di Massimo Teodori
Che la questione laica fosse tornata di attualità nell’Italia d’oggi
ce lo ha ricordato Benedetto XVI con gli interventi in terra
tedesca(soprattutto con il primo discorso di Monaco) che hanno ribadito
l’ortodossia della Chiesa, tante volte enunciata anche dal cardinale
Ratzinger come responsabile della Congregazione per la dottrina della
fede. La critica del Pontefice è indirizzata all’Occidente che oggi
escluderebbe dall’orizzonte della ragione l’ipotesi di Dio e lo
relegherebbe ad un’opzione privata. Di conseguenza il nostro laicismo,
definito “dissacratore”, spaventerebbe le altre culture, compresa
l’islamica. L’Occidente secolarizzato sarebbe malato di relativismo e di
nichilismo e perciò sarebbe cinico, utilitarista e arido nell’idolatria
della scienza e della tecnica. Al cuore del pensiero del pontefice,
niente affatto approssimativo e banale, c’è l’idea che la malattia
mortale dell’Occidente è la modernità, la secolarizzazione, cioè la
rivoluzione illuministica e umanistica, base della nostra civiltà, che
ha provocato la divisione tra politica e religione e tra scienza e fede.
Questi concetti non sono una mia caricatura della dottrina cattolica,
oggi vigorosamente riaffermata, ma proprio quelli letteralmente espressi
dal Pontefice. A me invece pare che la caricatura sia stata quella
disegnata da papa Ratzinger quando parla della scienza e della medicina
moderne come portatrici di irresponsabili sciagure per l’uomo moderno e
quando rappresenta in maniera apocalittica l’Occidente laico che
calpesterebbe la vita umana, esalterebbe il libertinaggio ed avrebbe
perduto ogni etica che può essere riconquistata solo reintroducendo
nella vita pubblica la religione detentrice, a suo parere, del monopolio
della moralità e dell’eticità. Il Pontefice, in sostanza, ribadisce
l’antico fondamento dell’ortodossia cattolica che a me pare smentisca
anche la portata del Concilio vaticano II, quella secondo cui “Extra
ecclesiam nulla salus”. Dunque, i nemici dell’umanità in Occidente
sarebbero i secolarizzatori, i relativisti, i seminatori di dubbi e di
cattivi costumi. Voi osserverete che il Pontefice ha poco a che fare con
la questione laica, oggi in Italia. E che il Papa non fa altro che il
suo mestiere nel ribadire con forza la verità incarnata dalla Chiesa
cattolica e indirizzata in forma apostolica al popolo dei credenti, in
Italia e nel mondo.Il dubbio sulla non pertinenza del Pontefice con la
questione laica potrebbe sembrare fondato, tanto da farmi apparire come
un vecchio anticlericale voglioso soltanto di polemizzare con la
gerarchia ecclesiastica, se non si guardasse alla realtà e non si
inquadrassero le parole del Pontefice nella attuale politica italiana.
Infatti gli orientamenti di Benedetto XVI non sono stati tanto dei
richiami pastorali quanto delle direttive rigorosamente interpretate
nell’azione politica della Conferenza episcopale italiana guidata dal
cardinale Ruini, a tal punto da influire decisamente sui comportamenti
politici sia del centrodestra che del centrosinistra e da essere
meccanicamente trasferiti come leggi dello Stato approvate con larghe
convergenze in Parlamento. In sostanza, anche se questo tradizionalismo
anti-moderno, anti-laico ed anti-liberale di origine pontificale non
rappresenta il sentimento e gli interessi della maggioranza del popolo
italiano, l’offensiva condotta in suo nome ha in qualche modo
conquistato una sorta di egemonia nella vita pubblica sicché ha potuto
ottenere successi che soltanto dieci, venti o trent’anni, in piena
egemonia della Democrazia cristiana, sarebbero stati inimmaginabili.
