SENTENZA DELLA CORTE
COSTITUZIONALE SULLA FECONDAZIONE ASSISITITA
(L'incontro nov. 2006)
Anche la speranza di eliminare una
delle parti più odiose della legge 40 sulla
fecondazione assistita - quella che vieta l’analisi
preimpianto e che consentirebbe di far nascere un
bambino sano - sembra sfumata. La Corte
Costituzionale ha liquidato la questione,
dichiarandone l’inammissibilità.
A far approdare l’embrione di fronte
alla Corte è stato il tribunale di Cagliari, a cui
aveva fatto ricorso una coppia di portatrice sana di
anemia mediterranea. I due, già un’altra volta si
erano affidati alla tecnica della fecondazione in
vitro. A gravidanza avviata, però l’
amniocentesi aveva
rivelato che avrebbero messo al mondo un bambino
talassemico. Così avvalendosi della legge 194, la
donna si era sottoposta all’interruzione volontaria
di gravidanza. La vicenda aveva però lasciato in lei
uno strascico traumatico. Ammalatasi di depressione
aveva dovuto ricorrere a cure mediche per circa un
anno. Superato questo momento, la coppia ha tentato
di nuovo di avere un figlio ricorrendo alla
fecondazione assistita.
Questa volta, però, a tutela della
salute della madre e del nascituro intendeva
avvalersi di una diagnosi preimpianto. E per far
valere le proprie ragioni si era rivolta al
tribunale di Cagliari. I giudici hanno sostenuto le
ragioni della coppia, affermando che l’art.13, comma
2, della legge 40, col vietare qualsiasi analisi
sull’embrione, viola l’art. 3 della Costituzione,
che stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di
fronte alla legge. La “ingiustificata disparità di
trattamento” starebbe infatti nel diritto
d’informazione a tutela della salute della donna e
del nascituro. Mentre infatti nella fase embrionale
sarebbe vietata ogni analisi, questa sarebbe
consentita a gravidanza inoltrata sul feto. La
discriminazione sarebbe legata dunque allo stadio di
minore o maggiore sviluppo cellulare del nascituro.
Argomento ineccepibile. Si richiedeva quindi la
pronuncia della Corte Costizionale per stabilire
l’eventuale sintonia della legge 40 (almeno per la
parte sottoposta a procedimento giudiziario: art.
13) con la suprema legge dello Stato: la
Costituzione Repubblicana. La Corte ha rigettato la
questione per inammissibilità.
Ma forse, a pensar male, viene il
sospetto che essa sia stata più sensibile a quanto
sostenuto dall’avvocatura dello Stato, che nella sua
memoria ha sottolineato “l’infondatezza giuridica
della pretesa di avere “un figlio sano” e che,
pertanto, non può assumere alcuna rilevanza
l’elemento attinente all’equilibrio psico-fisico
della donna”.
Il controllo patriarcale sulla donna
è ancora una volta servito!
Maria Mantello