L'Italia è un paese più laico di quanto si creda
ALCUNI DATI
di Silvia Sansonetti
Prima di presentare l’immagine che ritraggono, occorre precisare che
riguardano unicamente la religione cattolica e quindi è solo di questa che
qui si tratterà e non in generale del fenomeno religioso. Inoltre, gli
indicatori non sono il risultato di una ricerca ad hoc ma sono raccolti da
diversi enti o istituzioni (dalla Chiesa cattolica nel suo annuario
statistico, dalla Cei, dall’Istat, dal Miur, dal Ministero della Salute),
che li pubblicano per i loro scopi. Non essendo disegnati per la ricerca,
sono in grado di rappresentare solo alcuni degli innumerevoli aspetti del
fenomeno religioso cattolico e non sempre in modo adeguato, per questo
nell’interpretarli a volte è stato necessario piegarli al nuovo punto di
vista dopo aver considerato quello della fonte. Ad ogni modo, l’insieme di
questi accostamenti spesso inusuali offre alcune interessanti opportunità di
riflessione.
Come le lettrici ed i lettori constateranno nelle tabelle allegate sono
contenuti anche altri dati, oltre quelli che saranno commentati in questo
articolo. La scelta di pubblicare tutto ciò che è stato possibile reperire,
risponde ad un’altra delle finalità di questo lavoro quella di diffondere i
dati tra un pubblico che difficilmente avrebbe l’opportunità di risalire a
tutte le fonti consultate, con l’intenzione di stimolare ulteriori analisi e
ricerche in vista di futuri confronti. Per questo motivo, un occhio attento
troverà indicatori con un basso contenuto informativo o a volte ridondanti
(l’informazione in essi contenuta è già fornita da altri indicatori). I dati
descritti qui ed evidenziati in neretto nelle tabelle sono in grado di
rappresentare solo alcuni degli aspetti del fenomeno religioso cattolico,
vale a dire la pratica visibile, l’appartenenza e la presenza nella società.
La prima dimensione considerata è quella della pratica religiosa
visibile. Essa è costituita da quell’insieme di riti imposti da una credenza
religiosa che si svolgono pubblicamente, la frequenza alla messa ad esempio.
Esiste anche un altro tipo di pratica religiosa quella invisibile che ha
luogo nel privato, come la preghiera individuale. Per la pratica religiosa
visibile, è stato possibile rilevare la frequenza di alcuni riti di
passaggio, vale a dire il battesimo, la prima comunione, la cresima, il
matrimonio.
La seconda dimensione del fenomeno religioso esaminata è quella
dell’appartenenza. Chi si sente parte di un gruppo religioso assume
atteggiamenti coerenti con quelli del gruppo, questi comprendono sia la
pratica religiosa sia scelte riguardanti la vita quotidiana, per le quali
esistono esplicite prescrizioni morali. La pratica e l’appartenenza sono
strettamente legate, infatti la prima è un indicatore della seconda. Ad
esempio la celebrazione pubblica di un rito segna i confini tra il “noi” e
gli “altri”, rafforzando il sentimento di appartenenza ad una comunità, la
sola pratica, però, non esaurisce il tema dell’appartenenza, che coinvolge
da vicino l’identità delle persone, e per questo si manifesta anche
attraverso delle scelte concrete. Ad esempio: un medico ginecologo cattolico
sarà obiettore di coscienza riguardo agli interventi di interruzione
volontaria di gravidanza.
Il terzo gruppo di indicatori scelti riflette alcuni aspetti della chiesa
cattolica in quanto organizzazione e della sua presenza nella società in
alcun ambiti precisi: la scuola; le attività socio-assistenziali, che spesso
si sono sostituite all’ampiamente lacunoso sistema di welfare italiano;
l’editoria.