Senza dilungarmi nell’elencazione dell’offensiva tradizionalista, basta
ricordare la maniera pretestuosa in cui è stata sollevata la questione
dell’identità e delle radici che hanno ridotto la storia dell’Occidente
(che comprende la tradizione greco-romana, quella cristiana e ancora
l’umanismo e l’illuminismo) alla sola dimensione cristiana e poi a
quella cattolica della Chiesa ufficiale. Basta richiamare l’obbrobrio
della legge 40 sulla procreazione assistita e il referendum guidato
politicamente dalla Conferenza Episcopale Italiana. Basta riandare alla
polemica sulla personalità giuridica dell’embrione e all’offensiva
antiscientifica sulle cellule staminali, oppure all’agitazione dello
spauracchio dell’eugenetica. E, ancora, non si può fare a meno di
menzionare la riproposizione dell’antidarwinismo e l’incomprensibile
accusa di anticostituzionalità a un provvedimento semplice come quello
dei Pacs. Stando così le cose, è proprio da questa ondata anti-laica che
nasce la questione laica nell’Italia d’oggi. Non siamo stati noi laici a
voler alzare nuove barricate ma sono stati i neotradizionalisti ad
erigere i muri dell’intolleranza, a rivendicare il monopolio morale e a
rinnegare il pluralismo etico che è essenziale nelle democrazie
liberali. Di più, accanto alle posizioni più ortodosse della Chiesa
ufficiale si è andata formando un’alleanza del tutto nuova di coloro che
definisco “gli atei devoti, i laici pentiti e i novelli bigotti” che
ripropongono sotto altre sembianze concezioni del mondo e ricette logore
appartenenti a un passato che pochi pensavano potesse ricomparire.
Questa offensiva dei nuovi tradizionalisti che esprime uno stato d’animo
minoritario ma aggressivo di stile clericale e reazionario è stata
provocata dall’irruzione di un gruppo di pressione che condiziona gli
schieramenti di destra e di sinistra, e si fa forte delle posizioni
teologico-dogmatiche della Chiesa e dell’interventismo politico dei
vescovi italiani.
Il tratto che affratella i cattolici tradizionalisti e i nuovi
antiliberali bigotti che si definiscono anche “atei devoti” è l’ambigua
commistione tra questione morale e questione politica. La distinzione
delle due sfere è, come noto, l’effetto della secolarizzazione che ha
separato ragione e fede ed ha dato vita alla moderna civiltà liberale.
Ma è necessario ricordare che l’idea di rivestire lo Stato e la società
di connotati etici e di visioni morali è stata praticata nel Novecento
dagli autoritarismi e dai totalitarismi. I fascismi, i nazismi, i
comunismi, i militarismi, i populismi e tutte le altre forme
contemporanee dittatoriali hanno sventolato le bandiere della moralità e
dell’eticità per meglio controllare la società di massa. E sono stati
proprio i pensatori antiliberali, con le loro teorie intrise di
tradizionalismo moralistico e di identitarismo etnico o etico, che hanno
fatto da supporto alle dittature d’ogni colore. La tradizione liberale e
laica, invece, non ha mai prescritto soluzioni moralmente ed eticamente
corrette. Il metodo democratico non può servire a tradurre negli affari
terreni verità assolute o principi trascendentali non negoziabili. In
questo senso la rivoluzione liberale ha distinto le questioni di
coscienza, religiose e morali, dalla politica, il cui compito è di
mediare tra le varie idee e i contrapposti interessi per formare il
governo che meglio corrisponde alle aspettative non di una parte ma
dell’intera comunità. L’avanzata della libertà, dei diritti e della
laicità, che i neo-tradizionalisti vorrebbero rimettere in discussione,
viene da lontano, dall’Habeas corpus inglese del 1679, dalla
Legge sulla tolleranza, dalla Dichiarazione di diritti dell’uomo del
1789 fino al Bill of Rights americano del 1791. Le sue tappe
storiche – umanesimo, protestantesimo, etica della tolleranza e
secolarizzazione della politica – hanno contrassegnato la civiltà
contemporanea e quindi anche l’identità italiana. Lo Stato neutrale che
ne è risultato, non assume in sé un determinato sistema di valori, ma
permette il libero confronto tra le componenti religiose e culturali
della società al fine di adottare un sistema di valori tollerante e
inclusivo. In una visione laica, il bene e il male non può essere
stabilito né dallo Stato né da qualsiasi altro potere, e l’individuo
deve essere padrone di scegliere la sua morale. L’idea dello Stato
etico, così come l’illusione della società perfetta o giusta o buona,
non appartiene alla politica secolarizzata quale si è andata affermando
a difesa delle libertà nel confronto con i totalitarismi. Già
nell’Ottocento i padri del pensiero liberale, John Stuart Mill e
Benjamin Constant, bollavano come illegittima la pretesa della morale
cristiana di essere assunta nelle istituzioni civili come unico modello
etico per la vita dell’uomo. Rimettere in gioco la distinzione tra fede
e ragione, e quindi privare ogni persona del diritto a vivere secondo i
suoi legittimi costumi morali non significa supplire al presunto vuoto
etico del nostro tempo. Significa solo proporre il rovesciamento del
pensiero moderno che ha consentito lo sviluppo di società religiosamente
pacificate, civilmente tolleranti e la separazione tra Stato e Chiesa
premessa della libertà religiosa prima di tutto per i credenti.
