Con
la pronuncia del Tar del Lazio,
cresce la giurisprudenza che
considera illegittima la proibizione
della diagnosi pre-impianto: è un
fatto molto importante per la
civiltà del nostro Paese, perché i
divieti sulla diagnosi preimpianto
limitano fortemente, di fatto, la
lotta contro gravi patologie
genetiche quali l’anemia
mediterranea e la fibrosi cistica.
Vi sono tre aspetti che meritano di
essere sottolineati a questo
proposito.
Il primo aspetto riguarda il
dibattito, attualissimo, relativo al
rapporto tra avanzamento tecnologico
e aggiornamento delle disposizioni
legislative. L’ha sollevato poche
settimane fa, Ruini rispetto alla
Legge 194, potrebbe essere sollevato
allo stesso modo rispetto alla legge
40 piuttosto che alla RU. Come se ne
esce? Di certo non attraverso una
mera contrapposizione di opzioni
tecniche scientifiche.
Il terreno di confronto e di
giudizio legislativo della bontà di
un’innovazione tecnologica non può
che essere quello politico.
E il punto politico da cui partire
riguarda il diritto,concreto, di
scelta della donna: questo è in
sostanza il secondo aspetto che va
evidenziato rispetto alla legge 40.
La diagnosi pre-impianto aiuta la
donna a scegliere consapevolmente.
Detto ciò, il terzo e conclusivo
aspetto della sentenza riguarda
proprio l’attuale articolato di
legge.
L’eccezione di costituzionalità che
il TAR accoglie rende ancora più
evidenti le contraddizioni e le
iniquità della legge attuale. La
legge, oltre che discutibile nel
merito, dimostra di “fare acqua”
anche nella sua struttura interna.