Si consideri la pratica religiosa visibile e si osservi l’andamento dei
relativi indicatori. La percentuale dei bambini con età inferiore ad un anno
che sono stati battezzati, rispetto al totale dei nati vivi nell’anno di
riferimento, mostra tra il 1991 ed il 1998 un andamento altalenante, che
oscilla tra il massimo registrato nel 1991 e pari a 89,9% ed il minimo di
85,8% del 1996. Dopo aver raggiunto di nuovo un picco nel 1998 pari a 89,2%,
appare essere in costante diminuzione assestandosi nel 2003 a 80,7%, con una
perdita di ben nove punti percentuali in soli cinque anni. Vero è che la
percentuale dei battezzati in età superiore ad un anno sul totale dei
battesimi è andata crescendo in questi stessi anni (da 1,8% nel 1991 a 3,9%
nel 2003), ma ciò non assicura il recupero alla religione cattolica di tutti
i bambini non battezzati nel primo anno di età. Per spiegare la diminuzione
costante dei battesimi entro il primo anno di vita, due sono le ipotesi che
si possono formulare e che dovrebbero essere sottoposte ad opportuna
verifica. Da un lato, l’apporto alla natalità totale del paese degli
immigrati, tra i quali molti professano una religione diversa da quella
cattolica, dall’altro un atteggiamento individualistico dei genitori, che li
spinge a lasciare ai figli la decisione del battesimo in età più adulta.
I due successivi indicatori della pratica religiosa visibile sono anche
essi da riferirsi a riti di passaggio: il tasso di prime comunioni e
confermazioni (in realtà queste ultime sono in leggerissima ripresa) ogni
mille cattolici. Entrambi sono in lieve ma costante diminuzione nel periodo
di riferimento (1991 al 2003), infatti, il primo è passato dal 9,9 al 8,5
per mille ed il secondo dall’11,1 al 8,7 per mille. Questo calo è
probabilmente influenzato anche dall’invecchiamento della popolazione, ma
altre ricerche sulla religiosità dei cattolici hanno messo in luce come
anche i riti di passaggio, pur resistendo meglio di altre forme di pratica
religiosa siano in costante diminuzione.
L’ultimo indicatore considerato si riferisce al numero assoluto di
matrimoni religiosi, che è anche esso andato costantemente diminuendo
nell’arco di tempo considerato. Si tornerà sull’argomento in modo più
approfondito più avanti quando si confronteranno i dati sul matrimonio con
quelli sulle separazioni.
La seconda dimensione che si è scelto di trattare è quella
dell’appartenenza religiosa. Gli indicatori capaci di rappresentarla tra
quelli rilevati, possono distinguersi in due gruppi. Il primo gruppo
riguarda atteggiamenti legati a scelte etiche degli individui, su cui la
chiesa cattolica fornisce chiare indicazioni. A tale scopo si sono
considerate: le separazioni legali concesse a coppie sposate con matrimonio
concordatario, il consumo di anticoncezionali (purtroppo è disponibile solo
la contraccezione orale), il numero di interruzioni volontarie di gravidanza
e l’obiezione di coscienza tra ginecologi, anestesisti e paramedici, che
operano nelle strutture dove essa si pratica. Il secondo gruppo, riguarda
altre scelte come la frequenza dell’ora di religione nelle scuole pubbliche,
le donazioni, l’otto per mille, che sono si in relazione con l’appartenenza
religiosa ma non sono da considerarsi eticamente vincolanti. In altri
termini, chi si sente di appartenere alla chiesa cattolica è molto probabile
che scelga di devolvere l’otto per mille in suo favore, ma non è tenuto a
farlo per essere un buon cattolico. Si considerino gli indicatori inseriti
nel primo gruppo. Le separazioni civili concesse a matrimoni concordatari
appaiono in termini assoluti in costante crescita, così come accade del
resto per quelle di coniugi uniti solo civilmente e per le sentenze di
divorzio (per le quali non esiste distinzione tra matrimoni solo civili o
concordatari). Per completezza dell’informazione si noti che anche la
percentuale dei matrimoni celebrati solo civilmente sul totale dei matrimoni
è in crescita continua, passando dal 17,5% del 1991 al 28,5% del 2003, così
come il numero assoluto delle libere unioni. Secondo molti studiosi della
famiglia queste ultime sono sottostimate rispetto alla situazione reale
(mancherebbero incentivi che spingano i conviventi a dichiarare la loro
condizione). Il quadro è dunque quello di una crescente indifferenza al
messaggio della chiesa cattolica dell’indissolubilità del matrimonio.
Un altro aspetto che coinvolge scelte etiche su cui la chiesa fornisce
indicazioni precise è l’adozione di misure anticoncezionali tra le donne
fertili. Purtroppo si conosce solo la percentuale delle donne che consumano
quelli orali, che risulta essere raddoppiata tra il 1992 ed il 2002 (è
passato dal 10,3% al 19%).