I neo-tradizionalisti cattolici e i cosiddetti “atei devoti”
sostengono che la necessità del superamento della secolarizzazione
discenderebbe dal grande risveglio spirituale legato alla Chiesa
cattolica. Certo, il carisma mediatico di papa Giovanni Paolo II,
specialmente verso gli extraeuropei, ha avuto un significato che non si
può ignorare. Ma la sensazione di nuova religiosità di alcuni settori
della società è sufficiente per assegnare, oggi, in Italia, alle
direttive della Chiesa il valore di leggi generali dello Stato? Spetta
alla politica, e solo alla politica, attraverso il Parlamento, il
Governo, la legislazione e la giurisdizione di sciogliere il nodo del
rapporto civile con la religione. È sì vero che anche in Italia si
assiste a un certo risveglio religioso nei giovani, ma il fenomeno si
combina con il suo opposto, la secolarizzazione dei comportamenti della
gente comune. L’Italia si sta allineando ad altri paesi occidentali in
cui il credo religioso, in particolare quello cattolico, da fenomeno
genericamente diffuso nella maggioranza diviene caratteristica intensa
di una minoranza della popolazione. Tale trasformazione è visibile nella
stessa cultura di massa. Dalla televisione ai comportamenti esibiti,
dalla pubblicità all’etica corrente, ovunque si constata un notevole
ripiegamento della religiosità. Gli italiani si sposano sempre meno in
chiesa e sempre più in municipio. I battesimi e le comunioni, benché
profondamente radicati nel costume popolare, diminuiscono. Le
cremazioni, un tempo al bando, oggi sono tollerate e crescono a vista
d’occhio. Nelle scuole sono sempre più i giovani che chiedono l’esonero
dall’ora di religione. Il tasso delle nascite nel nostro paese è ai
livelli più bassi del mondo con un’infausta prospettiva di declino
demografico, segno anche dello scarso ascolto della Chiesa.
Qual è, dunque, il nodo della nuova contesa tra i laici e i liberali
che distinguono la ragione dalla fede e i neo-tradizionalisti
antiliberali che sostengono le richieste della Chiesa italiana per
ottenere un più ampio spazio pubblico per la religione? L’obiettivo
della Chiesa da cui nasce la questione laica nell’Italia d’oggi può
essere riassunta da queste parole del Pontefice: “In una società libera
i valori cattolici dovrebbero essere fatti propri anche dalla cultura
laica positiva”, intendendo con tale espressione quello “Stato laico che
non difende soltanto interessi profani, ma tutela il diritto di ogni
cittadino a vivere la propria fede religiosa con autentica libertà in
ambito pubblico”. Da questa visione traspare il vero obiettivo di
Benedetto XVI secondo cui “uno Stato sanamente laico” non dovrebbe fare
altro che riconoscere nella legislazione un adeguato spazio all’etica
della Chiesa in quanto “la dignità dell’uomo e i suoi diritti
fondamentali che rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione
statale, non vengono creati dal legislatore ma sono iscritti nella
natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili
ultimamente al Creatore”. Di fronte a tali rivendicazioni che sembrano
discendere direttamente dalla concezione tomistica dei diritti naturali
occorre rispondere che ci vuole l’intervento dell’uomo per dare corpo ai
diritti naturali e che proprio l’universalismo laico nella società
secolarizzata ha preceduto la Chiesa nell’affermazione del carattere
fondamentale dei diritti dell’uomo e del cittadino. È tradizione
liberale che la mediazione tra sentimento religioso (o etico) e politica
riguardi essenzialmente la coscienza personale. Non che lo spazio
pubblico nella società laica e nello Stato neutrale sia precluso allo
spirito religioso e all’etica individuale, ma la distanza tra un
approccio clericale e uno laico, anche nei credenti, si misura
nell’accettazione o nel rifiuto del ruolo del potere. Vorrei terminare
con una citazione di Gaetano Salvemini sulla laicità dello Stato: «La
ideologia del laicismo nega alle autorità ecclesiastiche il diritto di
mettere legalmente a servizio delle loro ideologie le autorità secolari.
Le autorità ecclesiastiche hanno il diritto di “consigliare” i fedeli, e
magari di condannarli al fuoco eterno, ma nell’altra vita. Se avessero
la facoltà di imporre giuridicamente a fedeli e non fedeli i loro
consigli e le loro condanne in questa vita, i loro consigli
diventerebbero “leggi”. I peccati diventerebbero delitti. Il laicismo –
inteso in questo senso, e non so in quale altro senso si possa intendere
– è la secolarizzazione delle istituzioni pubbliche».