Quasi inavvertitamente, in
breve tempo, si sono
presentati con forza
problemi nuovi che solo una
decina di anni fa apparivano
impensabili:
globalizzazione, nuove forme
di produzione e
diversificazione delle
classi, multiculturalismo,
crisi dello stato sociale,
sfiducia nel ‘pubblico’,
aumento della longevità,
precariato, nuove povertà,
ecc. Uniti al crollo del
muro di Berlino ed alla fine
del socialismo reale, questi
temi sono il segnale di un
profondo cambiamento delle
condizioni storiche e
materiali di vita.
Sicuramente impongono alla
Sinistra un supplemento di
riflessione: si tratta di
chiarire come sia possibile
attuare la maggiore
uguaglianza sociale
possibile nelle nuove
situazioni storiche.
Oltre a quelli indicati,
negli ultimi anni si sono
imposti all’attenzione
pubblica anche altri
problemi, come quelli
derivanti dai nuovi stili di
vita individuale e familiare
e quelli propri della
bioetica: i progressi della
biomedicina dischiudono
nuove opportunità circa il
controllo delle nascite e
circa le modalità stesse di
nascita, di terapia e di
morte. Si discute se queste
nuove pratiche siano lecite
oppure no, ed è diventato
comune indicare quest’ambito
con l’etichetta generale di
“temi eticamente sensibili”.
Al riguardo ci sono
sostanzialmente due
prospettive. Quella
prevalente dà alla chiesa
cattolica l’appannaggio
dell’etica e della bioetica.
I partiti del centro-destra
(anche quelli che si
dichiarano “liberali”) in
modo esplicito sono
schierati nella difesa di
questa prospettiva, che
trova comunque ampi consensi
anche nel centro-sinistra.
In generale c’è un tacito
accordo di tutti
nell’assegnare ai cattolici
la bioetica o almeno nel
dare ad essi grande
privilegio. Così, ad
esempio, i governi di
centro-sinistra non hanno
mai messo in discussione la
larga prevalenza cattolica
nel Comitato Nazionale di
Bioetica (CNB) – Prodi lo ha
affidato addirittura ad un
integralista come Casavola
con l’approvazione di
tutti! Ancora, i
bioeticisti interpellati dal
Corriere della sera (o anche
da Repubblica) sono sempre
monsignori o sagrestani
accreditati in curia.
C’è poi la posizione
sostenuta dal partito
Radicale, che fa uso di
tutti gli artifizi possibili
(digiuni, lettere aperte,
ecc.) per difendere sul
piano giuridico i nuovi
stili di vita e per
sottolineare i privilegi
della chiesa cattolica. E’
forse un po’ scontato e
banale dire dei Radicali che
“se non ci fossero,
bisognerebbe inventarli”: ma
è vero. Senza di loro in
Italia non avremmo alcuni
istituti centrali per un
paese avanzato e civile, e
quanto fanno per i diritti
civili è sicuramente
positivo. Ma le loro
modalità di azione sono a
volte problematiche, e su
altri temi politici e
sociali la posizione dei
Radicali italiani suscita
serie perplessità – almeno
per chi si muove in una
prospettiva che prenda sul
serio l’uguaglianza sociale
e le reali opportunità di
azione dei cittadini.
Possibile che in Italia il
menù politico preveda solo
la scelta tra queste due
posizioni? Possibile che sui
temi eticamente sensibili la
Sinistra non abbia una
posizione di fondo (e non
interventi sporadici di
singoli) da spendere sul
piano politico? La Destra si
è schierata nella difesa
della posizione della
gerarchia cattolica e
sfrutta al meglio la
situazione: la legge 40/2004
ed il referendum del 2005 lo
mostrano chiaramente, ma
anche i tentativi (già in
atto!) di riforma
restrittiva della 194/1978.
Non sappiamo che cosa farà
il Partito Democratico ma è
probabile che segua la
consueta linea delle
infinite ed estenuanti
mediazioni, mantenendosi
sostanzialmente in un
rapporto di catto-dipendenza
senza elaborare una propria
posizione.
Varie ragioni sostengono
questa linea. Una è che
molti dirigenti del Pd sono
cattolici convinti (esempio:
Paola Binetti). Un’altra sta
nell’idea (di ascendenza
gramsciana) che il
cattolicesimo resta il
collante della società
civile italiana, per cui con
la chiesa cattolica vanno
strette alleanze smussando
al massimo i possibili
conflitti. Un’altra ragione
ancora è che una forza
politica non deve avere una
linea sulle questioni
etiche, che vanno lasciate
alla coscienza personale:
così, la libertà di
coscienza prevista dal
centro-sinistra ha
consentito a Rosi Bindi di
votare la legge 40 (mentre
Berlusconi al Senato
imponeva la disciplina di
partito). Altra ragione a
volte addotta è quella
presentatami con semplicità
da un dirigente locale dei
Ds in risposta ad una mia
lamentela per
l’intitolazione (una delle
tante) di un luogo pubblico
centrale a Giovanni Paolo II
da parte della giunta di
sinistra: “vedi, il tuo voto
è sicuro, mentre questo
gesto serve per catturare
voti cattolici che sono per
noi essenziali e decisivi!”.