Si passi ora agli indicatori riguardanti un tema cui la chiesa cattolica
attribuisce un grande valore in termini etici: le interruzioni volontarie di
gravidanza. Il numero assoluto degli interventi per le interruzioni
volontarie di gravidanza nel 1991 era di 159.399 unità. Tra il 1991 ed il
1992 è diminuito del 4,4%, per poi mantenersi costante (intorno alle 152.400
unità) fino al 2001, anno in cui si è verificata una vistosa diminuzione
pari al 18,8%, raggiungendo solo le 123.792 unità. Questa diminuzione è
probabilmente legata all’aumento della diffusione dei metodi contraccettivi
anche se l’ipotesi rimane da verificare.
Si consideri ora l’obiezione di coscienza del personale medico e
paramedico. L’andamento di questo dato, calcolato separatamente per
ginecologi, anestesisti e paramedici, non rivela una tendenza univoca. Per i
ginecologi, se si confrontano solo il primo e l’ultimo anno disponibile (il
1991 ed il 2002), si trova un valore identico (60,4%), ma la percentuale non
è rimasta sempre costante negli anni. Ha viceversa seguito un andamento
altalenante raggiungendo il suo massimo nel 2000. Per gli anestesisti ed i
paramedici si rileva una generale tendenza al calo (gli anestesisti
obbiettori sono passati da 60% al 48,6% ed il personale paramedico da 45,7%
a 40,4%), anche se i primi fino al 1995 hanno seguito un andamento in
crescita come quello dei ginecologi. L’ipotesi che possiamo formulare è che
queste tendenze siano influenzate non solo dall’appartenenza religiosa,
fattore rilevante visto che per tutti il 2000 è stato un anno in cui le
obiezioni di coscienza hanno raggiunto percentuali elevate, ma anche da
strategie di carriera condizionate a loro volta da fattori di tipo
organizzativo e quindi dalle politiche sanitarie. Ciò è reso possibile da
una legge che, per tutelare la libertà di scelta del personale, consente di
poter mutare la propria posizione più volte nella carriera ed in qualunque
momento, anche se deve trascorrere un mese prima che la nuova dichiarazione
diventi effettiva in termini di organizzazione del lavoro. Quel che manca è
quindi un meccanismo che eviti abusi di questa libertà. Il fenomeno delle
obiezioni di coscienza è influenzato anche dal numero di strutture in cui le
interruzioni volontarie di gravidanza si praticano: infatti, al crescere
delle strutture ospedaliere pubbliche cresce la percentuale del personale
che fa obiezione, ma questa relazione è molto più forte tra il personale
medico che tra quello paramedico, a conferma di possibili convenienze che
guidino la scelta dei primi.
Per quanto riguarda gli altri indicatori dell’appartenenza religiosa si
consideri la percentuale degli iscritti alla scuola pubblica che ha scelto
di frequentare l’ora di religione. Negli anni qui considerati essa ha subito
un andamento altalenante assestandosi nel 2003 su un valore lievemente
inferiore a quello del 1991, e peraltro identico a quello del 2002. In
sostanza la frequenza non risulta essere variata di molto. Le donazioni alla
chiesa cattolica non hanno una tendenza chiara per gli anni tra il 1991 ed
il 1998, successivamente invece diminuiscono toccando il minimo nel 2001,
ultimo anno disponibile. Molto più interessante appare l’8 per mille, in
crescita tra il 1991 (anno in cui la fetta che tocca alla chiesa cattolica è
dell’81,4%) ed il 1993, seguito da un calo costante nei quattro anni
successivi (nel 1997 si è tornati di nuovo all’81,6%) ed un recupero
sostanziale dal 1997 al 2001, anno in cui la chiesa cattolica raggiunge il
massimo sfiorando l’87,3% (forniamo di seguito una rappresentazione
grafica). Certamente sull’andamento degli ultimi anni deve aver influito
positivamente l’ampio e sapiente utilizzo della comunicazione pubblicitaria
e di una strategia comunicativa che ha dato risalto soprattutto all’impegno
sociale dei cattolici. Il tema del finanziamento pubblico alla chiesa
cattolica è noto che non si esaurisce con l’8 per mille. Vi sono infatti
anche altre forme di finanziamento pubblico di cui si parla diffusamente
nell’articolo di Gianluca Polverari.
