quanto il Papa ha mandato a dire
alla Sapienza sa di antico, anzi di
vecchio
di Ernesto Fedi
Il discorso che il Papa avrebbe
dovuto tenere alla Sapienza e che ha
fatto pubblicare ci induce ad alcune
considerazioni. Nella sua parte
conclusiva, soprattutto, auspica che la
filosofia non degradi in positivismo e
non si rinchiuda in una razionalità
secolaristicamente indurita facendosi
sorda nei confronti del messaggio
cristiano, perché in tal modo essa
“inaridisce come un albero le cui radici
non raggiungono più le acque che gli
danno vita”. Invita inoltre “la ragione
a mettersi alla ricerca del vero, del
bene, di Dio” e su questo cammino la
sollecita “ a scorgere le utili luci
sorte lungo la storia della fede
cristiana e a percepire così Gesù Cristo
come la luce che illumina la storia ed
aiuta a trovare la via verso il futuro”.
Sono parole che stanno in logica
conseguenza con quanto il Papa ha
sostenuto finora.
Si arriva alla fede attraverso la
ragione e, comunque, la ragione deve
essere illuminata dalla fede, per poter
mantenere una sua vitalità. La sorgente
della fede è indispensabile alla
ragione, come questa è indispensabile
alla fede. La filosofia senza teologia è
priva di una sorgente vitale. Procedono
entrambe insieme e l’una illumina
l’altra, ma quella che illumina
permanentemente è la fede in quanto le
filosofie cambiano.
E’, in un certo senso, la Scolastica
aggiornata ai tempi nostri. Si tratta,
però, di posizioni, a partire dalle
quali il tanto auspicato dialogo con i
non cattolici non può decollare.
Non c’è infatti condizione per dialogare
se le parti non si riconoscono pari, se
non c’è reciproca disponibilità ed
apertura, se l’altro non è solo uno che
la pensa diversamente, ma è uno
inferiore.
Per di più la nuova filogenesi greco -
cristiana propone l’innesto del
cristianesimo nella concezione del
Kosmos, quale ordine del mondo
corrispondente alla ragione regolatrice
sovrana.
Proclamandosi custode dell’ordine
naturale-razionale, la Chiesa si propone
come custode dell’ortodossia della
ragione. Non solo di quella filosofica
ma anche di quella scientifica.
Ben diverso era lo spirito del Concilio
Vaticano II. Qui il mondo moderno era
assunto come interlocutore positivo
meritevole di ascolto.
Diversa era la concezione tra fede e
ragione, tra fede e attività dei
cristiani. La subordinazione al
magistero della Chiesa nel campo della
fede non era vista in contraddizione con
la loro autonomia e responsabilità nel
campo della ragione pratica. Era il
terreno sul quale era costruita la
speranza di un dialogo. Oggi non è più
così. Rispetto al Vaticano II la Chiesa
di Giovanni Paolo II e di Papa Ratzinger
è su posizioni più arretrate. C’è un
forte clima di restaurazione.
Sono illuminanti, in proposito, le
parole dello storico cattolico Pietro
Scoppola, citato da Scalfari un suo
recente editoriale. “Le responsabilità
del laicato cattolico sono del tutto
ignorate. La sorpresa ed il
disorientamento sono forti per tutti i
cattolici che hanno assorbito la lezione
del concilio Vaticano II su una Chiesa
popolo di dio nella quale il ruolo della
gerarchia non cancella, ma anzi è al
servizio di un laicato che ha proprie e
specifiche responsabilità. Tra queste vi
è quella di tradurre nel concreto della
vita politica e della legislazione di
uno Stato democratico esigenze e valori
di cui la coscienza cattolica è
portatrice. E’ legittimo e doveroso per
tutti i cittadini, e perciò anche per i
cattolici, contribuire a far sì che le
leggi dello Stato siano ispirate ai
propri convincimenti, ma questo
diritto-dovere non è la stessa cosa che
esigere una piena identità tra i propri
valori e la legge… Perché mai l’Italia e
i cattolici italiani devono essere
trattati come il giardino della Chiesa
“?