoria contro l’aborto
lanciata da Ferrara che ora si
candida con una lista pro-life
sponsorizzato dalla Cei, Berlusconi
alza il tiro e propone all’Onu di
sottoscrivere la «tutela del non
nato, fin dal concepimento». Intanto
la responsabile “famiglie” di Forza
Italia, la senatrice Burani
Procaccini, già preconizza: «Con la
nuova legislatura presenteremo un
progetto di legge di modifica della
194, con una serie di misure di
prevenzione obbligatorie e
prevedendo l’interruzione volontaria
di gravidanza solo a determinate e
ristrettissime condizioni».
«L’iniziativa di Berlusconi e più
in generale l’attacco alla 194
deriva dal rapporto sempre più forte
tra le indicazioni delle gerarchie
ecclesiastiche e il modo in cui una
parte del mondo politico le ha
raccolte», argomenta Stefano Rodotà,
docente di Diritto Civile alla
Sapienza di Roma ed ex garante della
privacy. In Italia abbiamo avuto due
episodi molto rivelatori: la legge
40 e il referendum. In questo
“crescendo” Ferrara ha lanciato la
proposta di una modifica della
dichiarazione del 1948. E lo ha
fatto manipolando fortemente i dati,
facendo del terrorismo sui numeri,
per esempio riguardo al deficit di
nati che secondo lui sarebbe dovuto
all’aborto. Dimenticando che
l’aborto è un fenomeno che
accompagna l’umanità dalle origini».
Professor Rodotà, qual è secondo
lei il rischio più grave che
minaccia il Paese in questa fase di
regressione nel campo dei diritti
civili?
Temo che sull’onda di questa enfasi
propagandistica e ideologica molto
forte si azzeri la presenza
femminile. Mentre si fa finta di non
conoscere gli effetti positivi delle
discipline di interruzione della
gravidanza sia in termini di
riduzione degli aborti sia in
termini di tutela della salute delle
donne non più esposte ai rischi
della clandestinità.
Il blitz delle forze dell’ordine
nel reparto di ginecologia a Napoli
parla di un clima da Medioevo. Che
ne pensa?
È un fatto gravissimo. Purtroppo sta
accadendo quello che non era
difficile prevedere. Nel momento in
cui si crea un clima di
intimidazione e condanna di chi
ricorre a ciò che è legalmente
previsto, scattano azioni che
puntano all’azzeramento della
soggettività femminile e a una messa
in discussione radicale e
illegittima delle stesse norme
vigenti. Quello che è accaduto a
Napoli è assolutamente fuori dal
diritto. Bisogna ricostruire
immediatamente la legalità con
un’inchiesta che chiarisca come sia
potuto accadere.
Casini, Ferrara, ma anche la
Binetti nel Pd parlano di “diritto
alla vita”, ma nella Costituzione
non c’è traccia di questo.
Il tentativo di cercare di estrarre
dalla Costituzione una nozione di
diritto alla vita non ha fondamenti.
Lo stesso di può dire se guardiamo
alla giurisprudenza internazionale.
Nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, il diritto alla
vita non è stato mai considerato
come qualcosa da chiamare in causa
per impedire l’aborto. Il diritto
alla vita è concepito in relazione
alla pena di morte. Non è un caso
Ferrara sia partito proprio dalla
moratoria sulla pena di monte
mettendola in parallelo con quella
sull’aborto con una forzatura
evidentissima.
Equiparazione da cui si deduce
che per lui le donne sono assassine?
È il risultato dell’azzeramento
della soggettività femminile di cui
dicevo prima. Il corpo della donna
diviene qualcosa su cui si può
legiferare indipendentemente dalla
sua volontà. È una regressione
civile gravissima.
Da Il Foglio parte anche una
campagna per la “privacy del non
nato”.
Che cosa significa privacy del non
nato? È stravagante anche l’uso
della terminologia. Questa
contrapposizione fra il concepito e
la donna è una vecchia idea che ha
portato a prevedere la necessità di
regolare il comportamento della
madre in modo autoritario. Una
contrapposizione tra diritti che
nega un dato di natura, la
compenetrazione tra il feto e la
soggettività della madre. Non si può
scorporare e contrapporre. Questo
porta a ipotizzare che ci debba
essere qualche altro soggetto che
decide quali sono i diritti del
nascituro e che può farli valere
anche contro la madre, contro la sua
volontà.
Parlare di diritti dell’embrione
cozza con la storia del diritto. Già
nel codice napoleonico era previsto
che i diritti si acquisiscono alla
nascita.
Questa è la tradizione civilistica.
Su questo si è inserito un modo
improprio, distorto, di affrontare
la questione. Si è detto che il
concepito ha gli stessi diritti
della persona. Un’affermazione
ideologica. Una serie di
inestricabili problemi giuridici
dimostrano la fallacia di questa
equiparazione. Un rischio che la
riflessione giuridica più
consapevole aveva già iniziato a
mettere in evidenza e cioè che per
quanto riguarda l’embrione, il suo
cosiddetto “statuto”, si possono
anche prevedere delle tutele
differenziate, ma partendo dalla
premessa che embrione e persona sono
cose diverse. Questa furiosa
equiparazione produce delle
aberrazioni giuridiche che non
possono essere in alcun modo
risolte.