Si considerino infine quelli che sono stati scelti come indicatori dello
stato di salute dell’organizzazione chiesa cattolica e della sua presenza
nella vita quotidiana degli italiani. In primo luogo si è rilevato il numero
di sacerdoti, religiosi e religiose, diaconi, laici consacrati e laiche
consacrate, catechisti, missionari laici. Tra tutti si individua una chiara
tendenza di fondo alla diminuzione. Gli unici in controtendenza sono i
diaconi, che nel 2003 erano più che raddoppiati rispetto al 1991 (per ogni
diacono del 1991 ve ne sono 2,5 nel 2003), anche se il loro numero assoluto
rimane basso (nel 2003 erano 2.794), ed i catechisti anche loro cresciuti
dal 1996 (primo dato disponibile) al 2003 di una volta e mezza (da 75.000 a
184.000). Interessante la comparsa dei missionari laici in coincidenza con
l’anno santo del 2000, che con varie oscillazioni sembrano rimanere sempre
intorno al migliaio. L’assenza del voto di castità è la caratteristica che
accomuna diaconato, l’attività di catechesi e il missionariato laico; esse
permettono di impegnarsi nelle attività religiose senza rinunciare ad avere
una famiglia, cosa
impossibile per le religiose ed i religiosi. Si considerino in proposito
le defezioni tra i sacerdoti, il cui numero assoluto non varia mentre il
rapporto tra le nuove ordinazioni e le defezioni, che indica per ciascuna
defezione quanti sono i sacerdoti nuovi ordinati, non mostra una tendenza
univoca. Se nel 1991 per ciascun allontanamento vi erano almeno nuovi dodici
sacerdoti, nel 1992 si otteneva il valore più alto della serie storica pari
a diciassette per poi scendere di nuovo l’anno successivo a quattordici.
L’andamento tra alti e bassi appare poi assestarsi di nuovo intorno al
valore iniziale di dodici, per poi scendere nel 2002 a circa otto sacerdoti
che rimangono per ciascun sacerdote che abbandona, e di nuovo risalire a
dieci nel 2003. La costante diminuzione delle vocazioni si riflette
inevitabilmente anche sul numero di religiose e religiosi che insegnano la
materia “religione” nella scuola italiana, sempre più sostituiti da
personale laico (i valori forniti dalla Cei mostrano delle imprecisioni la
somma delle percentuali tra le diverse modalità che sono contenute nella
tabella per alcuni anni non è pari a cento). Un’altra dimensione
interessante, sempre legata alle vocazioni, è il numero di iscritti nei
seminari, che si dividono a loro volta tra coloro che frequentano le scuole
secondarie e gli iscritti alle facoltà di filosofia e teologia. I primi sono
in costante diminuzione, dei circa 7.000 rilevati nel 1991 nel 2003 ne erano
rimasti meno della metà (circa 2.700). I secondi, invece, sembrano
mantenersi costanti, il valore si aggira sempre intorno alle seimila unità.
Ciò potrebbe spiegarsi con una maggior individualizzazione della scelta
sacerdotale. Se infatti una volta erano le famiglie d’origine a spingere i
figli ad entrare in seminario, mosse dal senso di appartenenza e dal
desiderio di assicurare ai figli migliori opportunità di vita, oggi la
scelta del sacerdozio è legata di più al vissuto individuale e per questo è
più tardiva. Allo stesso tempo, occorrerebbe verificare anche la nazionalità
degli iscritti, dato purtroppo non disponibile, perché se tra gli iscritti
alle scuole secondarie, risultassero soprattutto italiani e tra gli iscritti
alle scuole di filosofia e teologia si trovasse una quota crescente di
stranieri, allora dietro questa presunta tenuta delle iscrizioni nelle
seconde si celerebbe una diminuzione delle vocazioni tra gli italiani.
Per quanto riguarda la presenza della chiesa cattolica nella vita
quotidiana degli italiani sono state considerate le scuole cattoliche di
ogni ordine, incluse le università, le istituzioni socio-assistenziali ed il
volontariato cattolico, ed infine la presenza cattolica nel settore
editoriale.
