Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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MANIFESTAZIONE NAZIONALE 24 NOVEMBRE 2007: LE DONNE SI SONO SVEGLIATE

E per favore... non si strumentalizzi certo settarismo minoritario

di Maria Mantello

Alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne di sabato 24 novembre 2007, le donne erano tante, tantissime, certamente più di un migliaio. Confluite a Roma da tutta Italia, hanno sfilato in un corteo, che  partito da piazza della Repubblica, si è andato ingrossando sempre di più, fino a riempire a sera Piazza Navona. Una manifestazione di sole donne. Questo era stato il vincolo dato dai gruppi femministi promotori dell’evento. Per riprendersi il diritto di agire e reagire contro il femminicidio, contro un arretramento culturale, rafforzato da una mercificazione senza precedenti del corpo delle donne; per ribellarsi alla consuetudine della violenza sulle donne che è accettata storicamente e socialmente- come si legge in passi chiave del manifesto programmatico della stessa manifestazione -. Un manifesto-appello che suona anche come un atto d’accusa verso la politica e le istituzioni che continuano pubblicamente a ignorare il tema della violenza sulle donne”. E che per questo chiama tutti all’impegno e alla lotta perché, “senza una battaglia culturale che sconfigga una volta per tutte patriarcato e maschilismo, non sarà possibile attivare un nuovo patto di convivenza tra uomini e donne che tanto gioverebbe alla parola civiltà”. Sconfiggere il maschilismo e la sottocultura che lo alimenta. Questo il vero nodo della questione da “riportare al centro del dibattito culturale e politico”. E in questo l’azione prioritaria deve ripartire innanzitutto dalle donne, perché, secondo una  elementare regola della psicologia e della sociologia, il problema è innanzitutto di chi lo ha. Questa regola le donne vogliono dimostrare di averla imparata. Per questo sono scese in piazza anche per contarsi: “è importante sapere quante siamo, perché per farci sentire dovremo essere in molte” – conclude il manifesto programmatico-.

Una manifestazione per uscire dall’isolamento, dunque, per darsi coraggio, per ricominciare a parlare tra donne. Una manifestazione per prendere coscienza e farla prendere a chi ancora non la ha. Come negli anni ’70, quando le donne, a volte da sole, contro e nonostante gli apparati politici di sistema, hanno conquistato anche in termini legislativi il diritto alla gestione del proprio individuale sé.

Le donne si sono accorte della necessità di tornare a vigilare affinché la loro emancipazione dalla sottomissione patriarcale non venga rimessa in discussione da un maschilismo mai sconfitto del tutto. Un primo risveglio c’è stato in occasione di leggi come quella sulla fecondazione assistita (legge 40), che riporta la donna ad una condizione di fattrice,  a corpo contenitore di sacralizzati embrioni. Questa legge è apparsa in tutta la sua pericolosità a tante donne, che vi hanno visto confluire i reiterati attacchi trasversali e concentrici al diritto all’autodeterminazione, alla conquista della maternità come scelta e non come condanna. Hanno capito che quella legge era il trampolino di lancio per ridare fiato ai movimenti reazionari che vorrebbero imporre la loro presenza nei consultori, nelle cliniche, negli ospedali. E che stanno dando la stura a campagne per rimettere in discussione la legge sull’aborto. Mentre, in attesa di tempi più propizi perché questo avvenga, non perdono occasione per lanciare anatemi contro gli anticoncezionali, finanche promuovendo crociate per renderne almeno difficile l’acquisto. Le donne di fronte a tutto questo hanno cominciato già da tempo ad “uscire dal silenzio”! Ma, quando con sempre maggiore insistenza i fatti di cronaca hanno fatto emergere con inequivocabile chiarezza il dato allarmante che ogni due giorni una donna in Italia muore a seguito di violenza, con rabbia e con orgoglio le donne hanno detto basta. Così si sono ritrovate in piazza. E non è senza stupore che hanno visto di essere tantissime.

