E’ proprio vero
che l’iniziativa di Grillo riempie un vuoto
reale della politica? No, non è affatto
così. Il comico che inveisce contro i
politici non è un evento nuovo. Un
commediografo come Guglielmo Giannini fu
molto più abile 60 anni fa nell’allestire
persino un partito di un certo spessore sul
risentimento contro i partiti. La sua
fortuna nel dopoguerra durò fin quando la
confindustria lo sostenne. Con il venir meno
dei generosi fondi padronali, anche il
qualunquismo si dileguò. L’antipolitica
infatti non può istituzionalizzarsi. Questo
è il suo tallone d’Achille. Quando diventa
un partito, l’antipolitica perde tutti i
connotati del suo successo. Non è accaduto
così anche con il fenomeno Berlusconi? Da
quando Forza Italia si è istituzionalizzata
come partito durevole, lo spazio politico
dell’antipolitica è disponibile per altre
scorribande. Grillo però non occupa un
vuoto, è il vuoto che si aggiunge a una
politica che da 15 anni almeno brancola nel
buio.
Nel suo linguaggio imbottito di insipide
cadute volgari, il comico sforna un tipico
campionario della destra reazionaria. Non
appartengono forse all’immaginario più
intimo della destra le metafore sulla
galera, sulle manette, sui partiti come
cancro? Un tempo la sinistra, anche con
qualche dose di ingenuità teorica,
coincideva con una critica degli apparati
repressivi. L’idea di un diritto penale
minimo oggi farebbe scandalo. Ma questo non
autorizza certo a rigonfiare le metafore
politiche con insistiti richiami all’ordine,
alla disciplina, alla sicurezza. Questo solo
fa Grillo, e i sindaci del centro sinistra
non si comportano diversamente. Cosa è
successo alla cultura politica italiana? E’
accaduto una cosa sconvolgente: in Italia ha
vinto il populismo come contrassegno di
un’epoca. Non solo scompare ogni istanza di
critica, ma anche pensare un po’
diversamente da come sente il ventre della
gente è cosa disdicevole. Un po’ tutti hanno
voglia di secondini, questa è la verità. I
sindaci afferrano le stellette di sceriffo
per spezzare le reni ai lavavetri. Grillo
invoca la galera per riformare la politica.
C’entra davvero poco con la cultura della
legalità la sua richiesta di non consentire
l’elezione di deputati con precedenti
penali.
La cultura della legalità implica infatti
sottigliezza analitica, gusto per le
differenza, cura dei particolari. Insomma il
contrario della macchina forcaiola e della
spicciola demagogia. E poi cosa significa
escludere dalle istituzioni i politici con
condanne alle spalle? In galera ci rimase a
lungo Terracini che ha firmato la
costituzione repubblicana. Pajetta, Pertini,
Lombardi hanno trascorso lunghi anni nelle
patrie galere. Tutti ineleggibili? E i
radicali che hanno ricevuto condanne penali
per ottenere nuove leggi sull’aborto, la
contraccezione, l’obiezione di coscienza
sono tutti avanzi di galera da escludere da
Montecitorio per legge? Grillo non colma
una mancanza, è il segno di una malattia che
avanza e alla quale la politica non sa
trovare una risposta. La malattia contagiosa
è il populismo che impedisce il civismo
democratico, la politica come responsabilità
diffusa. Alla crisi italiana gli stati
maggiori dei partiti hanno ritenuto di
rispondere con le primarie per creare un
nuovo partito leggero. Ma le primarie per
consegnare il partito democratico a un
leader impalpabile non sono un antidoto al
populismo, sono anch’esse una componente
essenziale del ciclone antipolitico.
Se all’antipolitica e al populismo si
riuscirà un giorno a dare una risposta
efficace, e la cosa non è affatto scontata,
essa non potrà che fondarsi sulla
reinvenzione di cose antiche. Un radicamento
sociale per i partiti, anzitutto, per
riscoprire che la società presenta
differenze di potere insopportabili che
infiacchiscono la democrazia. E poi una
identità per i soggetti politici che
riassaporano il gusto dell’analisi, della
cultura, delle idee. Il laboratorio politico
che la sinistra deve aprire proprio su
questo dovrà lavorare. La cura della
malattia mortale del populismo passa di qua.