In primo luogo riferiamoci alla percentuale di scuole cattoliche rispetto
al totale delle scuole. L’andamento di questo indicatore riflette una
costante seppur lieve diminuzione (tra il 1992 ed il 2003 la quota delle
scuole cattoliche è diminuita dell’1%): sono le materne e le secondarie a
registrare la perdita maggiore, mentre la percentuale di scuole elementari
che erano lievemente cresciute tra il 1991 ed il 1996, successivamente ha
subito una lieve diminuzione, che nel 2003 le ha riportate ad un livello di
poco superiore a quello del 1991 (7% circa). Si considerino gli iscritti
alle scuole cattoliche rispetto al numero totale di iscritti in tutte le
scuole, anche essi sono in costante diminuzione: se nel 1991 gli iscritti
alle scuole cattoliche erano il 9,1% degli iscritti nelle scuole italiane,
nel 2003 erano solo il 6,9%. La scomposizione per i diversi ordini purtroppo
è presente solo per gli iscritti alle materne ed alle elementari ma non per
le secondarie, e solo per gli anni tra il 1997 ed il 2003. La percentuale
degli iscritti alle materne cattoliche rispetto agli iscritti a tutte le
scuole materne (pubbliche, private non cattoliche, private cattoliche) è
diminuita passando dal 24,1% del 1997 al 21,22% del 2003. Lo stesso dicasi
per le scuole elementari, dove si passati dal 5,8% al 4,9%. Per le scuole
secondarie il dato è mancante e si è deciso di approssimarlo con il rapporto
tra gli iscritti alle scuole cattoliche ed il totale degli iscritti alle
scuole private, anche esso in costante diminuzione (dal 74,5% del 1997 al
46,4% nel 2003). Questo rapporto presenta un simile andamento anche per le
scuole degli altri ordini.
Affiancando i risultati circa gli istituti e gli iscritti però è
difficile comprendere se le diminuzioni registrate in entrambi i casi siano
dipese da una iniziale diminuzione dell’offerta che poi ha dato luogo alla
diminuzione della domanda o viceversa. Probabilmente entrambi i fattori sono
stati ugualmente all’opera. Se sulla spinta della denatalità le istituzioni
cattoliche potrebbero aver messo in atto strategie di lungo periodo
chiudendo le scuole per far posto a residenze per anziani, anche per le loro
esigenze di prendersi cura di religiose e religiosi anziani, nello stesso
tempo le famiglie hanno sostituito le scuole cattoliche con scuole pubbliche
o private aconfessionali non attribuendo più alle scuole private cattoliche
un primato nella capacità di preparare i giovani al loro futuro, come
avveniva in passato. Ciò è avvenuto perché la scelta della scuola cattolica
era più spesso l’ostensione di un privilegio o la risposta ad un bisogno di
maggior attenzione per i figli che una decisione dettata dal senso di
appartenenza. Interessante è l’andamento degli iscritti nelle istituzioni
universitarie cattoliche rilevati dal ministero per l’istruzione
l’università e la ricerca. Questi tra il 1998 ed il 2003 hanno avuto un
andamento altalenante dietro al quale si individua una tendenza alla
crescita, passando da 38.300 a 46.500. È stato possibile anche reperire
ulteriori dati al riguardo, dall’annuario statistico pubblicato dal Vaticano
(per il quale il numero assoluto degli iscritti sarebbe andato crescendo
costantemente da circa 44.900 unità nel 1991 a 64.300 nel 2000, si sarebbe
registrata una diminuzione negli anni successivi, dapprima lieve e poi
massiccia, così che nel 2003 si tornerebbe a quota 45.700). Essi, però, non
sono coerenti con quelli forniti dal ministero dell’istruzione
dell’università e della ricerca, secondo i quali gli iscritti alle
università cattoliche sarebbero cresciuti tra il 1998 ed il 2003 rispetto
agli iscritti a tutte le università private. La percentuale ha avuto un
andamento oscillatorio, passando comunque dal 41,7% al 43,1%. La tendenza
alla crescita confermata anche dalla crescita costante del corpo docente
delle università cattoliche che è passato da 1306 unità nel 1997 a 1428 nel
2001.
Si consideri ora la presenza della chiesa cattolica nel sociale.