“La violenza non è un problema di ordine pubblico, ma frutto della cultura, della mentalità maschilista che non è stata sconfitta”. “Il sistema di sfruttamento sulla donna non è morto, il peso della casa, dei figli, troppo spesso è sulle nostre spalle”. Questi gli argomenti della discussione tra le donne al corteo di sabato 24 novembre. E si vedeva chiaramente che essere lì a confrontarsi e parlare era una gran gioia. Era da trent’anni che una manifestazione di donne così imponente non si vedeva. Donne che vogliono “trasformare la rabbia in forza, la forza in lotta”, perché sono “capaci di reagire” rivendicano “diritti e libertà”, come recitavano tanti cartelli e slogan di questo variegato corteo. Ci sono le donne dell’Udi, della casa Internazionale della donna, i collettivi studenteschi, i gruppi più radicali. Ma anche e soprattutto tante cittadine: operaie, casalinghe, impiegate, professioniste, intellettuali... Sono loro la massa tranquilla che parla, canta, discute pacatamente. Tutte donne, che sanno bene che l’emancipazione deve essere culturale ed economica. Ed ecco le lamentele contro una scuola privata che indottrina, e per giunta è finanziata a scapito di quella statale. Le donne accusano una politica che incrementa il liberismo selvaggio, col risultato che l’unica certezza è la precarizzazione del lavoro. E colpisce innanzitutto giovani e donne. “Sto qui per le mie figlie per le mie nipoti” dice una signora che è venuta da Cagliari. “Sto qui contro il modello di donna-modella. E’ anche questo un femminicidio. E si chiama anoressia”. “Modelli falsi”- aggiunge una signora di Napoli, un’avvocata che ha fatto della difesa delle donne violentate l’impegno civico di una vita e che aggiunge: “come se una donna è o una bella di giorno o l’angelo del focolare”.  Modelli speculari ed estremi, ma assai funzionali, dice una signora di Roma, con la figlia per mano e che ha un cartello con su scritto: “Basta con servizi televisivi sulle casalinghe che pulendo fanno ginnastica”. Le donne dunque, almeno quelle della manifestazione di Roma, non si identificano affatto con la stereotipia dei media. Ce l’hanno con le trasmissioni televisive e le pubblicità mercificanti che le riducono a deficienti saltellanti tra un detersivo ed un ammorbidente, che nell’intervallo tra una dieta ed una sfilata di moda, tengono pure in piedi la famiglia grazie a portentose merendine e yogurt immunizzanti. O che… questa è l’ultima trovata, scelgono un formaggio, e in perfetto stile maschio si sentono dire: “ottima scelta, bella topolona!”.

Ci sono tre generazioni di donne alla manifestazione romana: quelle della contestazione storica, le loro figlie, le loro nipoti a denunciare che le donne non sono oggetti. A ricordare a tutti che ogni donna violentata è una di loro. Che i maschi (certi maschi) stiano attenti! Le organizzatrici volevano dimostrare che le donne si sono svegliate. E ci sono riuscite..

Certamente, però, vedere fischiate alcune ministre, o ex, che pure hanno cercato di riproporre al centro la questione dei diritti delle donne; ma anche alcuni giornalisti o semplici cittadini solo perché uomini, non è stata una bella cosa. “Ci sono rimasto veramente male –ha dichiarato un distinto signore col pizzetto- “sono andato anche al gay pride, e sono eterosessuale, ma nessuno mi ha cacciato”. Ma non si è dato per vinto ed ha seguito lo stesso il corteo. Del resto qualche altro uomo c’era. E sfilava tranquillamente. Alcuni erano ragazzi giovani, che portavano le bandiere rosse dell’Unione Studenti. Evidentemente i rimbrotti li ha presi chi è  incappato nei gruppi più estremi, ma minoritari. Il che ovviamente non sminuisce la gravità dei fischi e degli insulti. A questi gruppi settari, forse qualcuno dovrebbe riprovare a spiegare, anche e soprattutto nei gruppi femministi, che la faziosità non giova; che le leggi si fanno in Parlamento, e che il sistema parlamentare, in un paese democratico non può essere affossato, perché in assenza di esso c’è la dittatura. Quella che l’Italia ha avuto nel ventennio. Dove il mito della donna fattrice era esaltato ed osannano non a caso. Miti in cui sguazzano maschi frustrati che non riuscendo a dialogare con donne magari più capaci ed intelligenti di loro, le perseguitano, violentano ed uccidono.

Un adesivo che mi è stato regalato alla manifestazione raffigurava una donna con la testa e il braccio fasciati, che chiedeva ad un’amica: “lui mi maltratta. Cosa faresti al mio posto?” e l’amica: “cambierei posto”. E’ la soluzione! Ma non sempre è possibile. Le donne devono essere aiutate dalla solidarietà delle altre donne. Ma devono sapere che per “cambiare posto”  occorrono precisi interventi politici, che trasformino quanto è necessario in realtà. Forse varrebbe appena ricordare che uno dei motti del femminismo era: “il mio privato è il mio collettivo”. E non sarà certo la stupidità di pochi, usata strumentalmente da molti, ad offuscare questo tema posto con forza dalla stragrande maggioranza delle donne alla manifestazione del 24 novembre a Roma: la necessità di un’azione politica che ponga al centro la questione delle libertà e dei diritti. Per tutti: “non per carità, ma per diritto”. Per uno stato civile laico, ovvero democratico. Su questo tante donne vigileranno e come un altro slogan della manifestazione recitava: “ce ne ricorderemo in occasione del voto!”

Maria Mantello

 

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