Ce ne sono altre, che qui
devo tralasciare. Sia chiaro
anche che non condanno per
niente il tatticismo sopra
ricordato: anzi, riconosco
che a volte può anche
funzionare e portare ai
risultati attesi! Mi
domando, tuttavia, se le
ragioni sopra esaminate
possano sostenere la assenza
di una linea politica e
culturale sui temi
eticamente sensibili.
Considerato l’alto tasso di
secolarizzazione e la
dilagante diffusione tra i
cattolici del cosiddetto
“scisma sommerso”, non mi
sembra si possa continuare a
dire che la religione
cattolica delle gerarchie è
ancora il collante della
società italiana. Gli
italiani vogliono il
divorzio rapido, nuove
modalità di aborto, la
fecondazione assistita, la
ricerca sulle staminali
embrionali, ecc. Sempre per
questo non credo che il
tatticismo funzioni più: le
persone cattoliche oggi non
seguono più ciecamente le
indicazioni ecclesiastiche,
ma lo fanno quando restano
prigioniere della ormai
asfissiante propaganda
cattolica – che, non
dimentichiamolo, è l’unica
forza organizzata a lanciare
messaggi precisi al
riguardo. In questo contesto
storico, la “libertà di
coscienza” diventa il
paravento di un disimpegno
sui temi eticamente
sensibili: la destra schiera
un’armata organizzata con
una straordinaria capacità
di fuoco mediatico
martellante, mentre la
sinistra si limita
all’ordine sparso ed a
testimonianze personali! Sia
chiaro: la libertà di
coscienza dei parlamentari
(come quella di chiunque) è
sacrosanta, ma una forza di
sinistra deve ricordare che
quella dei parlamentari ha
come obiettivo primo
l’aumento delle libertà dei
cittadini, non la loro
restrizione!
Qui arriviamo al fondo della
questione. Il punto è che
nelle nuove condizioni
storiche i temi eticamente
sensibili vengono ad
assumere una forte rilevanza
sociale. E’ vero che c’è
bisogno di una più equa
ridistribuzione della
ricchezza e di un lavoro
sicuro, ma è altrettanto
vero che per vivere bene e
dignitosamente le persone
necessitano anche di poter
usufruire delle nuove
opportunità messe a
disposizione dalla scienza:
vogliono controllare la
fertilità e morire in pace,
usufruire dei nuovi
alimenti, di nuove terapie
ecc. Già ora i progressi
della biomedicina stanno
cambiando gli stili di vita
e gli assetti sociali, dando
l’avvio a un processo
destinato a crescere sempre
di più. Una forza di
sinistra non può continuare
a disinteressarsi di questi
problemi lasciandoli
all’iniziativa personale di
qualche studioso – in nome
della “libertà di
coscienza”. Né può pensare
di rimanere al fondo
catto-dipendente continuando
a riconoscere alla chiesa
una sorta speciale
autorevolezza in campo
etico. La morale cattolica,
infatti, si rivela incapace
a dare risposte adeguate a
consentire nelle attuali
circostanze storiche
l’autorealizzazione delle
persone.
La stella polare che deve
guidare il cammino di una
bioetica per la sinistra va
individuata nella concreta
eguaglianza e nella libertà
di azione delle persone fino
a quando non rechi
comprovato danno a terzi.
Nelle presenti situazioni
storiche questo è l’unico
ethos condiviso e capace di
tenere assieme le società
attuali. Gli appelli a
collanti comunitaristici,
tradizionalistici, o a
qualche spirito di corpo non
sono altro che vuota
demagogia o propensione
romantica per un tempo che
fu.
Per questo una sinistra che
voglia presentarsi ai
cittadini deve avere una
visione etica e bioetica
ampia, informata al
principio di libertà, che le
consenta di dare risposte
politiche precise ai temi
eticamente sensibili. Ci
vuole, quindi, maggior
impegno per individuare
almeno le linee portanti da
presentare come alternativa
alle prospettive etiche oggi
diffuse informate alla
tradizione o ad altri valori
inadeguati. Investendo in
etica si farebbe un “buon
investimento” che, a mio
parere, sarebbe anche a
breve ripagato in termini
politici ed elettorali. Dopo
la cosiddetta fine delle
ideologie, nel paese c’è
bisogno di una visione
ideale capace di integrare
le richieste di giustizia
circa le esigenze materiali
(lavoro, pensione, ecc.) con
le richieste circa le nuove
esigenze sui temi eticamente
sensibili. La sinistra ha le
risorse per questo lanciare
questa grande proposta
ideale, anche se bisogna
mettere a fuoco il tema.
Avanti, ancora uno sforzo in
questa direzione!
È la mia una proposta che
sottopongo alla discussione
pubblica.
*Docente di Bioetica all'Università di Torino