Particolarmente interessante notare quanto avviene nelle attività legate
alla salute dove si registra un disimpegno per quanto riguarda ambulatori e
strutture di tipo ospedaliero; probabilmente questa scelta è legata sia a
fattori economici sia demografici. Infatti, investire nel settore è
diventato nel tempo sempre più costoso, per il venir meno del personale
religioso, che in passato offriva le proprie prestazioni a titolo gratuito e
che oggi deve essere sostituito da laici. Ormai forte è la competizione con
altre strutture private non cattoliche sempre più numerose. Inoltre, le
religiose ed i religiosi che hanno ormai raggiunto un’età avanzata, hanno
bisogno a loro volta di cure e anche questo spiega perché si riscontra
parallelamente una crescita costante delle case di cura per anziani e degli
istituti di assistenza cui si già accennato precedentemente. Altro settore
dove la presenza cattolica si è rafforzata è quello dei centri di difesa
della vita e della famiglia (da 487 nel 1991 a 1669 nel 2003), dei nidi
d’infanzia (da 130 a 399) ed in misura minore dei consultori familiari (da
467 a 534). Gli orfanotrofi e centri di tutela per l’infanzia hanno avuto un
andamento meno costante di quanto ci si aspetterebbe, considerata la
complessità della loro organizzazione. Gli istituti che si occupano di non
meglio specificati altri settori, sono poi diminuiti sensibilmente nel 2000,
in coincidenza proprio di una ripresa nel numero degli orfanotrofi e di un
improvviso aumento dei centri di difesa per la vita e la famiglia.
Probabilmente anche questo mutamento è da collegarsi all’anno santo, e alla
riconversione di molti istituti ecclesiastici in case di accoglienza per i
pellegrini, in alcuni casi poi riutilizzati come strutture per l’assistenza
sociale.
Interessante è anche il dato delle associazioni di volontariato
(disponibile solo per gli anni 1997 1999, 2001), dove la presenza cattolica
appare in costante diminuzione sia per un notevole aumento delle
associazioni di volontariato totali, sia per una effettiva diminuzione delle
associazioni cattoliche.
Questo dato però andrebbe messo in relazione con il riordino generale del
welfare e del terzo settore avvenuto proprio in quegli anni. Infine, si
consideri l’editoria, l’unico dato disponibile al riguardo è quello della
percentuale di opere religiose tirate in un anno sulla tiratura totale.
Purtroppo, non esiste il dato disaggregato per la religione cattolica, ma
quello disponibile risulta essere una buona approssimazione se è proprio in
coincidenza con il 2000 che si rileva la percentuale più alta (8,37%). La
sua serie storica presenta un andamento ascendente tra il 1996 (primo anno
in cui il dato è disponibile) ed il 2000 ed un andamento discendente negli
anni successivi. Nell’insieme l’analisi di questi indicatori restituisce
un’immagine complessa e per la sua natura puramente descrittiva lascia
aperti numerosi interrogativi. La diminuzione della partecipazione ai riti
di passaggio, una sempre minor tenuta di alcuni dettami in campo etico (come
l’indissolubilità del matrimonio e l’utilizzo di metodi contraccettivi
naturali), la diminuzione costante delle vocazioni, la crescente preferenza
per le scuole pubbliche o private non religiose e la diminuzione costante
delle donazioni indicano un costante e continuo mutamento in atto nel
fenomeno religioso cattolico e quindi della religiosità degli italiani. Allo
stesso tempo però altri indicatori si muovono nell’opposta direzione. Ad una
diminuzione del successo delle scuole corrisponde un crescente successo
delle università, ad una diminuzione delle donazioni si contrappone, seppur
con alterne vicende probabilmente influenzate da martellanti campagne
pubblicitarie, la tenuta dell’otto per mille. Del resto l’abilità di
utilizzare i metodi di comunicazione è testimoniata dall’aumento della
tiratura di opere religiose proprio in coincidenza con l’anno duemila. Il
quadro del mutamento in atto è complesso perché numerosi sono gli elementi
che entrano in gioco nel caratterizzare il fenomeno religioso cattolico. Si
intravede comunque la direzione di questo processo che va verso una maggior
autonomia nelle scelte di vita, da ricondursi ai più generali processi di
individualizzazione che coinvolgono la società.
(da "Critica liberale" n° 123)